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Senza figli e senza rimpianti: Il dibattito sulla vita completa

«The Childfree Life. Quando avere tutto significa non avere figli». Nell’estate del Royal Baby, della celeste Kate e delle super mamme alla Belen, una refrigerante brezza assolutoria viene dagli States dove il settimanale Time mette in copertina lei, lui e il sole di una vita «libera» dall’imperativo categorico della genitorialità come via maestra all’autorealizzazione. Salutare provocazione per un dibattito femminista che al di qua e al di là dell’Atlantico si è avvitato sulla difficoltà per le donne di «fare tutto» senza annullarsi nello sforzo di diventare se stesse.
E se quest’enfasi sul «fare tutto» servisse solo a coprire radicate gerarchie patriarcali che non ammettono la femminilità disgiunta dalla maternità?
Possiamo essere pienamente noi stesse anche mettendo da parte la responsabilità e la fatica della procreazione, scrive Lauren Sandler ricostruendo una realtà non ancora assorbita dalla cultura dominante e dal linguaggio ma che è già un orizzonte naturale per milioni di donne soddisfatte di una sessualità consapevole, armonicamente inserita in una vita non «childless» ma «childfree», non «senza figli» ma «libera».
Sono passati 64 anni dalla pubblicazione in Francia del Secondo sesso di Simone de Beauvoir, dalla denuncia senz’appello di un sistema culturale costruito nei millenni sulla definizione dell’essere donna a partire dalla funzione riproduttiva di un corpo che resta terreno di conquista per il potere maschile: la donna-ovaia, la donna-femmina negata dalla violenza pagana di figure mitologiche come Medea o sublimata nel culto cristiano di una scandalosa Vergine-Madre.
Nel solco di quell’analisi, in anni più recenti la filosofa Elisabeth Badinter ha messo in guardia dalla trappola del neofemminismo americano che afferma la specificità femminile attraverso la riappropriazione di una maternità così trasformata in nuova «schiavitù». Oggi proprio negli Stati Uniti, culla iconografica di massaie e torte di mele, sono sempre di più le trenta-quarantenni senza figli e senza rimpianti: malgrado una pressione sociale e una sovraesposizione mediatica della maternità senza precedenti, il tasso di nascite si mantiene il più basso della recente storia americana, tenendo conto anche della Grande Depressione del 1929. Si sta così formando un nuovo archetipo femminile, che consentirà di non dover più «giustificare» una scelta fin qui distorta da troppe stratificazioni di significato.
Per la maggior parte delle persone è naturale chiedere a una donna senza figli «come mai?».
Sul versante opposto, da quindici anni la demografa americana Stephanie Bohon ripete un esercizio con i suoi studenti: «Alzi la mano chi intende avere figli. La alzano tutti e, quando domando perché, non sanno cosa rispondere».
«Non definisco me stessa in base alle mie scelte riproduttive, sono irrilevanti», rincara la dose dalle colonne del britannico Times Hannah Betts; nel Regno Unito il numero di quarantenni senza figli è quasi raddoppiato dagli anni 90. Dopo decenni di elaborazione teorica e conquiste civili, vacilla il retropensiero che vede in queste donne delle eretiche sottratte al corso naturale delle cose, egoiste e colpevoli in un sistema sociale che pure continua a caricare soprattutto sulle loro spalle il peso della cura familiare — e non è detto che mettere al mondo un essere umano senza aver sciolto i nodi su se stessi sia meno egoista e irresponsabile che lavorare per trovare la propria strada, senza coinvolgere i figli nei propri disastri.
Donne che rivendicano il diritto a costruire il proprio posto nel mondo attraverso lo studio, il lavoro e l’amore nelle sue infinite declinazioni. Il vero lusso, dice Margherita Buy nel film di raro garbo dedicato al tema da Maria Sole Tognazzi, «Viaggio sola», è il piacere di una vita vera vissuta fino in fondo e piena di imperfezioni.
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Chi è genitore si sente meno felice di chi non ha figli

Lo dice uno studio americano sulla valutazione del benessere soggettivo, per scoprirlo è stato analizzato un campione di tre milioni di persone.
Sembra scientificamente probabile che chi ha figli abbia la convinzione di essere meno felice di chi non ne abbia. E’ un’affermazione che parrebbe scontata, quanto cruda. Da una parte contraddice un basilare principio su cui tradizionalmente sembra fondata ogni società; ovvero che i figli siano un complemento necessario al nostro equilibrio biologico, o che diano comunque un senso alla nostra vita.
E’ però anche vero che tale è il senso della classica raccomandazione che fanno i genitori, massacrati dall’allevamento di prole turbolenta, a chi ancora non abbia fatto quell’esperienza…”Ah se potessi tornare indietro, beati voi che potete uscire la sera, beati voi che vi godete la vita…” Naturalmente tutto rientra in soggettive fasi umorali, o esistenziali, di chi formula il pensiero di come sarebbe stata la sua vita senza figli.
A sostenere che chi non ha figli sia oggettivamente più felice è uno studio molto serio, che compare negli atti della National Academy of Sciences. La ricerca è basata su due indagini dalla Gallup, il colosso americano delle analisi demoscopiche. Il campione che è stato preso in considerazione è piuttosto consistente, si parla di circa tre milioni d’individui. Per l’esattezza sono stati scandagliati un milione ottocentomila americani, nell’arco di tempo che va dal 2008 al 2012 e, iniziando due anni prima, un milione e settantamila altre persone provenienti da 161 paesi di tutto il mondo.
Una fetta di umanità quindi abbastanza rappresentativa del sentire medio sull’oggetto della ricerca, che domandava ai partecipanti quanto sentissero la loro vita prossima a un modello ideale d’esistenza felice. Che potevano valutare con un punteggio da uno a dieci.
In sintesi estrema quelli con figli hanno una percezione di vita felice minore di quelli che non ne hanno, questo avviene in maniera crescente nelle aree con maggiore tasso di fertilità come per l’Africa, l’America Latina, Medio Oriente e Asia meridionale, dove la scelta di avere un figlio spesso non corrisponde a un progetto liberamente accettato.
I dati numerici della ricerca sono stati interpretati da studiosi della Stony Brook University, dalle loro conclusioni è tuttavia attenuata l’idea che potremmo avviarci verso un’umanità futura che scelga di non avere figli, o di coppie che decidano di mantenersi in una perenne adolescenza emotiva, piuttosto che affrontare l’impegno di allargare la famiglia, sicuramente limitante di molte loro libertà individuali.
“Alla fine le valutazioni del concetto di vita felice non cambiano molto tra chi abbia figli o chi non ne abbia- ha detto al Los Angeles Time il professor Arthur Stone. “Ma quelli che hanno bambini vivono più intensamente sia le gioie, che le emozioni negative come rabbia, preoccupazione e stress”.
E’ chiaro che per chi può scegliere consapevolmente di procreare può anche lamentarsi, invidiando l’ apparente spensieratezza di chi ha meno problemi. E’ evidente per tutti che la vita senza il fardello dei figli possa sembrare meno faticosa, è più oggettivamente palese quando le risorse familiari sono molto limitate e potrebbero essere spese unicamente per la soddisfaione dei bisogni individuali.
E’ però meno facile ammettere per tutti che, almeno in Occidente, cominci a dare segni di cedimento il modello di una famiglia in cui la parola “sacrificio” sembrava il collante irrinunciabile e indispensabile a garantirne la tenuta.
In attesa che si presentino all’orizzonte soluzioni alternative, chi ha figli e non si senta troppo felice per questo, almeno saprà di non essere solo, nello struggente rimpianto di non potere vivere alla grande, o almeno come immagina vivano quelli che non si sono presi la briga della prosecuzione della specie.
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“Non abbiamo figli, e va bene così”

Da Coco Chanel a Margherita Hack: per la prima volta l’esercito muto delle donne che hanno scelto di non avere figli si racconta in «Lunàdigas», web-doc di Nicoletta Nesler e Marilisa Piga, frutto di molti anni di lavoro, in futuro probabile film, nel frattempo piattaforma aperta
«Ho 49 anni e non ho figli, non era la cosa che mi interessava di più… – confessa l’attrice e telestar Veronica Pivetti -. La genitorialità non è scontata». «Ho sempre pensato, con il mio compagno – fa eco Margherita Hack -, che non volevamo figlioli. Non ero portata, mi sono sempre piaciuti più gli animali che i bambini…l’eredità si può lasciare anche agli allievi». «Ogni donna – osserva la scrittrice Melissa P. – deve decidere da sè, non ho mai giudicato una donna senza figli. Sono stata cresciuta da una madre che non ne voleva e mi ha avuta a 20 anni, mi sono sempre chiesta, ma se avesse potuto decidere? Io non sarei nata, ma lei sarebbe stata una donna più felice».
Per la prima volta l’esercito muto delle donne che hanno scelto di non avere figli si racconta in «Lunàdigas», web-doc di Nicoletta Nesler e Marilisa Piga, frutto di molti anni di lavoro, in futuro probabile film, nel frattempo aperto a continue integrazioni, aggiunte, sviluppi: «Vogliamo che la nostra raccolta di testimonianze raggiunga un grande numero di persone, per stimolare un movimento di idee intorno alle varie forme di maternità, inclusa la non-maternità». In ballo per il titolo c’erano varie espressioni, la più cruda, «rami secchi», la biblica «aqrah», e quella scelta, che riporta il termine con cui i pastori sardi indicano «le pecore che non vogliono figliare». Tradizionalmente bollato con un implicito giudizio negativo (se non si possono avere figli si riceve subito solidarietà e comprensione, se non se ne vogliono si viene osservate con malevolo sospetto), il fenomeno mostra precise caratteristiche.
Dalla ricerca Eurisko, avviata nel 2010, nella platea femminile compresa tra i 18 e i 55 anni, viene fuori che le donne senza figli o che non vogliono figli, hanno un livello d’istruzione medio-alto, lavorano svolgendo spesso attività autonome o di imprenditrici, vivono per il 56% in nuclei familiari composti da due componenti e per il 40% da sole, presentano «un buon assetto emozionale, in equilibrio tra razionalità e sentimento», sono generalmente «ottimiste rispetto al futuro, con propensione alla partecipazione», e hanno «orientamento politico trasversale». Da questo universo emergono le testimonianze delle protagoniste di «Lunàdigas», viventi e non viventi, raccolte, quest’ultime, nell’affascinante sezione dei «monologhi impossibili». Qui, una dopo l’altra, scorrono le confessioni di donne celebri e valorose, eppure in eterno conflitto con quell’invisibile valutazione negativa che ha aleggiato sempre, in epoche diverse, sulle loro teste di non-madri: «Di figli non ne ho mai voluto sapere – racconta Coco Chanel -, mi è bastata la storia di mia madre Jeanne che morì, spossata dalle troppe gravidanze, a 32 anni….non sono mai stata materna, i tanti amanti non mi sono mai serviti per mettere al mondo un figlio…». Stesso destino per la bambola Barbie, «nè io nè Ken abbiamo mai pensato a fare figli», per la scrittrice Dorothy Parker: «I’m Dorothy Parker, and I’m not a mama. Sono Dorothy, per gli amici Dotty…sono sempre stata socialista, e la mia eredità è andata alla Fondazione Martin Luther King».
Con la voce delle donne di oggi discutono le ragazze del «Verona Rugby» riunite nello spogliatoio, dopo partita, pronte a ragionare sul tema in totale sincerità, ma anche le signore del «Melograno» di Firenze, e poi Nives Simonetti che, a 70 anni, dichiara «ho fatto l’insegnante, mi sono dedicata alla comunità», e ancora chi serenamente dice «non mi è mai passato per l’anticamera del cervello, o per l’anticamera dell’utero, di avere figli». Del web-doc «Lunàdigas» è bello, soprattutto, il clima di libertà che lo pervade. Nelle interviste, proprio per non costruire nuovi ghetti, parlano anche gli uomini (Moni Ovadia, Claudio Risè) e parlano donne che hanno avuto figli e nipoti e ne sono felici, altre che li hanno ma, con dolore, ne sono distanti, altre che sapevano fin da piccole di non volerne, altre che si confrontano ora con il problema, ascoltando se stesse e lasciando aperte tutte le possibilità. Se la vecchia, obsoleta, autocoscienza femminista ha dato i suoi frutti, «Lunadigàs» potrebbe essere il migliore.
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5 cose che le persone senza figli vorrebbero sapeste

In un’epoca in cui sono c’ sempre più gente che sceglie di non avere figli e le celebrità parlano apertamente delle loro decisioni personali in proposito, i ricercatori hanno iniziato ad indagare su questa scelta: chi ha più probabilità di non avere figli? Perché le persone scelgono di non averne? E gli altri come percepiscono i cosiddetti “childfree”?
I sondaggi raramente distinguono tra chi non ha avuto figli contro la sua volontà e chi, al contrario, decide di non averne consapevolmente. Ma i dati raccolti in un censimento del 2014 rivelano che in Usa il 47,6% delle donne tra i 15 e i 44 anni non ha avuto bambini, il tasso più alto mai registrato. Tra i 40 e i 44 anni, il 19% delle donne resta senza figli, secondo un report di Pew.
Ora, un nuovo studio esamina il modo in cui le persone arrivano a questa decisione, rivelando che non nasce da un confronto che avviene soltanto una volta, come suggerito dalle ricerche precedenti. Si tratta, anzi, di un dialogo continuo che una persona ha con se stessa e con il partner.
Amy Blackstone, sociologa dell’Università del Maine specializzata nella ricerca sui “childfree”, spera che il suo studio possa rimettere in discussione la convinzione per cui bambini e bambine debbano per forza diventare genitori, una volta adulti. Smontare questa convinzione potrebbe offrire loro, durante la crescita, il giusto spazio per decidere se diventare genitori è la scelta più giusta o meno.
“Oggi soprattutto le bambine, ma anche i maschietti, sono educati ad immaginarsi come futuri genitori”, ha spiegato. “Ma se pensassimo in modo più critico alla questione “diventare genitori o meno”, allora avremmo l’opportunità di fare le scelta più giusta”.
“Ovviamente chi non ha figli ne trarrebbe vantaggio… se la rendessimo una decisione e non un’assunzione imprescindibile”, continua Blackstone. “Ma credo che anche i genitori stessi ne beneficerebbero”.
Blackstone ha condotto un piccolo studio qualitativo per analizzare il modo in cui 31 persone (21 donne e 10 uomini, tutti etero tranne due), sono giunte alla decisione di non avere figli. Ha condotto delle interviste della durata di 60-90 minuti sul processo decisionale seguito, sulla reazione ricevuta dagli altri e sulle loro riflessioni riguardo questa scelta.
Blackstone ha scoperto che non si tratta di una valutazione facile o rapida, ma di un dialogo complesso e ininterrotto. Questo risponde alle critiche che dipingono le persone senza figli come egoiste o superficiali. Inoltre, lo studio fa luce sul diverso modo di affrontare questa scelta in base al genere e fornisce una panoramica approfondita sul ruolo di amici e parenti.
Di seguito leggerete cinque riflessioni, tratte dallo studio ed espresse dagli stessi partecipanti, che stanno alla base di questa decisione. Tutti i nomi utilizzati sono pseudonimi.
1. Le persone senza figli non prendono questa decisione con leggerezza
“Credo che tutti possano dire che arrivare a questo punto (e mantenere il nostro status di “childfree”) abbia rischiesto un processo decisionale costante perché in ogni relazione che stabilisci, soprattutto seria, è quello che ci si aspetta. Riconfermi costantemente la decisione di restare senza figli – Janet.
Non è una decisione dove ti dici “Ok, oggi è il giorno in cui non voglio figli”… è una scelta di base – April
“Io e il mio compagno discutiamo sulla domanda “Credi di volere dei figli o no”… Il tempo è passato… e ci rendiamo conto delle cose importanti per noi e di come vogliamo vivere la nostra vita. Per noi adesso un figlio sarebbe un cambiamento molto drastico” – Sarah.
“Credo che sia un tipo di scelta che abbiamo compiuto più di una volta, in momenti diversi della vita. Stiamo insieme da 18 anni: ogni cinque o sei anni l’argomento viene fuori ma credo che probabilmente adesso non accadrà più, data l’età. Uno di noi dice: “Allora, adesso vuoi dei bambini?” e l’altro risponde “No, niente affatto”. “C’è una circostanza che ci farebbe cambiare idea?” La risposta è no – Robin
2. Hanno osservato altri genitori da vicino, e non sono contenti di quello che hanno visto.
“Sono cresciuto immaginando che avrei avuto figli. Ti sposi e succede. Ma ho delle sorelle più grandi e, durante la crescita, le ho viste posticipare la maternità per molto tempo. Quindi per me è diventato chiaro che avere dei figli non fosse affatto una scelta inevitabile. Poi, le mie due sorelle minori sono rimaste incinte per sbaglio ed ho visto da vicino le conseguenze che questo evento ha avuto sulla loro vita: né loro né i partner avevano un buon lavoro. Si sono arrangiate e solo adesso, venti anni dopo, sono finalmente in grado di vivere la loro vita. Gradualmente ho maturato la scelta di non avere figli. Pian piano la conclusione per me è diventata: “Ok, non credo di averne bisogno” – Steve.
“Penso che in parte sia dovuto al fatto che, quando i miei amici hanno iniziato a fare figli, mi sono detta “non credo faccia per me”. Benché in passato volessi dei bambini, quando i miei amici hanno iniziato ad avere figli e a perdere la loro libertà e la loro individualità, la questione è diventata molto importante per me. Era come se non ci fosse il divertimento, l’immagine della famiglia felice a cui pensi quando sei giovane. Quando è toccato ai miei amici ho iniziato a pensare “Ok, io mi chiamo fuori” – Janet.
“Osservavo le famiglie intorno a me e mi chiedevo se anche io non desiderassi far parte di quella dinamica. Molte persone con figli non sembravano felici. I più erano molto stressati. C’era qualcosa che non mi invogliava a partecipare a questo stile di vita.
“Il matrimonio di mio fratello era molto infelice. Stava andando tutto a rotoli, così lui e sua moglie ci hanno provato dicendo “Facciamo un bambino, ci aiuterà a risolvere le cose”. E così hanno avuto una figlia. Due anni dopo hanno divorziato. Mio fratello ama sua figlia, ma dice anche che vorrebbe non averla mai avuta (per quanto possa sembrare terribile). Una volta mia sorella mi ha detto che quando torna a casa la sera e va a prendere sua figlia all’asilo, la piccola le dice “Voglio tornare all’asilo perché lì mi diverto di più”. Non credo di volerlo fare. Dev’essere una sensazione davvero orribile. E l’esperienza di mio fratello me lo ha riconfermato” – Cory
3. Spesso per le donne la responsabilità sociale fa la sua parte.
“Non avere figli è una scelta responsabile. Anziché seguire ciecamente le aspettative della società, di quello che “dovresti” fare, la scelta di non avere figli comporta una serie di fattori da prendere in considerazione. Penso alle questioni più svariate. Ad esempio, sono andata in campeggio nel weekend ed ho visto la spazzatura lasciata dalle famiglie con figli, oppure penso ai livelli di popolazione tollerabili” – April
“Sono davvero molto preoccupata per il nostro mondo. Andando più a fondo nelle questioni sociali, credo sul serio che il mondo sia contro i bambini adesso. Nella nostra struttura sociale avere figli non sarà più una cosa positiva. Non possiamo crescerli in modo sano” – Kate
“Da giovane ero molto attenta all’ambiente, in particolare al controllo della popolazione. Questo fattore ha contribuito alla mia decisione di non avere figli – Kim
4. … Mentre per gli uomini questa decisione ha motivazioni personali.
“Non avere figli è l’ovvio esito delle nostre scelte. Voglio essere in grado di viaggiare, di fare cose che non potrei fare se avessi dei bambini. È solo una delle molte scelte che fai per l’equilibrio della tua vita. Si tratta anche di una risposta razionale a quello che un figlio significa ed all’impatto che essere genitore ha sul resto della tua vita” – Steve.
5. Riflettono molto seriamente su cosa significa essere genitore.
“Le persone che hanno deciso di non avere figli, presumibilmente sono state molto più ponderate di chi ha deciso di averne. È una scelta deliberata, rispettosa, etica, Una decisione onesta, positiva, chiara e giusta per molte persone – Bob.
“Vorrei che fosse considerata una scelta come un’altra” – Barb.
“Vorrei che più persone riflettessero su questa possibilità. Mi piacerebbe che fosse semplicemente normale decidere di avere o meno dei figli” – Tony
Cosa ricordare di questo studio.
Nancy Molitor, psicologa clinica e assistente di psichiatria clinica e scienze comportamentali alla Northwestern University, ha elogiato Blackstone per aver esaminato un tema così poco ricercato e mal compreso. Si è detta anche affascinata dal modo in cui il genere di appartenenza sembri influenzare questa scelta.
Tuttavia ha sottolineato che, dato il campione piccolo e piuttosto omogeneo e il fatto che i partecipanti non siano stati selezionati in modo casuale, è quasi impossibile giungere ad una conclusione generale sulla più ampia popolazione “childfree” in America e nel mondo. I modelli di genere osservati da Blackstone, ad esempio, necessitano di essere convalidati e confermati su una popolazione più vasta. Questo aspetto è caratteristico della ricerca qualitativa, in cui non ci sono campioni randomizzati e gruppi di controllo che sostengono la ricerca quantitativa. Ma la ricerca qualitativa conserva ancora il suo posto nelle scienze, soprattutto per tematiche emergenti, grazie alla sua capacità di aumentare l’attenzione su nuove idee, fare domande e formulare nuove ipotesi per la ricerca futura.
“Si tratta di un gruppo piccolo e selezionato”, ha detto Molitor. “Non significa che non sia interessante, ma è difficile supporre che tali risultati sarebbero stati validi anche in un campione più ampio, magari formato da abitanti delle campagne del Mississipi o del Midwest”.
Molitor ha ribadito la necessità di studi a lungo termine per capire se (e come) le persone senza figli, superati i 40 anni (il limite più alto dello studio di Blackston) cambiano idea avvicinandosi ai cinquanta. Molitor ha aggiunto che sarebbe interessante continuare la ricerca sulla popolazione “childfree” esaminando le differenze geografiche e generazionali su una popolazione più ampia e randomizzata.
“Molte ricerche sui childfree risalgono agli anni ’90”, ha spiegato. “Per esperienza personale e per le ricerche che ho effettuato posso dire che gli studi svolti negli anni ’90, e le relative conclusioni sulla scelta di non avere figli, potrebbero essere poco attinenti con la scelta di una giovane donna, una millennial, che prende questa decisione nel 2016”.
Dopo la pubblicazione della sua ricerca su The Family Journal, Blackstone ha intervistato altre 44 persone, ampliando la diversità tra i partecipanti, e non utilizzando più solo soggetti perlopiù bianchi, etero e appartenenti alla classe medio-alta. Spera di continuare a sfatare miti e convizioni sulle persone senza figli con la ricerca futura che, se tutto va bene, potrebbe dare origine ad un mondo in cui le persone senza figli non devono più difendere la loro scelta o soffrire nel contesto sociale. La stessa Blackstone è una childfree, gestisce un blog fondato insieme al marito, “We’re (not) having a baby!”.
“La gente non sa come comportarsi con noi” ha spiegato. “A volte veniamo esclusi da eventi in casa di amici se ci sono dei bambini, perché la gente presume che non vogliamo essere coinvolti. Può rivelarsi un’esistenza un po’ solitaria”.
Questo post è stato pubblicato per la prima volta su Huffpost Usa ed è stato poi tradotto dall’inglese da Milena Sanfilippo
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VITA DI COPPIA OBIETTIVO 80% GIOVANI, FIGLI ESSENZIALI SOLO PER 30%

La vita di coppia è ancora tra i desideri dei giovani.
Riuscire a costruire una relazione duratura è “un obiettivo importante” per quasi 8 su 10, ma solo 3 su 10 considerano i figli indispensabili per avere “una vita appagante”.
Lo rivela la ricerca ‘Soprattutto Io.
Coppie millennials tra stereotipi, nuovi valori e libertà’, realizzata da Eurispes che ha indagato quanto gli stereotipi del passato siano tuttora presenti nell’educazione dei 18-30enni di oggi.
Temi etici e valori.
Divorzio, aborto, unioni civili “sono conquiste sociali più per le donne che per gli uomini”, ha evidenziato l’indagine.
E le adozioni da parte degli omosessuali sono il tema che più di tutti divide le opinioni dei giovani italiani.
La presenza dei figli in una coppia – emerge dalla ricerca – non sembra essere particolarmente importante per i giovani che, posti di fronte alla domanda “secondo te la vita di coppia può essere pienamente appagante anche senza figli?”, rispondono nel 45,6% dei casi che può essere “abbastanza” appagante e nel 22% che può essere “molto” appagante.
Sono invece meno di un terzo, il 32,4%, i ragazzi che considerano la presenza dei figli indispensabile per una vita di coppia soddisfacente.
Più della metà dei ragazzi ritiene che sia opportuno che entrambi i partner lavorino (53,3%); quasi 3 su 10 (28,7%) affermano che, se la condizione economica lo consente, “uno qualsiasi dei due partner può anche non lavorare”, non facendo nessuna distinzione di genere; mentre solo il 18% pensa che, se la situazione economica lo consente, “debba essere la donna a rinunciare al lavoro”.
Nella scelta del partner, la componente economica influisce “abbastanza” per un quarto degli intervistati (24,6%) e “molto” per il 7%.
Ma per la netta maggioranza (68,4%) gli aspetti economici hanno “per niente” valore (39,7%) o “poco” (28,7%).
Per i ragazzi la componente economica è influente in misura maggiore rispetto a quanto avviene per le donne, con una differenza di 6,5 punti percentuali (35,2% contro il 28,7%%).
Tra i più giovani l’aspetto economico ha un peso maggiore sulla scelta del partner: è così per il 33,6% di quanti hanno un’età compresa tra i 18 e i 24 anni, a fronte del 29,7% dei 25-30enni.
I ricercatori hanno chiesto al campione di ragazzi intervistato se “è accettabile che una donna abbia avuto più di venti partner?” Il campione si è diviso piuttosto equamente tra un 52,8% che lo ritiene accettabile e un altro 47,2% che la pensa in modo opposto.
Le opinioni al riguardo sono molto differenti fra uomini e donne.
Mentre una ragazza su 3 sostiene che sia “molto” accettabile (33,3%) e sono la minoranza coloro che lo ritengono “per niente accettabile” (15%), fra i ragazzi la situazione si ribalta: la minoranza lo considera “molto” accettabile (17,1%), il 29,7% “abbastanza” e il 28,7% “per niente”.
Secondo l’indagine, i giovani italiani sono ‘d’altri tempi’: la metà degli intervistati ritiene infatti che sia l’uomo a dover corteggiare.
Sono i giovanissimi (18-24 anni), più dei 25-30enni, a ritenere che debba essere l’uomo a dichiararsi: il 36,5% è “abbastanza” d’accordo (contro il 32,7%), il 17,6% è molto d’accordo (contro il 15,2%).
Secondo la metà dei millennials può esistere l’amicizia tra uomo e donna senza che il sentimento si trasformi in qualcosa di diverso che implichi un coinvolgimento sentimentale o sessuale (50,6%).
Ma uno su 10 (9,7%) lo ritiene “impossibile” e quasi 4 su 10 credono che sia “molto raro” (39,7%). Per quanto riguarda temi etici come divorzio, aborto, unioni civili e adozione da parte degli omosessuali, dalla ricerca è emerso che il divorzio è visto come una conquista sociale dal 93,9% degli intervistati (in particolare dal 95,8% delle ragazze e dal 91,6% dei ragazzi); la legalizzazione dell’aborto e l’approvazione di un decreto anti femminicidio dall’86% (rispettivamente 88,5% delle ragazze e 92,6% dei ragazzi; 92,3% delle donne e 77,4% degli uomini).
La possibilità di adozione per una persona singola raggiunge il 66,1% di favorevoli (69% donne, 62,3% uomini), mentre la possibilità di adottare per le coppie omosessuali sfiora il 64% (69% donne, 57,1% uomini).
In generale, tutte le leggi o le proposte indicate, rappresentano una conquista sociale più per le donne che per gli uomini.
Il tema delle adozioni è quello che più di tutti divide le opinioni dei giovani italiani: l’adozione da parte di una singola persona è vista come una conquista sociale dall’80% degli elettori di centro e dal 74,4% di quelli di sinistra, ma supera a stento la metà dei consensi tra i ragazzi di centro-destra e di M5S (circa 52,5% per entrambi) e non raggiunge la metà fra quelli di destra (46,9%).
Le differenze risultano ancora più marcate quando si parla di adozioni da parte degli omosessuali; quest’ultima è considerata una conquista sociale da più del 75% degli intervistati di sinistra e di centro-sinistra, dal 60% del campione di centro e dal 54% di quello del Movimento 5 Stelle; mentre fra i ragazzi di centro-destra e di destra le risposte negative superano nettamente quelle positive, con i “sì” che si fermano rispettivamente al 37,5% e al 30,6%.
FONTE 19.07.2019 (AdnKronos Salute)


Il matrimonio? Senza figli è più felice

L’Italia detiene il record di coppie “childfree”. E uno studio britannico dimostra che le coppie senza figli sono più soddisfatte della vita a due rispetto a quelle con prole. Ma è davvero così? Ecco il parere degli esperti
“Un matrimonio senza figli è come un albero senza frutti”, dice un vecchio proverbio. A guardare più da vicino l’esperienza della genitorialità, però, non tutto sembra essere rose e fiori. Anzi, l’arrivo di un bebè può far soffiare il vento dello scompiglio e mettere a repentaglio l’equilibrio della coppia, creando infelicità nei due partner. Che la scelta di diventare genitori non fosse una strada facile lo dimostra anche il numero in crescita di coppie che nei paesi anglosassoni chiamano “childfree”, ossia per le quali il non avere figli è una scelta di vita. Ebbene, l’Italia detiene il record europeo di coppie che, pur potendo procreare, decidono di non provare l’esperienza. I motivi? Dalla difficoltà di educare la prole alla carriera, dal desiderio di non perdere la propria libertà fino alla paura del futuro. A far traballare il mito della genitorialità è arrivata inoltre una ricerca condotta dalla Open University che ha intervistato 5mila persone di ogni età, status e orientamento sessuale nel corso di due anni. Il risultato? I matrimoni senza figli sono i più felici perché uomini e donne si sentono più soddisfatti della loro relazione e più apprezzati dal partner. Il punto forte di queste coppie starebbe infatti nell’impegno per mantenere viva la relazione, attraverso momenti di svago e spazi dedicati al rapporto a due. Abitudini che, invece, tra pannolini, notti insonni e crisi adolescenziali, sembrano venir meno nelle coppie con prole. I ricercatori della Open University hanno infatti provato a individuare i fattori che contribuiscono a minare l’equilibrio dei matrimoni e tra le cause che maggiormente sottopongono a stress le unioni, oltre alla gelosia, alla routine e allo scarso tempo trascorso insieme, c’è anche l’accudimento dei figli.
Ma è davvero così? “Ho accompagnato i nostri due figli al pullman che li avrebbe portati in gita e appena rientrato in casa io e mia moglie abbiamo stappato una bottiglia di champagne per festeggiare la nostra ritrovata, anche se per breve tempo, dimensione a due, come ai tempi in cui eravamo fidanzati”, racconta Nicola, 40 anni, funzionario pubblico. Una testimonianza che ben rappresenta l’impegno, fisico e mentale, che la cura e l’educazione dei figli richiedono. “La dimensione naturale della coppia è di essere un rapporto tra due individui che è esclusivo. Nel momento in cui però arrivano i figli questo aspetto si impoverisce e si perde in parte la bellezza dello stare in coppia. Ma questo è inevitabile perché è un po’ come volere la botte piena e la moglie ubriaca, non si può investire in tutte le sfere allo stesso modo”, commenta Ilaria Cutica, psicologa e ricercatrice in psicologia cognitiva dell’università degli studi di Milano.
Il rischio, insomma, è di riservare al rapporto a due solo le briciole della vita familiare. “Il momento della nascita di un figlio, per quanto bello, è anche pericoloso perché può creare degli squilibri all’interno della coppia e creare infelicità”, aggiunge Chiara Ferrario, psicologa e psicoterapeuta a indirizzo psicodinamico. Una situazione non facile da affrontare come conferma anche Antonietta Sensi, docente di sociologia della famiglia presso l’università La Sapienza di Roma: “Le coppie con figli hanno una vita molto più complessa perché l’arrivo della prole impone dei cambiamenti nel proprio stile di vita. Con il nuovo arrivato cambia insomma il ciclo di vita familiare, bisogna fare una ristrutturazione del rapporto a due e ulteriori cambiamenti vanno affrontati quando i figli vanno a vivere per conto proprio”.
Genitori, si o no?
I risultati della ricerca ribaltano dunque l’idea diffusa secondo cui l’arrivo dei figli rappresenta il coronamento della vita di coppia. “Si può essere felici anche senza essere genitori”, osserva Ferrario. “Tutto dipende da ciò che si desidera nel rapporto a due. Se la coppia si sente già completa fa bene a non avere figli, mentre chi inizia a sentire un desiderio di paternità o di maternità fa bene a provare l’esperienza”.
Insomma, non esiste una ricetta valida per tutti. “La coppia senza figli è autoreferenziale e se ciascuno dei partner riesce a realizzare le proprie aspettative all’interno del rapporto a due funziona”, specifica Sensi. Mentre ci sono coppie “il cui matrimonio si fonda proprio sui figli che rappresentano il trait d’union della relazione”.
Come affrontare la strada a ostacoli della genitorialità
Se nel momento in cui si diventa genitori può essere dunque difficile mantenere lo stesso livello di soddisfazione nella vita di coppia, la parola d’ordine però è di non rassegnarsi e di cercare un equilibrio tra le due dimensioni.
Come? Continuando ad alimentare la relazione e facendo leva su aspetti come la comunicazione, l’apertura e la trasparenza. “Bisogna inoltre difendere i propri spazi di coppia e ritagliarsi dei momenti per dedicarsi alle cose che si facevano prima insieme. Ad esempio, pianificando una cena al ristorante o andando al cinema o vedendo degli amici”, spiega Sensi. O ancora “ritrovarsi una volta alla settimana per parlare di episodi che sono successi nel corso della giornata o che si ha piacere a raccontare”, aggiunge Cutica. Piccoli accorgimenti che consentono di riallinearsi e di ritrovare la complicità con il partner. Infine, ultimo ma non meno importante, la gentilezza e la capacità di dire grazie e di farsi dei complimenti, sottolinea la ricerca britannica, sono ingredienti fondamentali per avere una relazione longeva, con o senza figli.
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