Una vicina ha regalato ad Arihanna del lievito madre. Raccolgo temporaneamente qui alcuni stralci di articoli letti online per introdurmi in questo (per me) nuovo aspetto della magia della fermentazione!
Pasta madre e pane della Tradizione. Solo farina e acqua per il lievito naturale.
PREMESSA IMPORTANTE. Se avete intenzione di preparare il pane con la normale farina raffinata 00, 0 o Manitoba, cioè proprio com’è fatto quello dei supermercati e delle panetterie abituali, non leggete oltre: questo articolo per voi è inutile. Per voi il lievito a pasta acida o selvaggio o “pasta madre” sarebbe una perdita di tempo assolutamente insensata. Invece, è cosa logica e utile, se usate la farina integrale.
Perché la pasta madre non è un miracoloso toccasana che aggiunge nutrienti o compensa i difetti non solo di sostanze nutritive, ma anche, paradossalmente, di sostanze extra-nutrizionali e perfino anti-nutrizionali (utili, però, eccome), come vitamine, acidi grassi essenziali, minerali, fibre, saponine, fitati, anti-enzimi, polifenoli e antiossidanti, di cui soffrono le farine 0, 00 o Manitoba. Queste farine non sono naturali, ma sono state brutalmente raffinate, devitalizzate, private di ogni sostanza protettiva (p.es. germe di grano, con i suoi acidi grassi polinsaturi e la vitamina E, le fondamentali vitamine del gruppo B, le indispensabili fibre, i polifenoli e altre sostanze antiossidanti, i fitati e le altre utili sostanze protettive).
Anzi, una delle poche variazioni nutrizionali della “lievitazione acida lenta” in cui consiste il metodo della pasta madre, cioè la neutralizzazione di gran parte dei fitati anti-minerali, non ha modo di esplicarsi in tutta la sua utilità (relativa, perché i fitati sono sì anti-nutritivi, ma anche anti-cancro!), visto che la farina bianca raffinata non ha o ha pochi fitati.
Le farine bianche 00, 0 o Manitoba che dir si voglia, sono in pratica soltanto amido puro. Quindi del tutto artificiali, perché non esistono in Natura, ma è un processo industriale che le ha ridotte così. Quindi, tre ordini di motivi: non presenti in Natura, non adatte come nutrimento dell’uomo, non adatte alla prevenzione. Sarebbe stupido usarle per il pane tradizionale che invece è e deve essere naturale, adatto alla nutrizione e preventivo. Ecco perché, se non usate la farina integrale, non vi conviene proseguire la lettura di questo articolo, è tempo perso. Sarebbe illogico come cospargere d’una preziosa lacca protettiva una scatola di plastica. Leggete piuttosto un buon libro o andate a camminare nei boschi, che è molto meglio.
LA MODA DEL LIEVITO E DEL PANE. EVVIVA, MA DI PANE BISOGNA MANGIARNE POCO. Oggi c’è la moda del lievito acido o “pasta madre” e comunque del farsi in pane in casa. Centinaia di siti web e addirittura “libri” si sono gettati sulla materia per riscoprire fuori tempo massimo una cosa banalissima e risaputa: che il pane all’antica, fatto come si faceva fino al primo Ottocento, è migliore di quello (pessimo) che si acquista dal fornaio o al supermercato. Ma il processo di lievitazione acida è lungo e complicato, perché bisogna tener conto di numerosi fattori. Ne vale la pena?
Proprio oggi, tra l’altro, che di pane bisogna mangiarne poco, pochissimo, anche niente, perché si è notato che – specialmente se è buono – non si sostituisce ma va ad aggiungersi alle pietanze normali già troppo ricche di carboidrati, e quindi aumenta le calorie giornaliere per tutti noi sedentari, insomma – non per sua colpa – fa ingrassare.
Non parliamo poi del pane bianco di farina raffinata (tipo 00, 0, o Manitoba che sia) che – lo ripetiamo, perché si scolpisca nella mente – fa più male che bene, con qualunque lievito, anche con la migliore pasta madre, essendo privo di fibre, germe e nutrienti come vitamine, sali, acidi grassi insaturi, e di sostanze protettive antiossidanti, e dando in pratica quasi solo amido, cioè inutili e dannose calorie vuote (non diversamente dallo zucchero).Infatti, è stato provato in studi epidemiologici e clinici che i cereali raffinati – quindi il pane bianco, anche con pasta madre – sono collegati a più alti rischi di sovrappeso, stipsi, resistenza insulinica, diabete, ipercolesterolemia, sindrome metabolica, malattie cardio-vascolari, e alcuni tumori, tra cui quello al colon-retto, e perciò devono essere considerati come alimento da consumare “il meno possibile”, come lo zucchero, i grassi saturi e le carni “rosse” (cfr. piramide di Willett e Stampfer, Università di Harvard 2001).*
Invece, la quasi totalità di siti web e guide di cuoche “esperte” e panificatori ancora prevede l’uso di farina bianca raffinata anche per il pane a pasta madre! Ma è insensato perdere tanto tempo per cercare di fare una cosa tradizionale, contadina, sana e naturale con la farina devitalizzata artificiale e per niente sana! A questa farina, che è amido quasi puro, la pasta madre non aggiunge proprio nulla: basta e avanza il normale lievito naturale veloce: il lievito di birra.
Ma non basta. Gli storici e antropologi, poi, hanno assodato che nella nostra ricca cultura etrusco-romana, così dotata di vegetali freschi, minestre di grani, legumi e polente, il pane non è mai stato un “cibo primario” o fondamentale dell’Uomo, come ha messo in testa alla gente la favola del Vangelo, non per caso ambientata in un’altra cultura, quella dell’arido Oriente dei nomadi. Per noi, più civilizzati e fortunati, il pane è stato una sorta di tardo fast food di emergenza, facilmente trasportabile, per le merende fuori casa di lavoratori, pastori, soldati, servi e cacciatori, oppure per i cittadini poveri privi perfino di una cucina. Insomma, non un normale cibo da casa. Basti pensare che quando aprirono le prime panetterie pubbliche a Roma ci furono proteste, come oggi per i MacDonald.
I LIEVITI, IL LIEVITO, LA LIEVITAZIONE. Nella scienza biologica si chiamano “lieviti” più di mille specie di funghi microscopici (p.es. la Candida, che però nessuno vorrebbe avere nel proprio corpo). L’ingegno dell’Uomo ne ha usati alcuni che lavorano in assenza di ossigeno (anaerobii) per far lievitare il pane e far fermentare le bevande alcoliche. Infatti, Saccharomyces cerevisiae, il lievito più utilizzato da migliaia di anni per la produzione di pane e birra, converte gli zuccheri dolci e gli amidi in anidride carbonica e alcol (fermentazione). Nelle bevande alcoliche è utile la produzione dell’alcol, nella lievitazione del pane l’anidride carbonica, perché gonfia la pasta con innumerevoli piccoli buchi – come una spugna – e rende perciò il pane più soffice e masticabile, mentre l’alcool evapora durante la cottura. Il lievito di birra, che altro non è che una colonia di Saccharomyces cerevisiae, si forma naturalmente come strato biancastro che galleggia sulla superficie della birra in formazione. Ma esistono anche molti altri lieviti “selvaggi” nella stessa farina e nell’aria.
I lieviti per fare pane e torte sono, perciò, di due classi (e attenzione a non confondere i nomi):
1. Lieviti biologici o naturali, cioè i lieviti veri e propri, che attaccano l’amido della farina e producono anidride carbonica che renderà spugnoso, quindi leggero, l’impasto del pane. Si dividono in due tipi: uno moderno e standardizzato, l’altro antico e selvaggio:
1a. Lieviti coltivati dalla moderna industria sui residui della birra o della lavorazione degli zuccheri. Formano il comune “lievito di birra” fresco, compresso in piccoli panetti acquistabili in tutti i supermercati alimentari (bancone frigorifero), oppure in grossi panetti per fornai e pizzerie (da cui si può acquistare sfuso sbriciolato a pezzi irregolari, v. immagine accanto). Anche questo va conservato ben chiuso a prova di umidità in frigorifero (si conserva pochi giorni). Questo lievito va bene per il pane, e infatti è quello normalmente usato nel pane che si compera. Lo fa alto e con buchi grossi o medi. Andrebbe bene anche per i dolci lievitati, perché è più sano e saporito di quello chimico in polvere, ma casalinghe, pasticceri e cuochi sono riluttanti. LIEVITAZIONE RAPIDA.
1b. Lieviti selvaggi microscopici e invisibili a occhio nudo presenti naturalmente nella farina e nell’aria. Sono questi i lieviti che colonizzano la “pasta madre” (da soli o insieme con quelli del lievito di birra, v. sopra in immagine 1 e sotto in “Ricetta della pasta madre”), detta anche “lievito naturale” per antonomasia (ma anche quello di birra è naturale), che dà sapore, profumo e proprietà così caratteristiche e inimitabili al pane a lievitazione naturale o tradizionale o “all’antica”. Questo lievito va benissimo per il pane. Lo fa più basso e con buchi piccoli o piccolissimi. LIEVITAZIONE LENTA.
2. Lieviti chimici costituiti da sostanze chimiche che non attaccano né interagiscono con l’amido, ma reagiscono soltanto tra di loro producendo anidride carbonica, oltre a un residuo chimico più o meno innocuo. Sono usati in casa, in pasticcerie artigianali e dall’industria per realizzare dolci di farina da far lievitare, mai per il pane (anche perché lasciano un certo sapore di bicarbonato). LIEVITAZIONE RAPIDISSIMA. Ma è meglio dimenticarli! Non usiamoli mai più, neanche per i dolci. Al loro posto, il lievito di birra.
La lievitazione d’un impasto di farina e acqua è quindi un fatto meccanico, chimico e biologico. In tutti i tipi di lievito, quello che fa lievitare, cioè alzare e rendere più leggera la pasta grazie ai tanti buchi, è sempre lo stesso processo chimico-fisico: nell’impasto, grazie al lievito, qualunque lievito, si forma il gas anidride carbonica CO2, che tentando di uscire dalla pesante massa crea tante bollicine. Però le differenze sono molte, e a parte i tempi (da 15-20 min. con le polverine a 1 ora circa con il lievito di birra, fino a 8-12 ore con la pasta madre) e i modi della lievitazione, anche il sapore, il valore nutrizionale e la conservabilità cambiano molto a seconda del lievito usato.
Ora vediamo il dettaglio. Il lievito biologico si divide, dunque, in due tipi: uno antichissimo, quello dei nostri antenati Greci, Etruschi e Romani, e anche dei nostri bisnonni di campagna; l’altro risalente alla fine dell’800 creato dall’industria della birra e dagli zuccherifici.
Il primo è il lievito a pasta madre o a pasta acida (detto anche naturale, o selvaggio, ma in realtà come vedremo è spesso un misto dei due lieviti biologici). Contiene molte specie di lieviti e organismi, anche imprecisati, come quelli casualmente presenti nell’aria in quel determinato ambiente e nella farina, che in alcuni casi non infrequenti (cattiva igiene e cattiva conservazione) possono anche interferire tra loro con risultati mediocri o pessimi: il pane in questi casi avrà un cattivo sapore, anche di muffa. Quindi il lievito a pasta acida ha una composizione sempre diversa, a seconda della coltura iniziale, dei lieviti presenti, della farina, dell’ambiente, della temperatura, della durata della fermentazione ecc. Ogni coltura di lievito a pasta acida sarà diversa e darà al pane un sapore sempre un po’ diverso, a differenza del lievito di birra, che è sempre uguale in ogni parte del mondo. Produrrà decine di sostanze chimiche naturali, tra cui acidi acetico e lattico, alcoli ed eteri aromatici, e altre decine di sostanze che danno ad ogni pane, ad ogni pizza cresciuta, ad ogni dolce di farina, quel di più unico e irripetibile di sapore e odore inconfondibili. Insomma, l’impasto del pane è modificato biochimicamente più dal lievito a pasta madre che da quello di birra, e più da quello di birra che da quello chimico. Ma è proprio in quelle modifiche biochimiche, organolettiche e anche nutrizionali che consiste la superiorità d’un impasto con lievito a pasta acida su quello col lievito di birra, e a sua volta la superiorità d’un impasto con lievito di birra su quello con lievito chimico. Per di più, ripetiamo, i lieviti chimici, quando non si tratta solo di bicarbonato e acido tartarico, innocui (però, se la lievitazione non è perfetta, resta il sapore del bicarbonato…), ma di sali ammoniacali e benzoici, oltre a lasciare un cattivo sapore potrebbero essere dannosi. Oggi il lievito a pasta acida è poco usato in casa e nell’industria perché è un lievito poco potente (a meno che non si perda del tempo con diversi “rinfreschi” o re-impasti preliminari) ed è un lievito lento (8-12 ore o più). Perciò è riservato a produzioni speciali casalinghe (“il buon pane scuro e saporito d’un tempo”) e perfino industriali-tradizionali (p.es. il migliore panettone di Natale: peccato che il panettone sia sempre di farina raffinata e pieno di zucchero, grassi, aromi artificiali e conservanti).
Come si inizia la coltura del lievito a pasta acida? I nostri Antenati Greci, Etruschi e Romani a lungo fecero il pane molto basso e non lievitato, come una piadina dura e croccante che si conservava per mesi. Per iniziare il lievito a pasta acida non avendo i panetti di lievito di birra selezionato, facevano un semplice impasto di farina e mosto fresco d’uva al tempo della vendemmia (quindi la pasta madre all’inizio poteva essere anche bruna-rossiccia), e poi dopo ogni impasto conservavano sempre nella madia un pezzo della pasta cruda precedente alimentandola ad ogni impasto con nuova farina. Ma spesso, mancando i frigoriferi e non conoscendo l’igiene, la facevano ammuffire, rovinando così sapore e perfino salubrità del pane. E oggi? Oggi si può iniziare in due modi: a partire da un impasto di farina con lievito di birra (consigliato) con cui si fa il primo pane, o impastando solo farina e acqua e lasciando fare per vari giorni ai lieviti selvaggi (tempi lunghi, risultato aleatorio, rischio di lievitazione debolissima o sapore di muffa: sconsigliato, se non ai bravissimi Robinson). In ogni caso si parte da un pugno di impasto fresco e crudo di farina e acqua per fare il pane, preso prima di infornarlo, lasciato fermentare per giorni e pressato, e dopo alcuni giorni conservato in frigo. Alla fine questo lievito a pasta acida sarà durissimo, e si presenterà come una pagnottella secca incavata dal forte e cattivo odore caratteristico, che prima di essere usata va sbriciolata, ammorbidita, sciolta senza grumi in acqua tiepida, e fatta di nuovo fermentare, cioè rivitalizzata, con l’aggiunta di nuova farina. Questo processo di rivitalizzazione va fatto 1 volta (fornai dilettanti mediocri e impazienti, come chi scrive, che si accontentano o si beano d’una pagnotta poco lievitata, bassa e molto acida e aromatica), meglio 2 volte, meglio ancora 3 volte e più (fornai professionisti, o dilettanti con molto tempo a disposizione e perfezionisti, che vogliono una pagnotta più alta, più lievitata, più soffice e meno acida e meno aromatica). Questo processo preparatorio di rivitalizzazione, per lo più compiuto dal Tempo (ma lo sminuzzamento iniziale coinvolge anche il fornaio), a farlo bene può prendere complessivamente da poche ore a un intero giorno, prima ancora della lievitazione. Il lievito a pasta madre, per le complesse modificazioni enzimatiche, tanto più se se ne usa tanto sapendo che è debole e non ci piace fare i vari reimpasti, o è molto acido, scurisce il pane, oltre a dargli un caratteristico odore forte e un sapore acidulo, tipici del buon pane naturale antico. Diciamo che c’è chi usa la pasta madre con una sola rivitalizzazione, proprio perché così il pane risulta più ammassato, certo, ma più forte e acidulo, sapore che piace molto (ricorda vagamente la pizza napoletana… già condita di pomodoro!).
Il secondo lievito biologico è il lievito di birra o dei fornai. In fondo anche questo è naturale cioè segue le regole del mondo biologico, ma allevato dall’industria, perché contiene una sola specie di lieviti, Saccharomyces cerevisiae, che un tempo si otteneva solo durante la preparazione della birra. Quindi, a differenza del lievito a pasta madre o pasta acida, il lievito di birra ha sempre e ovunque la medesima composizione, e dà al pane, a parità di farina, sempre il medesimo sapore neutro. Si acquista per pochi centesimi in panetti leggermente compressi rivestiti di carta di alluminio (bancone frigorifero dei supermercati) o sbriciolato sfuso, a peso (da un fornaio bendisposto…). E’ quello che si usa per la panificazione di quasi tutti i tipi di pane. Ma può essere usato anche per fare piadine, pizze e torte dolci. E’ un lievito veloce: lievita gli impasti di farina e acqua in poco più di un’ora.
Il terzo lievito è del tutto diverso dai primi due: è il lievito chimico, commercializzato come “lievito per dolci”, ma è totalmente privo di lieviti, cioè di fermenti biologici. E’ solo un banale miscuglio di polveri chimiche (bicarbonato di sodio, carbonato di ammonio, cremore di tartaro cioè tartarato acido di potassio, fosfato di calcio ecc.) che sciolte in acqua e aggiunte all’impasto reagiscono chimicamente tra loro producendo in pochi minuti anidride carbonica sufficiente a far alzare la massa, senza fermentare o interferire con l’amido. Insomma, aggiungono solo gas, e anche qualche residuo chimico (non solo carbonato innocuo, ma anche ammonio, alluminio, benzoico). Ecco perché il lievito chimico può dare alle torte dolci quel caratteristico sapore di bicarbonato. Non va “preparato” e rivitalizzato, ma è di uso quasi immediato, perché è un lievito molto veloce (5-15 min.). E’ abusivamente pubblicizzato e venduto come “lievito per dolci”, e perciò è purtroppo il più acquistato dalle casalinghe inesperte o frettolose, e ovviamente è il lievito più usato dall’industria alimentare. E invece dò un consiglio: dimenticare per sempre questo finto lievito. Il cosiddetto lievito “per dolci” non va assolutamente usato in una alimentazione sana e naturale. E i dolci di farina? Anche i dolci di farina vanno lievitati col lievito biologico: o quello di birra, o quello a pasta acida. Sentirete la differenza!
IL BUON PANE NATURALE INTEGRALE. E I FITATI? FANNO PIU’ BENE CHE MALE. Usando il lievito a pasta madre per fare il pane, quindi impegnando un po’ del nostro tempo per un procedimento laborioso e delicato, in vista d’un pane eccellente, sano o almeno non comune, approfittiamo per usare solo ottima farina integrale di grano tenero. Va bene qualsiasi farina integrale, anche non biologica. Se no, non vale davvero la pena: è tempo sprecato. Anche per il gusto. E’ assurdo perdere tanto tempo, pazienza e cautele per fare il pane in casa con la pasta madre usando la… farina 00 o 0 del supermercato, farine artificiali perché raffinate e devitalizzate, cioè private di tutti gli elementi protettivi e di gusto offerti dalla Natura. Infatti, la pasta madre aggiunge sapore e odore, ma non può certo aggiungere ad una farina raffinata il germe con gli acidi grassi protettivi, la vitamina E, i polifenoli antiossidanti, le fibre solubili e insolubili, i sali minerali, le vitamine B come tiamina, riboflavina, niacina, piridossina ecc. Del resto, non è solo la Tradizione, ma anche la Scienza moderna che prescrive di tornare ai cereali integrali. Quindi, sia il lievito madre, sia il monte di farina con cui faremo il pane, devono essere tassativamente di farina integrale di grano (tenero, meglio che duro, perché più lavorabile). Gli Antichi quando scoprirono il grano tenero Triticum aestivum, che sembra fatto apposta per fare il pane, abbandonarono subito il T. monococcum (farricello) e T. dicoccum (farro). E non mescolate le farine più strane, com’è di moda oggi: i “5 cereali” sono solo un trucco di marketing per raddoppiare il prezzo. In realtà, la qualità del pane può solo peggiorare, mentre il costo può solo aumentare. Se c’è una cosa che il pane, che è stato il primo fast food di pastori, contadini, soldati e operai, non sopporta è lo snobismo. Mettetevi in testa che fare il pane non è un’azione narcisistica, raffinata, aristocratica o elegante. Se poi, sotto sotto, invece del semplice pane vorreste preparare un dolce o una torta rustica, ebbene, fateli, ma a parte: non mettete nel pane qualunque cosa. Sarebbe un truccare le carte: chiamare “pane” un prodotto di pasticceria o rosticceria. Oltretutto, se il “pane” è condito in modo fantasioso da olive, noci, uvetta, fichi secchi, olio, miele ecc. (cosa che già gli Antichi facevano), vuol dire che il pane… non vi piace più: siete solo molto golosi. E il pane condito si fa mangiare molto più spesso e dà più calorie: due motivi per ingrassare! Il pane serve solo per accompagnare i cibi, non è un cibo-base. Quindi fatelo più spartano che potete: farina integrale di grano tenero, acqua, lievito, sale.
Alcune lettrici molto influenzabili, terrorizzate dopo aver letto testi di medici o igienisti di 100 anni fa, oppure opuscoli o siti web arretrati e poco scientifici, sono preoccupate dei fitati (o acido fitico, o fitina) presenti in tutti i cereali integrali e perciò anche nel pane integrale, perché riducono il valore nutrizionale degli alimenti, l’assimilazione di minerali e nutrienti (calcio, fosforo, ferro ecc.). Vero, ma parafrasando la celebre battuta del giornalista del film-culto, “è la Natura, bellezza!” Che ci vogliamo fare? Vogliamo cambiare, raffinare gli alimenti, renderli artificiali? Questo è proprio quello che sta facendo l’industria, rispondendo alla domanda della gente stupida! Ma per fortuna la Natura provvede e vince sempre sull’ottusità degli uomini. Infatti…
1. I fitati sono notevolmente ridotti proprio dalla lunga lievitazione (8-12 ore) a pasta acida. E più lunga è, meglio è. Quindi, per ridurre i fitati non basta aggiungere lievito madre all’impasto di una piadina o pizza e infornare subito, ma bisogna compiere tutta la lievitazione.
2. Ma i fitati non devono essere eliminati, perché sono potenti anti-cancro e anti-lipidi. Sono una caratteristica fondamentale dell’alimentazione sana e naturale, che vuole soprattutto la completezza del cibo. E’ una contraddizione volere il cibo completo e naturale, e poi eliminare i fitati. E’ il luogo comune n.72 nella lista di 80 “leggende metropolitane” più comuni, come quella della “frutta lontano dai pasti” (vedi colonnino). Perché i fitati, come altre sostanze extra-nutrizionali tipiche degli alimenti naturali (saponine, polifenoli, fibre ecc), per il medesimo meccanismo d’azione per cui sono antinutrienti sono anche potenti anti-colesterolo, anti-grassi, anti-diabete e anti-cancro. E sono antiossidanti. E’ stato dimostrato che, in caso di cancro, sono addirittura anti-proliferativi. E’ sufficiente? Quindi, evviva il buon pane integrale fatto in casa col lievito a pasta acida e le saporite farine integrali, sane, meno caloriche, meno assimilabili (per fortuna), anti-stitichezza, anti-obesità e preventive delle principali malattie di oggi.
SI VENDE ANCHE IL LIEVITO ACIDO (“PASTA MADRE”) LIOFILIZZATO, CIOE’ ESSICCATO. MA… Per i pigri, e i “vorrei, ma non posso”, il mercato mette a disposizione anche il lievito a pasta madre in polvere, liofilizzato (che vuol dire solo disidratato a bassa temperatura). Si trova nelle botteghe di alimentazione naturale o bio. Può andar benino per iniziare la coltura in certi casi, ma a me è sembrato che dà origine ad una coltura troppo debole. Vero è, però, che ce ne sono vari tipi, di marche diverse. Ma ho provato diverse volte e mi è sembrato che non venga così bene (su questo, però, accetto opinioni contrarie) come quello iniziato da me col classico panetto di lievito di birra fresco. Provate con due bustine al posto di una! Il mio parere? Anche per ragioni psicologiche e di relax (se uno ha fretta, non faccia la pasta madre!) è molto meglio farselo da sé il lievito a pasta acida, anche perché è sempre diverso a seconda di chi lo fa, a seconda della farina, dell’acqua e dei lieviti presenti nell’aria in quella zona o stagione, e dunque acquista quel tocco personale e irripetibile che ci gratifica con la nostra “creazione” e ci permette di fare un pane “tutto nostro”, diverso da qualunque altro sulla faccia della Terra, in cui c’è qualcosa della nostra personalità.
PROVIAMO A FARE IN CASA UN LIEVITO “DEL TUTTO” SELVAGGIO: PERO’ E’ DIFFICILE, VUOLE MOLTI GIORNI O MESI, E VIENE DEBOLE. Come accennato, il lievito a pasta madre puramente selvaggio consiste in un impasto molle di acqua e farina di frumento integrale lasciato fermentare per vari giorni: viene colonizzato da una complessa flora di microrganismi, lieviti e batteri presenti nell’aria e nella farina stessa, finché non acquista un caratteristico e forte odore acido. Non seguite le solite ricettine delle signore snob-alternative, del tutto moderne e di origine inglese-americana, che imperversano su internet e sui libri di ricette, che prescrivono l’aggiunta, per “velocizzare” il processo selvaggio, di miele, melassa, zucchero di canna, di malto, di acero ecc. Secondo voi, le massaie etrusche e romane sprecavano il rarissimo e prezioso miele per darlo in pasto ai fermenti? Ne avremmo come minimo testimonianza nei libri di agricoltura e alimentazione di Columella, Catone, o nel poemetto Moretum dello pseudo-Virgilio. Invece, non ce n’è traccia. Gli Antichi, e fino alle nostre nonne, non erano stupidi e snob: il miele se lo gustavano al naturale, e per il lievito selvaggio delle origini usavano soltanto farina e acqua, poi arrivato il vino aggiunsero alla farina il mosto, cioè il vino appena spremuto, ma per i suoi fermenti, non per il suo zucchero. Lo stesso, durante la vendemmia, possiamo fare noi: una pasta madre fatta di farina intrisa di mosto d’uva (l’uva deve essere da vino, non da tavola!) appena spremuta. La stessa acidità, dovuta a fermenti acidofili, se è abbastanza forte, preserva la pasta madre dai batteri dannosi. Che se anche dovessero esserci, verranno comunque distrutti dalla cottura del pane a 200°C. Ma se qualcosa va male e l’acidità è debole, il rischio della muffa (muffe bianche, gialle-brune e verdi-azzurre) è reale. In questo caso il panetto di pasta madre va gettato via.
Se invece tutto va bene, e avrete avuto cura di far rassodare a poco a poco l’impasto in un panetto, che avrà all’interno un colore giallognolo-grigiastro e un forte odore di lievito o vagamente ammoniacale (per sentirlo dovete avvicinare il naso a 1 cm.), la pasta acida potrebbe cominciare ad essere attiva come lievito, cioè capace di far fermentare a sua volta – ma più lentamente della pasta madre fatta a partire dal lievito di birra, e molto più lentamente del solo lievito di birra – anche un’intera pesante pagnotta rendendola un po’ più voluminosa, e a cottura ultimata piena di piccolissimi buchi (più piccoli di quelli del lievito di birra), e quindi avremo un pane compatto, certo, e pesante sulle mani, ma certamente più soffice, masticabile, saporito e digeribile che se non avessimo usato nessun lievito.
LA STORIA DELLE AGGIUNTE DEI FERMENTI. Ma gli Antichi scoprirono subito che il solo impasto di acqua e farina (lievito selvaggio, propriamente detto) tardava a dare un buon lievito, che poteva facilmente ammuffire, che bisognava aspettare troppi giorni, e che ci volevano alcune “generazioni” di pani per renderlo sempre più potente. E nel frattempo poteva andare a male e dare un sapore cattivo, con perdita della preziosa materia prima (gli Antichi erano deboli in igiene: ignoravano l’esistenza dei microbi). Così, per accelerare il processo naturale spontaneo di fermentazione, aggiunsero alla farina tutti i fermenti naturali che avevano, in funzione di “starter” (avviamento): mosto d’uva fresco durante la vendemmia, latte acido fermentato da lactobacilli (yogurt diremmo oggi), oppure succhi di frutti fermentati per il sidro (mele, pere ecc), residui dell’orzo maltato della birra. Non avevano ancora la coltura pura e potente di lieviti naturali selezionati del nostro lievito di birra (inventato nell’800 coltivando i saccaromiceti della birra). Ma avevano trovato il modo di iniziare la coltura del lievito acido in modo più potente e sicuro. Dopodiché, la coltura proseguiva e si rafforzava, di impasto in impasto, passando – allora, sì, era indispensabile – di mano in mano. Ma così, aumentavano anche i rischi igienici, per quanto deboli. Quindi già gli Antichi Etruschi, Romani, Greci, Egizi e Galli erano in grado di produrre e conservare come lievito una pasta madre non più puramente selvaggia, ma mista, cioè in parte addomesticata e potenziata da fermenti noti per la loro forza (mosto, birra, latte acido ecc).
MA NOI MODERNI LO STARTER POTENTE E SANO LO ABBIAMO: E’ IL LIEVITO DI BIRRA. A differenza degli Antichi noi moderni siamo fanatici dell’igiene, e oggi perfino noi, anzi, proprio noi naturisti, siamo in allarme se un familiare ha l’influenza o qualcuno starnutisce, o una mosca si posa sul bordo della tazza del lievito, mentre facciamo la pasta madre o lo yogurt. Perché sono colture molto sensibili ai microrganismi in quanto devono essere lasciate alla pericolosa e critica temperatura ambiente e in locali non certo sterili come le nostre cucine. E allora, per fare una buona pasta madre meglio partire da una colonia di fermenti, naturale sì, ma selezionata e sicura igienicamente: il lievito di birra. In sostanza sceglieremo il terzo, il più affidabile, dei tre metodi naturali qui di seguito descritti, tutti ugualmente sani, ma solo l’ultimo senza rischi.
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1. Pasta madre della tradizione arcaica, prima dell’invenzione del vino e della birra. La pasta madre era fatta solo di farina integrale e acqua. E naturalmente per avere un lievito sufficientemente forte si aspettava lungamente che casualmente le molte specie di lieviti selvaggi dell’aria e della farina la colonizzassero, con qualche piccolo rischio di cattivo sapore, indurimento eccessivo, ammuffimento o lievitazione troppo lenta e modesta.
2. Pasta madre della tradizione antica (Egizi, Etruschi, Romani e poi fino all’800). L’impasto di farina e acqua veniva ben indirizzato e accelerato in partenza aggiungendovi subito come potente starter il mosto di vino o di birra. Al pezzo di pasta cruda conservato poi come futura pasta madre, dal secondo pane in poi si aggiungevano spontaneamente i lieviti selvaggi presenti nell’aria. E il pane veniva sempre più buono, saporito e ricco, giorno dopo giorno, settimana dopo settimana. Insomma, la pasta madre si arricchiva di lieviti man mano che passava il tempo. C’era, però, qualche rischio di igiene e di colorazione indesiderata della pasta.
3. Pasta madre della tradizione moderna. E’ il perfezionamento del metodo antico. Anziché con farina integrale, acqua e mosto di vino o di birra, il primo impasto si fa con farina integrale, acqua e lievito di birra, cioè con i saccaromiceti presenti naturalmente nel mosto di birra allevati in massa. Insomma, un’ottima mediazione tra naturalità e sicurezza, che dà veri e prolungati vantaggi.
Il consiglio, dunque, è di fare il primo pane col dignitoso, non eccelso, ma sicuro lievito di birra, colonia selezionata di Saccharomyces cerevisiae. Questo permette di partire benissimo con una lievitazione insieme forte e naturale. Certo, bisogna dare per scontato che il primo pane non sarà eccezionale (migliore, però, di quello finto integrale che acquistiamo malvolentieri dal fornaio, se la farina è davvero integrale). Per rendere migliore sapore e aroma di questo primo pane propedeutico che serve in realtà per ricavarne la prima coltura di pasta acida, aggiungete all’impasto fatto col lievito di birra qualche cucchiaio di aceto. Ma, per carità, non ditelo a nessuno: non si è mai letto, detto o sentito da nessuna parte. E’ un mio trucco personale, e se lo sa mia nonna Vittoria si rivolta nella tomba. Come l’ho scoperto? Semplice: studiando i composti chimici che si formano nel buon pane: ci sono anche eteri e acidi acetici.
Ma poi – a partire dalla seconda o terza panificazione – la pasta madre ben conservata e rinnovata sarà sempre più ricca di lieviti selvaggi e migliorerà sempre di più, fino a stabilizzarsi in un compatto impasto (vagamente bianco rosato all’interno: è questa la parte più vitale) per durare mesi. Dopodiché, contro le tante leggende assurde (colture “secolari” o “millenarie” tramandate di madre in figlia…) la coltura del lievito a pasta acida, che è delicatissima e si rovina per un nonnulla, tenderà a decadere, a indebolirsi o a degradarsi (muffe all’esterno o all’interno, cattivo odore). E quando vedrete che, anche senza degradarsi visivamente, la pasta madre fa lievitare troppo poco il pane, bisogna rifarla da capo, da zero.
All’inizio, quindi, solo per il vostro primo pane della serie, un lievito così pulito, educato, poco puzzolente e “perbene”, darà al pane un sapore neutro. Perché ha una sola specie di saccaromiceti, e perché questa è così potente da tenere a bada la prima volta gli altri lieviti, e produce molta gas anidride carbonica (quello che fa lievitare meccanicamente in modo vistoso una pagnotta in appena 1 ora). A me, sinceramente, non piace il “primo pane” che faccio. E’ sicuramente sano ma è insipido. Ma a partire dalla seconda e soprattutto terza panificazione, tutto cambia, e il mio quarto pane è davvero perfetto.
PARTIRE DAL LIEVITO DI BIRRA E ARRIVARE ALLA PASTA MADRE. Il compromesso migliore tra igiene, gusto, naturalità e prevenzione, è invece fare come facevano gli Antichi che aggiungevano i loro fermenti a quelli dell’aria. Partire dal lievito di birra (yogurt e mosto non sono più naturali, solo più deboli), per lasciarlo fermentare a vuoto con acqua e farina, oppure usarlo direttamente per una prima pagnotta di pane “starter”, e poi al successivo impasto ritrovarsi con sorpresa la potente pasta madre rinforzata e insaporita di molti altri lieviti selvaggi e batteri. Inutile dire che partire in questo modo naturale ma potente assicura il successo ai fornai principianti (cioè a tutti noi), galvanizza psicologicamente, evita rischi igienici, e soprattutto fa durare molto più a lungo la coltura.
RICETTA DELLA PASTA MADRE INIZIALE. Esistono tre soluzioni teoriche su come iniziare, ma una sola è praticabile:
A. Lievito selvaggio. E’ la coraggiosissima “soluzione fondamentalista”. Partite da zero fingendo di essere una casalinga etrusca nella sua fattoria isolata, senza parenti o vicini di sorta a cui chiedere aiuto, che deve iniziare la sua coltura di pasta madre. Così, almeno, saprete quello che mangiate. Bene, convinta? Allora basta lasciar inacidire un impasto di farina integrale e acqua, assolutamente senza sale. Ci vorranno molti giorni e molte cure, compreso ad un certo momento l’avvolgimento in una pezzuola umida, prima che il panetto sia diventato così puzzolente da acquistare potere lievitante. Ma più facilmente potrebbe ammuffire, e dovrete gettarlo via. E comunque, ammesso che vada a finire bene, potrebbe risultare un lievito molto debole. Gli Antichi non sono un esempio di lievitatori: erano abituati al pane non lievitato, duro come gallette o piadine. Sarà una soluzione iper-naturista, ma non ve la consiglio. La praticherete quando sarete diventate bravissime, vecchie e sagge. Ma ancora con tutti i denti, per poter masticare il duro pane poco lievitato. Sconsigliato.
B. Lievito maturo regalato da amiche. E’ la soluzione “sociale”, tipica dei paesini d’una volta e ora delle feste di quartiere tipo “Pasta Madre Day” (che però fanno la pasta acida e il relativo pane con… la farina bianca raffinata!). Mia nonna Vittoria, a Graffignano, nella valle Tiberina al confine con l’Umbria, accorgendosi di aver finito la pasta madre andava dalla vicina a chiederne un pezzo. Un giorno tu a me, un altro io a te. Ma quelle donne erano bravissime a far fruttare anche piccoli pezzi di pasta madre, grazie alle doppie e perfino triple lievitazioni. Infatti, decenni dopo, ormai vecchia, vedendomi usare un grosso pugno di pasta madre per una sola pagnotta, l’anziana donna non seppe trattenersi, e disse che lei con quella quantità, da giovane, ne faceva dieci, di pagnotte, non una sola! Un vero schiaffo morale. E dire che a me, a stento, veniva benino con tanto lievito (…perché per la fretta moderna e cittadina rifiutavo perfino l’idea di fare 2 o 3 lievitazioni, cioè rimpasti, come avrei dovuto!). E poi oggi in città chi mai dei vostri vicini avrà una coltura di lievito madre? E non parliamo dell’igiene! Non fatevi regalare un pezzo di pasta madre da sconosciuti: l’igiene è una cosa seria e il pane è una cosa personale. So che mia nonna mi disapprova, ma tant’è: siamo diventati schifiltosi. Sconsigliato tranne in emergenza.
C. Lievito di birra. E’ la soluzione pulita, pratica, potente, sicura, e ancora naturale. Insomma, fate fare da starter alla sola colonia di potenti lieviti Saccharomyces del classico panetto di lievito di birra: è l’uovo di Colombo. Bastano 2 panetti di lievito di birra fresco (supermercato, zona frigo) o 2 bustine di lievito di birra liofilizzato bio (negozi del naturale) per 1 kg di farina, che darà circa 1,400 kg di pane cotto. Attenzione a non scambiare per lievito di birra liofilizzato il lievito chimico in polvere per dolci o tipo Bertolini (bicarbonato, cremore di tartaro o sali ammoniacali).
Sciogliere bene 2 panetti di lievito di birra in una tazza di acqua tiepida (30°C circa, oltre i 40°C cominciano a morire alcuni microrganismi) e non clorata. L’ipoclorito aggiunto di notte negli acquedotti uccide parte dei lieviti: usare perciò acqua pura, anche minerale, riscaldandola appena. Finché non siete pratici delle temperature, un termometro (sterilizzato con candeggina e poi sciacquato bene sotto il rubinetto, senza toccare con le dita la parte che si immerge) non guasterà.
Appena il liquido della tazza comincia a fermentare (ma la cosa, attenzione, può essere impercettibile) versate in un cratere di farina e impastate. In un cratere a lato, a parte, impastare l’altra farina con acqua e il sale voluto. Infatti è bene che il sale non entri direttamente in contatto col lievito vitalizzato: ne limita e prolunga la lievitazione.
Uniti i due impasti, si continua a lavorare col caratteristico sistema del trascinamento e della slabbratura della pasta, alternato alle classiche ripiegature su se stessa e alle compressioni.
Alla fine dell’impasto togliere un pugno di pasta, appallottolarla, comprimerla in una tazza di farina, coprirla di farina e lasciarla per 2-3 o 4 giorni in un armadio a temperatura normale. Ogni giorno comprimerla un poco e ricoprirla di farina. Quando non crescerà più e avrà un odore forte caratteristico, ecco che la pasta madre, in questo caso la prima pasta madre, sarà pronta. D’ora in poi verrà usata come il normale lievito (ma a differenza di quello “di birra”, dopo averla rivitalizzata ogni volta, come si spiega più avanti).
COME CONSERVARE LA PASTA MADRE. Ma il pane non si fa e non si è mai fatto ogni giorno, neanche nell’Antichità. A seconda del numero di familiari, lo si preparava ogni settimana o 2 settimane o un mese. In montagna e nei Paesi del Nord lo si faceva addirittura dopo il raccolto dei cereali, una volta l’anno, ed era poi essiccato e conservato. Perciò si è sempre posto il problema di come conservare il lievito a pasta acida, e come riutilizzarlo poco prima di fare il pane, visto che nel frattempo diventa duro o con la crosta, e potrebbe aver perso una parte del potere lievitante.
Dopo 2-3 e più giorni di maturazione, la pasta madre, compressa e dura, va conservata in frigorifero. Il freddo blocca l’attività di saccaromiceti e batteri, ma non li uccide. Qui, però, a causa dell’alta umidità, resisterà al massimo una settimana e poi dovrà essere reimpiegata per fare del nuovo pane. In caso contrario è alto il rischio di muffe gialle e verdi, e dovrà essere gettata via, ricominciando il ciclo. Alcuni usano con successo la conservazione in barattoli di vetro chiuso a tenuta, proprio per impedire all’umidità di entrare: non ho mai provato.
Se non si ha intenzione di fare il pane prima di 10 giorni, non essendoci più la rete di assistenza e distribuzione della pasta madre fresca dei villaggi antichi, consiglio di cospargere il panetto duro di lievito con farina, avvolgerlo in carta e poi cellofan per alimenti ben stretto con un elastico incrociato, e lasciarlo nel refrigeratore (freezer) a bassissima temperatura. Dove resiste per anni, sempre pronto a riprendere la propria vitalità. Confesso che proprio la settimana scorso ho “trovato” un panetto di pasta madre sigillato nel cellophan, dimenticato 2 anni fa: dopo la rivitalizzazione si è rivelato molto maturo, e mi è servito per il pane che sto consumando in questi giorni.
RIVITALIZZARE LA PASTA MADRE: I RINFRESCO. Si lascia rammollire in acqua appena tiepida per almeno mezz’ora o più il panetto duro di pasta madre tolto dal freezer, dopodiché lo si sminuzza in poltiglia tagliuzzandolo nell’acqua con un coltello e schiacciando i grumi con una forchetta. Amalgamare e girare bene la poltiglia che dovrà essere uniforme e senza grumi. Se ci sono ancora grumi, attendere ancora. Quando si ottiene una crema omogenea aggiungere 2-4 cucchiai di farina integrale, presa dalla confezione di 1 kg destinata al pane. Mescolare bene e riporre la ciotola in una coppa più grande (cautela nel caso che per troppo lievito o troppa farina il lievito fermentando fuoriesca).
II RINFRESCO. 4-8 ore o più dopo il I Rinfresco (quanto tempo dipende dal grado di forza del panetto di pasta madre, dalla quantità di farina aggiunta, dalla temperatura) la pasta fluida sarà fermentata, cresciuta circa del doppio e se la tazza è piccola tenderà a fuoriuscire dalla tazza. Con una forchetta rimescolate, aggiungete 1-2 cucchiai della farina destinata al pane, e amalgamate bene.
III RINFRESCO. 2-4 ore o più dopo il II Rinfresco la pasta fluida sarà fermentata di nuovo, spesso in modo molto appariscente. Bene: la pasta madre attiva è pronta. Potete iniziare a fare il pane.
SEQUENZA DEI TEMPI: DALLA PASTA MADRE DURA AL PANE. Decidere il giorno e l’ora X in cui si infornerà il pane. Mettiamo per ipotesi il sabato mattina. Se così è, ipotizziamo i seguenti tempi di massima (parlo della mia esperienza). Esempio:
1. Giovedi sera dopo cena tirar fuori dalla credenza (se è stata conservata per pochi giorni), dal frigo (se è stata riposta per più giorni) o dal freezer (dove è stata riposta per 1 settimana o più) la pasta madre dura e infarinata e, dopo aver controllato che non sia ammuffita iniziare con il I Rinfresco.
2. Venerdi mattina prima di colazione constatare lo stato di fermentazione e procedere con il II Rinfresco.
3. Venerdi pomeriggio dopo pranzo procedere col III Rinfresco.
4. Venerdi sera, dopo cena, accertata l’ottima fermentazione della pasta madre, procedere con l’impasto del pane, utilizzando la farina residua. Cospargere la pagnotta di farina adagiarla con delicatezza su una mattonella di gres da pavimento 30 x 30 interponendo un foglio di carta antiaderente oppure farina, semola o crusca, coprite con un telo pulito, poi con un panno di lana per evitare sbalzi di temperatura, e lasciate nel forno spento per tutta la notte. In cucina non ci devono essere spifferi o freddo o finestre aperte. Più è tiepido l’ambiente, meglio è.
5. Sabato mattina, 6-10 ore dopo aver dato forma al pane (il tempo dipende dalla forza della pasta madre e dalla temperatura), constatata la lievitazione (si vede dalla sfrangiatura dei bordi) e la crescita in alto della pagnotta cruda (se l’impasto era della giusta consistenza) o l’allargamento (se l’impasto era troppo morbido), senza nessuna “seconda lievitazione” (si chiama così il sommario rimpasto o smaneggiamento rapido della pagnotta cruda già cresciuta) potete direttamente accendere il forno (200°) e procedere alla cottura per 60 min (pagnotta alta da 1 kg) o 50 min (pagnotta bassa). Se si vuole, una bacinella di metallo piena d’acqua posta sul piano inferiore, quello della fiamma, garantirà quell’umidità necessaria a ottenere una crosta meno dura.
SECONDA LIEVITAZIONE, TIPICA DEI FORNAI: FONDAMENTALE. Ma i veri fornai non facevano (fanno) così. La pagnotta, per quanto sia ben lievitata, va sottoposta alla cosiddetta “seconda lievitazione“, che è solo un rapidissimo smaneggiamento o reimpasto che rimette in moto la residua fermentazione, spesso migliorando anche il gusto. E avendo a che fare con la pesante farina integrale e con un lievito debole come la pasta madre, in molti casi sarebbe necessaria perfino una “terza lievitazione”. Basta prendere tra le mani la pagnotta (attenzione, potrebbe essersi attaccata alla carta da forno se non avete cosparso il fondo di farina: sostituite la carta protettiva), ridandole forma di palla. Tutto questo in pochi secondi. Naturalmente, dovrete aspettare qualche mezz’ora, meglio se al calore moderato (minimo) del forno, finché la pagnotta torni a lievitarsi per la seconda volta. Se la seconda lievitazione dopo mezz’ora vi appare modesta, niente problemi: cuocete il pane a 200°C o poco più, e sarà lo stesso calore iniziale della cottura a finire la lievitazione e a sollevare la pagnotta.
Durante la cottura è vietatissimo aprire lo sportello del forno nella prima mezz’ora. E’ consigliato guardare spesso dall’oblò con la luce accesa. Constaterete con piacere che la pagnotta si è un po’ aperta, slabbrata o stracciata lungo i bordi o i tagli che le avrete fatto sulla parte superiore. Quando comincia ad imbrunire, dopo mezz’ora, abbassate un poco la temperatura (170-150°C),
PROBLEMI NOTI. Infiniti. Ad alcuni non piace il sapore acidulo e l’aroma forte: dipende da troppa pasta madre o troppo maturata, oppure da scarsa lievitazione o dal mancato uso del secondo rimpasto (“seconda lievitazione”). Ma per fare una pagnotta sola è quasi inevitabile che si debba usare più pasta m. del necessario: se è troppo poca, infatti, si secca troppo ed è poi difficile rivitalizzarla.
L’impasto non è cresciuto abbastanza: può dipendere da un colpo d’aria, dal freddo del locale, dal lievito ormai troppo debole. Se dipende dal freddo, accendete il forno al minimo e create un ambiente caldo: vedrete in pochi minuti la massa crescere. La pagnotta cotta non si stacca. Perché avete messo poca o nulla farina sotto e ai bordi dell’impasto (perché la pagnotta si allarga durante la lievitazione), oppure è proprio l’impasto troppo morbido o appiccicoso. La consistenza della pasta è il vero problema n.1, dipendendo dal modo e dalla durata dell’impasto, da tipi e qualità delle farine, qualità e tipo del lievito, quantità e tipo di acqua, stagione, clima, umidità dell’aria, “sfiga”, Fato, umore della signora del piano di sotto ecc), la pagnotta cotta risulterà troppo umida, ammassata, o si sarà troppo allargata a focaccia (l’antica forma del pane, dopotutto: consolatevi…), ma soprattutto non si staccherà dal gres in nessun modo, per quanta farina ci abbiate messo sotto. Fatevi furbi: anziché…imparare a fare bene il pane fate come faccio io: cospargete il fondo della pagnotta cruda di tanta crusca… Ho detto crusca, non segatura… Dopodiché il pane, bruno e ben lievitato, si toglie con l’aiuto laterale di un lungo coltello. Si rovescia e si fa raffreddare capovolto (l’ho visto fare, quand’ero piccolo – e una stranezza simile un bambino la nota subito – da mia nonna davanti al forno del paese; ma lo fa anche l’industria coi panettoni), per evitare che l’umidità della pagnotta sfornata, che dal basso sale verso l’alto, rammollisca la crosta che è più leggera e sottile del fondo.
FORME DEL PANE. Sono varie e dipendono dalla praticità e dalle tradizioni culturali antropologiche. La nostra, la tradizione etrusca-romana, vuole il pane basso, a focaccia, che è la forma atavica del primo pane lievitato (v. i reperti carbonizzati trovati nelle panetterie di Pompei). Panis quadratus, cioè con due intagli ortogonali, non perché “la Croce lo preservi dalla cattiva cottura” come credeva il superstizioso popolino cristiano, ma perché più facilmente allargabile in fase di lievitazione, e una volta cotto più divisibile in quattro per il commerciante, che poteva venderlo anche a quarti, e il consumatore. E’ normale che la pagnotta tenda ad allargarsi durante l’ultima lievitazione, tanto più se la si cuoce da sola, come accade nella cottura casalinga d’una persona singola o d’una piccola famiglia, poiché non è sorretta da altre forme di pane, come accade nei grandi forni commerciali in cui decine o centinaia di forme cuociono insieme. Quindi il pane tipico è necessariamente basso, il che facilita la cottura della mollica centrale, migliorandone molto la digeribilità, oltre a rendere più facile suddividerlo e tagliarlo a fette. La tradizione anglosassone, invece, condizionata dal grande uso del sandwich industriale che pretende tutte fette uguali, preferisce le forme in cassetta a parallelepipedo. In questo caso, grazie alle pareti di metallo (pessimo comunque l’alluminio, non usarlo), che conducono molto il calore e favoriscono le bruciature, o molto meglio di ceramica, la componente delle pressioni laterali spinge il pane ad alzarsi di più. Effetto analogo, ma minore, si ha infornando diversi filoni affiancati senza formette: si sorreggono e si alzano a vicenda. Rivedere i tempi della cottura, però.
AGGIUNTE, FISIME E STRANEZZE SNOB. Le cuoche e i libri di cucina inglesi e americani sono responsabili delle aggiunte più inutili, eccentriche e snob alla pasta madre, fuori dalle vere Tradizioni del pane naturale degli Antichi: miele, zucchero, yogurt, melassa, olio, salsa di soia ecc. Non date retta a tutte le stranezze che trovate su internet, sui libri delle cuoche dilettanti o professioniste o macrobiotiche o nei cosiddetti “corsi di panificazione”, ai curiosi “segreti” di questo o di quello, alle lungaggini complicate, ai perfezionismi virtuosistici, agli infiniti “rinfreschi” della pasta madre, gettando via addirittura una parte di farina e lievito – una pazzia – magari “per non dare al pane il sapore acidulo del lievito” (e allora si vadano a comperare il panaccio dal fornaio!), tantomeno alle aggiunte incredibili e improbabili alla pasta madre per “nutrire i fermenti”, come se non bastasse l’amido della farina (zucchero, miele, melassa, vitamina C, farina bianca Manitoba, farina di soia, olio di oliva, perfino – orribile a dirsi – salsa di soia…) dei soliti siti che più dicono cose strane e complicate, più sembrano “esperti” e credibili agli inesperti. L’aggiunta di ingredienti mai usati in passato dalle nostre tradizioni o addirittura dannosi (la salsa di soia, è un pugno in un occhio, non c’entra nulla col pane, e oltretutto se la si usa spesso, è mutagenica e cancerogena), e quindi non naturali, è un trucco per intorbidare le acque e nascondere eventuali difetti.
No, la Tradizione e la Scienza dicono cose semplici ed elementari: il pane si faceva e si deve fare solo con farina integrale e acqua (e tutt’al più con poco sale). E già così è difficile. Non c’è nessun bisogno di complicazioni per “far vedere quanto si è bravi”. Fare il pane è la cosa più entusiasmante che si possa fare in una cucina; ha più della Creazione che della gastronomia. E’ una specie di miracolo naturista. Ma proprio per questo dipende da molte variabili. Ripeto sempre che il pane viene buono o discreto, forse, alla 3.a o 4.a volta… D’altra parte non possiamo trasformare il pane in una torta rustica o dolce. La rosticceria e la pasticceria sono un altro capitolo.
(*) Willett WC e Stampfer MJ, La nuova piramide alimentare, Le Scienze (Scientific American, ed. it.), 414, 46-53 (febbraio 2003).
IMMAGINE. 1. La pagnottella di pasta madre o lievito a pasta acida o “naturale”. 2. Il lievito di birra fresco sbriciolato. E’ l’ideale per iniziare una potente ed efficiente coltura di pasta madre, che migliorerà di volta in volta. 3. La pasta madre dopo il rinfresco, sotto forma di pastella cremosa fermentata pronta per essere usata come lievito per il pane. Notare le bollicine. Dovrebbe risultare di volume doppio rispetto alla pastella ottenuta al momento dell’aggiunta dell’acqua e della farina. 4. Pane sfornato, con la tipica forma tradizionale etrusco-romana (o all’italiana) a focaccia bassa, suddiviso in quattro da due tagli superficiali incisi nella pasta prima di infornare. Non si tratta d’una “croce” come crede il popolino cristiano superstizioso, ma di linee di minor resistenza che faciliteranno la lievitazione della pagnotta cruda e poi dopo la cottura predisporranno la divisione in quattro della pagnotta anche senza coltello (panis quadratus).
Cos’è il lievito madre, come usarlo e conservarlo
Che cos’è il lievito madre (o pasta madre, detto anche “lievito naturale” o “pasta acida”), come e quando usarlo e conservarlo, la differenza tra quello liquido e solido.
Benvenuti sul Manifesto di questioni irrisolte sul lievito madre cui sarebbe il caso che qualcuno rispondesse. Che cos’è, innanzitutto, come e quando usarlo, mantenerlo vivo e conservarlo, liquido o solido che sia.
Se abbiamo tempo per prenderci cura della pasta madre come fosse una figlia, nutrendola e coprendola delicatamente con candidi panni, certo la pazienza per mettere i puntini sulle i di questo benedetto lievito non ci manca.
Ecco snocciolato un po’ tutto quello che dovete sapere sul lievito madre prima di iniziare a convivere con un barattolone a chiusura ermetica.
Lievito madre: una definizione
Il lievito madre è un impasto di acqua e farina lasciato maturare per un tempo più o meno lungo. Durante questo periodo i lieviti (per lo più saccaromiceti) e i batteri lattici e acetici (lactobacilli e streptococchi) presenti nell’aria e nella farina avviano il processo di fermentazione.
La sua gestione richiede una pratica di “rinfresco” a intervalli regolari, che consiste nel re-impasto di una parte di pasta con acqua e farina, in modo da mantenere attiva la fermentazione e quindi il suo ciclo di vita.
Se il lievito di birra contiene un solo ceppo di microorganismi (Saccharomyces cerevisiae), il lievito madre comprende invece diverse famiglie di lieviti e batteri.
Se ci fate caso, non ho scritto che il primo è figlio del demonio mentre l’altro il prodotto della terra: entrambi sono definibili “naturali”, ma composizione e ciclo vitale sono differenti. Non siate razzisti con il lievito di birra, insomma.
Il ruolo dei batteri nel lievito madre
La fermentazione lattica produce acidi organici che migliorano i sapori, i profumi e lo sviluppo degli alveoli. L’acidità dell’impasto garantisce inoltre più resistenza contro i microrganismi causa della crescita delle muffe, fattore che aumenta notevolmente la shelf-life (durata) dei lievitati; pensate ad esempio al panettone (definibile come tale solo se realizzato con lievito madre) che, grazie anche a grassi, zuccheri e umidità, riesce a durare anche qualche mese.
Il rovescio della medaglia è la gestione laboriosa del lievito madre, specialmente per il contesto domestico, e che soprattutto nel primo periodo di “vita” del prefermento è soggetta a non pochi sprechi.
Un lievito madre troppo acido infatti può compromette la struttura degli impasti, e si rende quindi necessario stabilizzare il pH intorno a 4.1, valore ottenibile con la tecnica dei rinfreschi, di cui parleremo a breve.
Lo so, lo so, è alquanto improbabile che voi abbiate a casa pH-metro per misurarne il valore preciso.
In alternativa può essere utile affidatevi ai vostri sensi, annusando l’impasto per percepirne il profumo equilibrato che dovrà ricordare quello dello yogurt.
Quando usare il lievito madre (e quando non usarlo)
Struttura, shelf-life e profumi dicevamo, giusto? Ebbene, permettetemi allora di sconsigliarvi l’uso del lievito madre nelle pizze tonde, nella teglia romana, nel trancio milanese e nelle focacce, tutte preparazioni con sezioni più basse, coperte da ingredienti e che di norma vi sbranate nei minuti successivi alla cottura.
Capirete quindi quanto un apporto aggiuntivo in quanto a profumi, struttura e conservabilità servano fino a un certo punto, soprattutto considerando che potete raggiungere un ottimo risultato già solo utilizzando delle farine di buona qualità.
Inoltre, come già ricordato, il lievito di birra non è assolutamente meno digeribile: con lievitazioni a temperatura controllata, farine scelte bene e maturazioni equilibrate si ottengono livelli di fragranza e bontà molto elevati, senza contare che la digeribilità è imputabile più alla cottura che alla maturazione.
Uno dei campi dove l’utilizzo del lievito madre inizia ad acquistare veramente senso è quello del pane, che ben si presta all’impiego di farine non di grano tenero e con meno glutine, e che necessitano quindi di un’agevolazione in termini di struttura. In tal modo il pane, peraltro, si conserverà più a lungo.
Il campo principale tuttavia è e rimane quello dei grandi lievitati: un impasto complesso, sulla cui maglia glutinica grassi, uova e sospensioni esercitano il loro peso, richiedendo un supporto non indifferente per il quale entra in gioco il ruolo fondamentale di un prefermento che non deve essere perfetto, DI PIÙ.
Lievito madre liquido o solido: che cosa cambia
Esistono due versioni del lievito madre, la cui principale differenza riguarda l’idratazione, ovverosia la percentuale di acqua rapportata alla farina.
Mentre il cosiddetto Li.Co.Li. (Lievito Coltura Liquida) viene preparato con le stesse quantità di acqua e farina (100% di idratazione), la versione solida presuppone un 50% di acqua.
Cosa cambia? Il Li.Co.Li. assicura alveoli piccoli e ben distribuiti, croccantezza superiore e una maglia glutinica molto estensibile grazie alla quantità d’acqua che accelera l’attività enzimatica. Il sapore è più pungente, a causa della presenza di acido acetico e alcol.
È molto usato in panificazione, in quanto migliora le caratteristiche della crosta, e l’acidità pronunciata aiuta a legare le proteine dei cereali più deboli come la segale.
La pasta madre solida garantisce invece alveoli grossi e irregolari, struttura salda, buona spinta verso l’alto e una maglia glutinica solida, grazie alla prevalenza di acidi organici. La mollica è morbida e aromatica, grazie alla produzione di acido lattico durante la fermentazione.
Nella maggior parte dei casi, il lievito solido viene sottoposto in contesto professionale a una lavorazione molto precisa e accurata, proprio per soddisfare i delicati parametri richiesti dalla pasticceria. Di fatto, ciò implica un trattamento più lungo che aiuti a raffinare e incordare l’impasto, stratificando il glutine.
Al contrario, il Li.Co.Li. viene semplicemente rinfrescato miscelando i due ingredienti, in un processo che dura pochissimi minuti.
I rinfreschi del lievito madre: cosa sono
Rinfrescare significa nutrire: alimentando il lievito madre con acqua e farina se ne mantengono intatte le caratteristiche e l’acidità rimane entro i limiti consigliabili di cui abbiamo già discusso.
Il rinfresco è fondamentale sia per riattivare il ciclo di vita del lievito madre che per prepararlo all’uso.
Nel caso di pasta madre solida, a una data quantità d’impasto è necessario la stessa quantità di farina e il 50% d’acqua. È necessario poi qualche minuto di manipolazione per rendere l’impasto liscio e ben incordato, adatto a sviluppare lievitati in altezza.
Nella pasta madre liquida è sufficiente invece mescolare i tre ingredienti in parti uguali per preparare l’impasto alla fase di fermentazione.
In entrambi i casi, il lievito matura più velocemente al caldo, a una temperatura tra i 26 e i 28 gradi.
La conservazione del lievito madre
Per conservare il lievito madre liquido basta un barattolo a chiusura ermetica. La quantità maggiore d’acqua del Li.Co.Li. aiuta a stabilizzare l’acidità per un tempo lungo, fino 4 giorni se conservato in frigorifero, con il limite massimo di una settimana. Considerate tuttavia che in questo caso servono almeno due rinfreschi prima di procedere all’utilizzo.
Per il lievito madre solido invece il discorso è diverso. Una volta preparato viene steso, arrotolato su se stesso, avvolto in un canovaccio e legato stretto, in modo che la fermentazione sia uniforme. Tale versione richiede rinfreschi più frequenti, almeno ogni 48 ore per conservare al meglio le caratteristiche di acidità ottimali dell’impasto.
In un caso o nell’altro, considerando che ad ogni rinfresco si buttano discrete quantità di impasto, valutate molto attentamente i tempi e l’utilizzo per limitare gli sprechi. Potete sempre rinfrescare la parte in avanzo e farvi dei pancakes salati o delle focaccine in padella.