Dopo l’ennesimo incontro di pugilato finito in tragedia, è di nuovo il caso di chiedersi se questo sport valga la pena di essere giocato
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Lungi dall’essere un luogo comune, è una sindrome fin troppo reale. Una percentuale significativa di pugili – fino al 50% – soffre danni neurologici a lungo termine, e di questi il 17-20% presenta segni netti di encefalopatia traumatica cronica. I sintomi vanno dalla perdita dell’equilibrio (con un’andatura simile a quella di un ubriaco – da cui il termine gergale di lingua inglese punch drunk, letteralmente ubriaco di pugni) a tremori, vertigini, sordità, deterioramento cognitivo e dell’umore. Benché la natura esatta della sindrome sia ancora da chiarire, ci sono somiglianze con la malattia di Alzheimer, sia nei sintomi che nell’accumulo di fibrille di proteine nei neuroni. Ultimamente questi rischi si sono ridotti con la riduzione del numero dei round e della lunghezza delle carriere dei pugili, ma non sono spariti. Per ridurli ulteriormente sarebbe necessario vietare i colpi alla testa, ma questo renderebbe la boxe probabilmente irriconoscibile.
Dobbiamo mettere la boxe nella soffitta di sport barbari, come potevano essere gli incontri di gladiatori? È la consueta tensione tra sicurezza e libertà individuale. Chi pensa che il pugilato abbia un posto nello sport contemporaneo ritiene non solo che sia una libera scelta dello sportivo, ma che permetta, ai giovani che vengono da ambienti problematici e poveri, di incanalare l’aggressività e riscattarsi socialmente. Una fiaba, quella del pugilato come strada di un onesto seppur violento riscatto, che ha ispirato molto cinema a partire dalla saga di Rocky Balboa. Alcuni, come la deputata conservatrice inglese Charlotte Leslie, lo sostengono apertamente. Al di là del fatto che diventare pugile non è garanzia di diventare ricchi e famosi come Mike Tyson, se anche fosse c’è da chiedersi quale libertà sia quella di scegliere tra una vita di microcriminalità o rischiare con altissima probabilità seri danni neurologici. Se l’unico modo di uscire dal ghetto per un giovane è quello di dare e prendere pugni sul ring, forse dovremmo cambiare qualcosa nella società. Inoltre il fatto che i pugili siano consenzienti non è necessariamente un argomento conclusivo. Anche due persone che si pestano in una rissa fuori da un locale hanno scelto di picchiarsi di loro volontà, ma rischiano una sanzione.
La boxe non è sempre esistita. Era praticata già dai Sumeri ed era uno sport popolare nell’antica Grecia, ma in Occidente ne abbiamo fatto a meno per secoli, tornando popolare solo intorno al XVII secolo. Il pugilato era vietato fino a poco tempo fa, in Norvegia e in Svezia (dove ora è legale ma strettamente regolamentato) ed è tuttora fuorilegge in Islanda. Anche se non esiste una risposta obiettivamente giusta o sbagliata, anche se la boxe ha ispirato addirittura molta letteratura, l’idea di un mondo senza pugilato dovrebbe perlomeno essere presa in considerazione.
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