Non ha niente a che vedere (o quasi) con il tiro alla targa, presuppone un’attitudine mentale particolare basata sul principio “dell’unica possibilità”, è dinamico e micidiale.
Vediamo insieme cos’è il tiro istintivo-venatorio.
Parlando di tiro con l’arco ad un profano (magari anch’esso tiratore ma con altre armi) spesso accade di vederlo sbalordire di fronte al panorama delle specializzazioni esistenti. Si potrebbe dire che l’aspetto riduttivo che emerge circa questa attività, derivi da una totale ignoranza sull’efficacia dell’arco. In molti sono portati a pensare l’arco e la freccia come poco più che giocattoli. In effetti l’arco ha segnato l’incedere delle ere e delle epoche, ribaltando imperi e procurando di che vivere ai popoli cacciatori. Si sono sviluppate tecniche applicate a mezzi di caccia, di guerra e di costruzione degli archi e delle frecce perfettamente efficaci perché rispondenti all’esigenza primaria dell’uomo: la sopravvivenza.
L’arco e le frecce possiedono capacità letali pari ad un’arma da fuoco.
Semplicemente è ben più difficile gestirla in caccia in modo proficuo senza un allenamento ed una tecnica ben specializzata. E a caccia non si possono fare esperimenti: il cacciatore responsabile esige sempre e comunque un colpo risolutivo a segno. Per arrivare a questo, bisogna innanzi tutto impratichirsi con l’attrezzatura. Se un cacciatore tradizionale, sia esso a palla o a munizione spezzata non sente la necessità di un allenamento particolare (se non per puro diletto), l’arciere cacciatore deve assolutamente puntare alla caccia simulata come “passatempo” costante per tutto l’apprendistato e oltre. Gestire correttamente l’attrezzatura comporta fatica fisica; più l’arco è forte più probabilità avrà il cacciatore di colpire efficacemente, e maggiormente dovrà sottoporsi ad un serio allenamento. Chi volesse cacciare Grizzly in Canada, o Elefanti e Bufali in Africa, dovrà potenziarsi a tal punto da governare con precisione archi da ottanta-cento libbre, cosa non da tutti. Beninteso, chi si rivolgerà alla selvaggina nostrana potrà limitarsi a carichi inferiori della metà, e la cosa diventerà senz’altro più rilassante. In ogni caso due sessioni minime di allenamento settimanali, con 150-300 frecce scagliate suppliranno ogni defaillance. Questo per ciò che riguarda la parte prettamente “fisica”. Purtroppo, o per fortuna, questo non basta.
Il tiro con l’arco da noi praticato, e la caccia con esso soprattutto, sono discipline nelle quali la componente psicologica riveste un’importanza fondamentale, e pertanto si deve allenare anche la mente. A cosa? A contare sulla freccia della verità. Non serve semplicemente scagliare frecce a ripetizione, bisogna tirare ogni freccia immaginando che sia l’unica che può salvare la nostra vita. Puntare a ciò con la massima energia possibile allena la mente alla giusta ottica venatoria e sportiva. Ed è così che deve sempre essere. Fatte queste poche ma doverose premesse, introduciamoci nella questione tecnica per eccellenza.
Diamo per scontato che il training fondamentale sia acquisito (cioè si possieda un minimo di confidenza con i propri attrezzi) e vediamo quale è, se esiste, la tecnica di tiro per la caccia vera, o simulata. Diciamo subito che esistono due grandi filoni, uno più tecnologico l’altro più tradizionale. Visto che entrambi possiedono punti forti e deboli, e che sono a tutti gli effetti complementari, puntiamo a quella “storica” per eccellenza ripromettendoci di esaminare la via più moderna in un secondo tempo.
Il tiro tradizionale nasce con l’arco tradizionale, cioè quello semplice ed essenziale dei primordi della storia. Questo filone fa sua la pratica del “Tiro Istintivo”, meglio inquadrabile come “tiro naturale”. Niente mira né calcolo. Questo tipo di tiro presuppone l’assoluta mancanza di strumenti di mira e l’inutilità della valutazione oggettiva della distanza di tiro. La freccia compie comunque una parabola apprezzabile, nel suo cammino. Associare la valutazione giusta della distanza del bersaglio per l’uomo moderno e “tecnologico” implica culturalmente un vero e proprio calcolo balistico. Il tiro istintivo supera tutto ciò ed insegna a “mirare con tutto il corpo”, e non affidarsi ai soli occhi. Il terreno di caccia è sempre vario, quasi mai troverete un appoggio regolare e piano, cosi come nelle gare di tiro FIARC. Ecco che diventa importante quindi essere flessibili, percependo come fondamentale l’asse scapolo omerale che si configura quando tendete l’arco. Il braccio e la mano che regge l’arco (non lo stringe) le spalle, e l’avambraccio dalla parte della corda devono essere “l’affusto” brandeggiabile tramite il bacino su cui impostare la corretta azione. Essa deve essere sempre dinamica, perfettamente fluida ed in “espansione”. Non importa assolutamente bloccarsi in mira, anche perché non avete alcun mirino da collimare.
E allora come farete a colpire il bersaglio?
Semplice. Basta concentrarsi sulla più piccola porzione di bersaglio visibile, e scoccare. Certamente le prime volte i risultati non saranno eclatanti, ma il “computer” interiore, installato parecchi migliaia di anni fa, via via che acquisisce informazioni specializzerà il gesto. E’ comunque fondamentale focalizzare l’azione sul piano verticale, cioè enfatizzare l’azione dinamica avanti-dietro in modo da mantenere sempre il piano di forza corretto. In questo modo ridurrete gli errori sull’orizzontale, e disperderete solo in alto-basso. Se siete già impostati bene, dovreste aver già apprezzato ciò. Questo, in altre parole, significa che l’unico ostacolo da superare è legato alle diverse distanze da coprire, e l’allenamento con il vostro computer interiore farà il resto.
E’ solo questione di pratica.
La distanza limite dei venti metri in caccia reale è importante proprio perché non implica particolari difficoltà legate alla parabola della freccia, vista anche la freccia da caccia sicuramente pesante, affinché abbia sufficiente energia per poter penetrare lesivamente i tessuti del selvatico. In caccia simulata, per divertimento, si può andare ben oltre in distanza, e fino a quaranta metri si potrà ottenere egualmente un buon raggruppamento di rosata con un buon allenamento. Nelle competizioni, tali distanze sono massime, ma è estremamente utile allenarsi anche a distanze superiori. A distanze elevate ci si renderà conto immediatamente dell’importanza dell’assetto sul piano verticale e dell’importanza del “follow through” successivo al tiro. Ma su questo torneremo più avanti.
L’impostazione del corpo
Un particolare importante: inclinate il busto in avanti, e parallelamente anche l’arco; ciò vi permetterà una visione estremamente chiara di ciò che vi circonda, e una “comunicazione” diretta con il bersaglio senza il diaframma visivo della finestra dell’arco (inevitabile quando lo si mantiene diritto). Ricordate: l’equilibrio della postura è fondamentale, e va ricercato sempre prima di impostare il tiro. Non sacrificate energie, in allenamento, alla scoperta del miglior assetto. Esso sarà sempre e comunque quello che vi permetterà un’espansione efficace ed un controllo durante e dopo il rilascio. Questo stile di tiro deve ovviamente personalizzarsi alle specifiche antropometriche del tiratore. Chiamandosi “istintivo” non può essere racchiuso da uno schema unico per tutti. Il segreto della sua efficacia è proprio in questa sua attitudine all’adattamento, che tiene come punto fisso la dinamicità dell’azione e la fluidità. Questa spesso richiamata dinamicità si riflette su un’altra importante componente: la velocità del tiro. Tirare velocemente e ripetutamente fa parte del background di ogni cacciatore vero o simulato che si rispetti. Per arrivare a ciò, diventa ancor più necessario allenarsi a tirare mantenendo fissa la concentrazione sul bersaglio, senza mai distoglierla. L’operazione di incocco, che prelude al tiro, deve diventare automatica e assolutamente ininfluente sul flusso dell’azione, finalizzata al cogliere il bersaglio.
Incoccare senza guardare la freccia
Da ciò risulta evidente come sia necessario apprendere ad incoccare sulla corda non guardando altro che avanti a sé, verso il bersaglio. Per far sì che questo “stile” si faccia proprio, non c’è niente di più avvincente come l’allenamento di caccia simulata su sagome tridimensionali e bersagli mobili. Ma anche vagar per boschi, tirando a foglie cadute, rami secchi, macchie di luce, (il classico Roving) che da decenni è sempre stato il modo migliore per allenarsi fuori stagione, rappresenta un bellissimo modo per testare la propria preparazione prima di scendere in campo. Un allenamento estremamente proficuo si può attuare tirando a distanze “limite”, assolutamente fantasiose. Ciò potrà essere utile per rendersi conto dell’influenza del proprio io sull’atto del tiro; in altre parole, da vicino, la concentrazione e la rilassatezza necessaria al buon tiro spesso viene inquinata dal timore di non colpire, e l’atto subisce una perturbazione tale da bloccare il flusso naturale. Subentrano fattori di disistima ed insicurezza (…non son ben sicuro di essere allineato, non so se sto cedendo, ho paura di far brutta figura di fronte agli amici…ecc.) che rovinano tutto, e il controllo automatico del gesto va a farsi benedire poiché il cervello razionale prende il sopravvento su quello istintivo cercando di analizzare e correggere. Purtroppo il nostro cervello analitico può prendere in considerazione un solo processo alla volta, e nel tempo, seppur breve, dell’analisi, tutta la catena di azioni e reazioni naturali si inibisce. Per rendersi conto di ciò, appunto, la cura può essere il tiro alla lunga e lunghissima distanza. Se ponete un palo a cento passi, e cercate di indirizzare le frecce contro una lattina di birra infilzata sulla sua sommità, affronterete tutto come un gioco e la vostra ragione si farà “una ragione” del fatto che per il vostro livello ciò che vi è chiesto va oltre l’umano limite. Sarete molto più indulgenti con voi stessi e con i vostri dubbi ed incertezze. Tirerete e basta, magari godendovi una buona volta un volo delle vostre frecce per intero che durerà almeno due secondi. Ebbene, tirate pure in libertà parecchie frecce. Poi andate a ricercarle sul terreno. Molto difficilmente avrete colto la lattina, ma non stupitevi se una o due frecce hanno colpito il palo o sono nelle sue immediate vicinanze. Un prodigio? Fate di più. Cercate sul terreno le due frecce più lontane (nel senso orizzontale) disperse a destra e sinistra, e misurate “l’errore”. Probabilmente sarà di due o tre metri, non maggiore. Ora riportate questo errore alla distanza: tale scarto, confrontato alle distanze classiche a cui vi allenate, corrisponde ad uno scarto di dieci cm. in più o meno dal centro. Uno scarto veramente esiguo, se pensate alle giornate no dove da pochi metri vi capita di sbagliare il paglione.
Ecco quindi la risposta: in situazione rilassata, il vostro computer interiore gestisce perfettamente tutta la situazione, ed è in grado di fare cose ben più grandi di quelle che supporreste. E’ chiaro, il fatto di saperlo non guarirà in un lampo le vostre “affezioni”. Però vi segnalerà una via da seguire per risolvere i vostri problemi. Lasciar fluire l’istinto (la naturalità?), parcheggiare per una buona volta l’Io arrogante della ragione e abbandonarsi alla fisicità dell’atto senza paragonare sé stessi a qualsivoglia modello cercando di essere non solo apparire , è un’interessante ricetta antistress che vale non solo per il tiro con l’arco, ma che esprime la sua potenza in modo molto immediato attraverso l’applicazione di questa antica disciplina istintiva. Se veramente riuscirete a farvene una “ragione”, vi renderete consapevoli di possedere tutto ciò che vi serve e avrete fatto una grande conquista in termini di autostima e fiducia. E credetemi, questo è ciò che più conta.
Il Follow-Through, questo sconosciuto.
Tirando alle lunghe distanze si scopriranno più facilmente i “misteri” del follow throgh. In effetti quest’ ultimo è sempre stato spiegato in maniera alquanto sibillina. Se leggete sulla maggior parte dei manuali d’istruzione il capitolo dedicatogli, sembra che tra le fasi del tiro prese rigorosamente in esame (postura, incocco, tensione, mira, rilascio e… Follow-Through) il nostro sia una sorta di costrizione forzata finale necessaria per l’autoesame cosciente dell’azione mentre la freccia corre verso il bersaglio. Tutto ciò fatto con l’arco ancora vibrante in mano, l’occhio che scruta l’impatto della freccia, e la mano della corda mollemente rilassata sulla spalla. A molti allievi, invero, gli viene ordinato tutto ciò, quando ancora non riescono a capirne il significato perchè non capaci di organizzare completamente l’azione coordinata del tiro, e quando per loro tirare frecce in serie una dopo l’altra nel tentativo di svuotare rapidamente la faretra sembra l’unico incosciente obbiettivo da perseguire. Ebbene, è questo il caso eclatante in cui la causa viene confusa con l’effetto. Il follow through avviene quando l’azione di tiro, svoltasi in ossequio ai piani di forza, è avvenuta nel modo migliore. Esso accade da solo, quando la concentrazione di chi tira è tale da spingere in volo la freccia durante tutta la sua parabola verso il centro del bersaglio, quando l’energia dell’arciere (non solo quella muscolare) si proietta nell’atto di colpire il segno voluto. Non è quindi una “figura” obbligata del tirare, ma è la conseguenza diretta, osservabile dall’esterno, di un’azione ben fatta. Per cercarla, la raffigurazione mentale, l’idealizzazione di poter realmente guidare la freccia nel suo volo con la forza della mente dopo il rilascio, è ciò che serve. Da fuori, gli spettatori vedranno un perfetto Follow Through.
Articolo tratto da DIANA (Editoriale Olimpia, 1995) di Vittorio Brizzi
FONTE