Tanto più a lungo si attende un beneficio, tanto meno si è disposti a rinunciare al tentativo di ottenerlo. Questo comportamento fa prevalere nelle decisioni i costi già sopportati sul valore di altri possibili benefici futuri e può portare a un vicolo cieco, inoltre è condiviso anche da altre specie e probabilmente ha una radice evolutiva.
Avrebbe una radice evolutiva un errore sistematico in cui è facile incorre quando si prendono decisioni. È un errore noto in psicologia ed economia come “fallacia dei costi irrecuperabili”, che si concretizza nella difficoltà a rinunciare a una gratificazione al cui raggiungimento si è già dedicato, invano, un certo tempo. E via via che passa il tempo questa difficoltà diventa sempre maggiore, anche in presenza di alternative, perfino più gratificanti, in cui investire le proprie energie. A sostegno di questa tesi ci sono i risultati di uno studio effettuato da ricercatori dell’Università del Minnesota a Minneapolis, che firmano un articolo pubblicato su “Science”.
La teoria economica che considera gli esseri umani come agenti perfettamente razionali afferma che le decisioni dovrebbero essere basate sulla valutazione delle aspettative future, senza valutare le risorse spese che non possono essere recuperate. In presenza di alternative confrontabili o migliori, se un obiettivo si dimostra difficile da raggiungere, andrebbe rapidamente abbandonato per passare ad altro. Tuttavia, gli esseri umani tendono fortemente a tener conto di questi costi irrecuperabili, allontanandosi quindi da un comportamento decisionale “perfettamente razionale”.
A lungo questo fenomeno è stato considerato di interesse solo per la nostra specie; alcune scoperte recenti, però, hanno suggerito che potrebbe non essere così. Brian M. Sweis e colleghi hanno dunque progettato un esperimento suddiviso in test a cui hanno sottoposto un gruppo di topi, uno di ratti e uno di persone.
Nei test, alquanto complessi e sofisticati, ai soggetti sperimentali – animali e umani – venivano sottoposte in sequenza situazioni in cui potevano ottenere una ricompensa
diversa per il tipo di gratificazione (più o meno elevata) che offriva; di fronte a ciascuna situazione potevano optare se passare subito a quella successiva, collegata a una diversa ricompensa, impiegare del tempo per cercare di ottenere la ricompensa connessa alla situazione presente e anche perseverare ulteriormente in quella situazione nonostante non avessero avuto la ricompensa. Nel caso degli animali, la ricompensa era costituita da diversi tipi di cibo, più o meno appetibili: per gli umani – che nella stragrande maggioranza delle società attuali non sono altrettanto motivati dal cibo – la gratificazione era rappresentata dalla visione al computer di quattro differenti filmati.
L’analisi dei risultati ha mostrato che le risposte a questi test nelle tre specie erano sostanzialmente sovrapponibili, suggerendo che la fallacia dei costi irrecuperabili sia un atteggiamento cognitivo-comportamentale di base che si è conservato ne corso dell’evoluzione, fin dall’antenato comune fra noi e i roditori.
Secondo i ricercatori, questa propensione a tenere conto dei costi irrecuperabili potrebbe derivare dal fatto che in molte situazioni può essere difficile valutare i possibili costi futuri e che usare come guida i costi passati può essere un sistema per orientarsi; in termini più semplici: se faccio fatica a raggiungere qualcosa, non è detto che mi vada meglio se cerco di raggiungere qualcosa d’altro. Questo procedimento euristico – basato cioè su somiglianze e affinità fra situazioni, non su un ragionamento analitico – è evidentemente approssimativo e tutt’altro che ottimale; evidentemente però nel passato ha avuto un successo sufficiente per evitare l’evoluzione di strategie decisionali più sofisticate, ma anche molto più costose in termini di elaborazione cerebrale delle informazioni.
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