Un fungo scoperto in un reattore di Chernobyl potrebbe rappresentare uno scudo radioattivo capace di proteggere gli astronauti dalle radiazioni e permettere così la loro permanenza su pianeti come Marte
A proteggerci dalle radiazioni, qui sulla Terra ci pensano il campo magnetico e l’atmosfera. Ma nello Spazio la storia è completamente differente: basti pensare che gli astronauti sulla Stazione spaziale internazionale (Iss) ricevono una quantità di radiazioni 20 volte superiore a quella che riceviamo noi in un anno. Uno dei principali ostacoli per le future missioni spaziali, e che, una volta risolto, ci permetterà di sopravvivere per lunghi periodi di tempo nello Spazio e colonizzare, per esempio, la Luna e Marte. Ma come fare a difenderci dai pericolosissimi raggi cosmici? A proporre oggi una soluzione è il team di ricercatori dell’università di Stanford che si è focalizzato su un organismo davvero bizzarro: un fungo molto resistente, scoperto in uno dei luoghi più radioattivi del nostro pianeta: Chernobyl. Lo studio, che deve ancora essere sottoposto a peer-review, è stato pubblicato su sito bioRxiv.
Come riporta il New Scientist, che ne ha diffuso i risultati, questo fungo radiotrofico, chiamato Cladosporium sphaerospermum, potrebbe rappresentare uno scudo radioattivo in grado di proteggere gli astronauti. L’organismo, ricordiamo, è stato scoperto alcuni anni dopo la devastante esplosione del reattore nucleare di Chernobyl avvenuta nel 1986, dove le radiazioni raggiunsero livelli talmente alti da poter uccidere un essere umano in soli 60 secondi circa. All’interno del reattore, tuttavia, si sono insidiati alcuni organismi, questi funghi appunto, in grado di nutrirsi dei livelli estremamente elevati di radiazioni. In modo analogo alla fotosintesi delle piante, spiegano i ricercatori, questi funghi eseguono la radiosintesi, processo in cui si usano pigmenti di melanina per convertire le radiazioni gamma in energia chimica.
Secondo l’ipotesi proposta nel nuovo studio, quindi, si potrebbero utilizzare questi organismi come scudo radioattivo, fondamentale per le future missioni nello Spazio. Per dimostrarlo, i ricercatori hanno testato questo fungo posizionandolo su una capsula di Petri inviato a bordo della Iss. Dai dati raccolti per 30 giorni da un rilevatore di radiazione posto sotto alla capsula, i ricercatori hanno osservato che i funghi sono stati in grado di adattarsi alla microgravità e di bloccare parte delle radiazioni in arrivo, diminuendone i livelli di quasi il 2%.
“Uno strato di questo fungo di circa 21 centimetri di spessore potrebbe bloccare l’equivalente dose annuale dell’ambiente di radiazione sulla superficie di Marte“, ha raccontato al New Scientist il ricercatore Nils Averesch. “Ciò che rende fantastico il fungo è che hai solo bisogno di pochi grammi per iniziare”. Uno dei maggiori vantaggi descritti nello studio, infatti, è che i funghi si auto-rigenerano: basterebbe quindi inviarne una piccola quantità in orbita, per riuscire a creare uno scudo biologico contro le radiazioni. Con qualche modifica, raccontano i ricercatori, questi organismi potrebbero essere utilizzati anche per proteggere le future basi sulla Luna e su Marte.
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