Sono invidiosa di mia figlia
“Brilla ma non tanto da offuscarmi”: madre e figlia possono ritrovarsi rivali nella seduzione, competere per lo scettro della bellezza e dell’amore, ma anche per i successi lavorativi, le conquiste, la realizzazione in generale. A partire dal libro “Specchio delle mie brame. Madri e figlie a confronto”, esploriamo assieme alla psicologa il rapporto con la bellezza di due generazioni
Che aspetti ambivalenti possano coesistere in ogni forma di amore, resta difficile da accettare. Soprattutto l’amore materno lo si vuole puro, sacro, intaccabile, resistente a tutto, anche se la letteratura psicologica, e la cronaca talvolta, ci dicono diversamente. Ma a proposito di relazione materna è soprattutto un tema a ricorrere con una certa insistenza: quello della gelosia tra madre e figlia. Per alcuni autori normale, se non addirittura inevitabile, l’invidia della mamma per la bellezza, la giovinezza o la realizzazione della propria figlia risulta un aspetto affrontato da diversi studi.
Il confronto non è competizione
Le madri raggiungono spesso il momento delicato della menopausa proprio quando le loro bambine si trasformano in giovani donne. Lo sbocciare della figlia può sottolineare, secondo alcune teorie, l’inizio dell’invecchiamento della madre, evidenziare delusioni e insoddisfazioni. Inoltre, in un’epoca in cui la giovinezza è estesa all’infinito, si vuole sembrare giovani e sessualmente attraenti a tutte le età – e viene erotizzato precocemente il corpo delle bambine -, mamma e figlia possono ritrovarsi rivali nella seduzione, competere per lo scettro della bellezza e dell’amore. Non solo l’aspetto fisico, come succede tra la regina e Biancaneve, può essere motivo di gelosia ma anche la popolarità, i successi lavorativi, le conquiste, la realizzazione in generale. Forse, però, è il caso di ridimensionare questa invidia materna. Le favole hanno raccontato di matrigne gelose, intriganti e cattive, anche i miti hanno parlato di rivalità tra dee, donne e creature fantastiche. Insomma, la rivalità femminile, giocata soprattutto sul piano della bellezza e del fascino, sembra appartenerci di serie. Mentre l’alleanza tra donne – che pure da sempre ha dato prova di grande forza realizzandosi in numerose forme di solidarietà – è presentata spesso come ostile, falsa e competitiva, anche all’interno del nucleo familiare.
Per fortuna invece la mela avvelenata della disapprovazione, del disprezzo e della gelosia non intossica sempre la dinamica madre-figlia. Il processo di diventare individui separati dai propri genitori ha sicuramente connotati particolari nello sviluppo psicologico dell’essere di sesso femminile, in un certo senso più difficile, perché madre e figlia sono unite, a volte confuse e promiscue. “Sii ciò che sei ma uguale a me”, “vai ma resta con me” sono i messaggi che rendono il distacco un vero disastro. Ma la preoccupazione materna sulla sessualità della figlia può essere ben lontana dall’invidia. Entrare in conflitto con l’adolescente, non significa esserne gelose. Fare confronti in modo sano e stimolante non è la stessa cosa dell’invidiarsi. Se sono stati fatti sacrifici e rinunce, il risentimento più probabilmente sarà orientato sul partner che sulla figlia.
Quando dal confronto nasce l’invidia
L’invidia può serpeggiare in questo legame a livello inconscio, certo. Ma è come un aspetto che connota madri con tratti narcisistici piuttosto elevati, donne con particolari fragilità, mancanza di autostima, insoddisfatte e impotenti in vari settori della vita che vivono la figlia come una pari, una possibile minaccia non essendosi ben centrate nel loro ruolo. Che avvertono rancore per le opportunità, la facilità con cui lei riesce a destreggiarsi nel mondo lavorativo e relazionale. Minimizzano o ridicolizzano i suoi sforzi oppure assumono un atteggiamento deprivante, negativo, castrante. “Brilla ma non tanto da offuscarmi” è il messaggio della stretta materna narcisistica. È così che nascono storie complicate e dolorose, dove essere autentiche per le figlie diventa faticoso, se non impossibile. Dove risulta impossibile “rispecchiarsi” in modo adeguato nelle proprie mamme, piuttosto si diventa specchi che devono restituire alle madri immagini di loro stesse. E non si impara a sentirsi complete, ad amare e ammirare se stesse, attribuirsi valore per quello che si è.
Il rapporto con la bellezza
Si svolgono su questi temi le storie che ci racconta il chirurgo plastico Pietro Lorenzetti nel libro dal titolo evocativo “Specchio delle mie brame. Madri e figlie a confronto” (Mondadori). Esperienze di donne diverse che raccontano, nelle interviste realizzate da Johann Rossi Mason, il rapporto con la bellezza delle madri e delle figlie, elemento talvolta di competizione e tensione. Una lettura che ci invita a considerare quanto di noi donne si giochi nell’immagine riflessa. Come, se non ne siamo soddisfatte, risultino compromesse le relazioni, il sentirsi gratificate da ciò che facciamo, il creare ed esprimere la nostra personalità. Quanto il bisogno di riconoscimento, di essere viste abbia a che fare con sentimenti di inadeguatezza e di vuoto. Come lo specchio, vero protagonista del libro, ci impegni ad un confronto continuo con noi stesse, ad una riflessione su di sé. Perché il punto non è l’aspetto ma la propria individualità. “Grazie al mio lavoro sono testimone di storie apparentemente ordinarie o straordinariamente crude che le persone mi affidano insieme alle proprie insicurezze” scrive con sensibilità il professor Lorenzetti “Il mio lavoro è ricomporre una immagine coerente con il loro sentire interiore”.
Il confronto non è competizione
Le madri raggiungono spesso il momento delicato della menopausa proprio quando le loro bambine si trasformano in giovani donne. Lo sbocciare della figlia può sottolineare, secondo alcune teorie, l’inizio dell’invecchiamento della madre, evidenziare delusioni e insoddisfazioni. Inoltre, in un’epoca in cui la giovinezza è estesa all’infinito, si vuole sembrare giovani e sessualmente attraenti a tutte le età – e viene erotizzato precocemente il corpo delle bambine -, mamma e figlia possono ritrovarsi rivali nella seduzione, competere per lo scettro della bellezza e dell’amore. Non solo l’aspetto fisico, come succede tra la regina e Biancaneve, può essere motivo di gelosia ma anche la popolarità, i successi lavorativi, le conquiste, la realizzazione in generale. Forse, però, è il caso di ridimensionare questa invidia materna. Le favole hanno raccontato di matrigne gelose, intriganti e cattive, anche i miti hanno parlato di rivalità tra dee, donne e creature fantastiche. Insomma, la rivalità femminile, giocata soprattutto sul piano della bellezza e del fascino, sembra appartenerci di serie. Mentre l’alleanza tra donne – che pure da sempre ha dato prova di grande forza realizzandosi in numerose forme di solidarietà – è presentata spesso come ostile, falsa e competitiva, anche all’interno del nucleo familiare.
Per fortuna invece la mela avvelenata della disapprovazione, del disprezzo e della gelosia non intossica sempre la dinamica madre-figlia. Il processo di diventare individui separati dai propri genitori ha sicuramente connotati particolari nello sviluppo psicologico dell’essere di sesso femminile, in un certo senso più difficile, perché madre e figlia sono unite, a volte confuse e promiscue. “Sii ciò che sei ma uguale a me”, “vai ma resta con me” sono i messaggi che rendono il distacco un vero disastro. Ma la preoccupazione materna sulla sessualità della figlia può essere ben lontana dall’invidia. Entrare in conflitto con l’adolescente, non significa esserne gelose. Fare confronti in modo sano e stimolante non è la stessa cosa dell’invidiarsi. Se sono stati fatti sacrifici e rinunce, il risentimento più probabilmente sarà orientato sul partner che sulla figlia.
Quando dal confronto nasce l’invidia
L’invidia può serpeggiare in questo legame a livello inconscio, certo. Ma è come un aspetto che connota madri con tratti narcisistici piuttosto elevati, donne con particolari fragilità, mancanza di autostima, insoddisfatte e impotenti in vari settori della vita che vivono la figlia come una pari, una possibile minaccia non essendosi ben centrate nel loro ruolo. Che avvertono rancore per le opportunità, la facilità con cui lei riesce a destreggiarsi nel mondo lavorativo e relazionale. Minimizzano o ridicolizzano i suoi sforzi oppure assumono un atteggiamento deprivante, negativo, castrante. “Brilla ma non tanto da offuscarmi” è il messaggio della stretta materna narcisistica. È così che nascono storie complicate e dolorose, dove essere autentiche per le figlie diventa faticoso, se non impossibile. Dove risulta impossibile “rispecchiarsi” in modo adeguato nelle proprie mamme, piuttosto si diventa specchi che devono restituire alle madri immagini di loro stesse. E non si impara a sentirsi complete, ad amare e ammirare se stesse, attribuirsi valore per quello che si è.
Il rapporto con la bellezza
Si svolgono su questi temi le storie che ci racconta il chirurgo plastico Pietro Lorenzetti nel libro dal titolo evocativo “Specchio delle mie brame. Madri e figlie a confronto” (Mondadori). Esperienze di donne diverse che raccontano, nelle interviste realizzate da Johann Rossi Mason, il rapporto con la bellezza delle madri e delle figlie, elemento talvolta di competizione e tensione. Una lettura che ci invita a considerare quanto di noi donne si giochi nell’immagine riflessa. Come, se non ne siamo soddisfatte, risultino compromesse le relazioni, il sentirsi gratificate da ciò che facciamo, il creare ed esprimere la nostra personalità. Quanto il bisogno di riconoscimento, di essere viste abbia a che fare con sentimenti di inadeguatezza e di vuoto. Come lo specchio, vero protagonista del libro, ci impegni ad un confronto continuo con noi stesse, ad una riflessione su di sé. Perché il punto non è l’aspetto ma la propria individualità. “Grazie al mio lavoro sono testimone di storie apparentemente ordinarie o straordinariamente crude che le persone mi affidano insieme alle proprie insicurezze” scrive con sensibilità il professor Lorenzetti “Il mio lavoro è ricomporre una immagine coerente con il loro sentire interiore”.
Mia figlia è troppo bella
Donne nel corpo, bambine nell’animo. Le adolescenti cambiano da un giorno all’altro, e d’un tratto sembrano più grandi della loro età, inconsapevolmente sensuali. Tutelare la loro immagine, soprattutto sui social, è fondamentale. Come insegnare loro le regole di comportamento senza apparire “una madre invidiosa e rompiscatole”? Qual è il modo per farle crescere nel rispetto della loro età, per vivere la femminilità in linea con la loro giovane età?
Molte adolescenti oggi sembrano più grandi della loro età, perché tirano fuori una sensualità che spesso non sanno gestire. L’immagine che danno di loro sui social è spesso sfrontata: assumono pose provocanti, troppo adulte, soprattutto con i selfie, che posso dar adito a fraintendimenti o farle incappare in situazioni pericolose. Non tanto con i coetanei, ma con uomini più grandi. Ma qual è il modo per farle crescere nel rispetto della loro età, aiutandole a vivere la loro femminilità in linea con la loro giovane età? E come fa una mamma a confrontarsi con un’adolescente che appare come una piccola donna, quando in realtà non ne ha ancora l’esperienza, per guidarla senza starle con il fiato sul collo e passare per una madre invidiosa e rompiscatole, che non la capisce? Ne parliamo con Maria Claudia Biscione, psicosessuologa presso l’Ospedale Israelitico di Roma
In una società in cui l’apparire sta soppiantando l’essere, che ruolo gioca la bellezza per un’adolescente di oggi?
“Ha un ruolo dominante, perché i modelli che hanno come riferimento, le attraggono proprio per la focalizzazione sull’apparire. Quello che si sta verificando è che la bellezza estetica sta inglobando sempre di più l’identità anagrafica, al punto tale da legittimare il fraintendimento rischiosissimo del “sembra già una donna, quindi lo è”. Nei fatti di cronaca, che hanno coinvolto baby escort, ad esempio, sembra proprio questo essere il focus: una deresponsabilizzazione dei clienti legata all’apparire di queste giovanissime, un apparire fatto di modi, provocazioni, immagine, da donne fatte, che ha del tutto cancellato la presa di coscienza che, invece, esiste una grande difformità tra aspetto esteriore e maturità psicologica”.
Quanto influisce la virtualità in questo?
“La rete è strumento, ma anche trappola lì dove non ci sia la giusta misura e competenza nell’approcciarvi. La dimensione virtuale può diventare, specie per i minori, un luogo di “gioco” in cui l’unica regola di “protezione” sembra essere proprio la distanza dal reale. Ci si sente al sicuro in camera e questo basta, mentre l’altra me è libera di navigare, esporsi e sportarsi in luoghi vari e molteplici che un tempo, certamente esistevano, ma erano a esclusivo appannaggio delle proprie fantasie. Quello che ieri poteva essere ottenuto solo grazie a macchinose e trasgressive organizzazioni, oggi avviene a portata di click. E questa “compressione” spazio temporale se da una parte offre un’immediata gratificazione, dall’altra rende arduo il ragionamento e la riflessione, che sono alla base della responsabilizzazione per le azioni che compiamo”.
Perché molte adolescenti sentono il bisogno di mostrarsi già come donne adulte, almeno nell’aspetto estetico?
“Il motivo è che l’accesso al mondo degli adulti oggi avviene in modo molto più precoce. Le informazioni e gli stimoli sono già fruibili dai bambini, che più facilmente ne fanno modelli da copiare. Inoltre, hanno a disposizione un patrimonio di conoscenza, che spesso sondano solo superficialmente, che le fa bruciare le tappe senza che vi sia una reale metabolizzazione di quanto accade”.
In che modo questo loro voler bruciare le tappe può inficiare sulla loro identità di donne?
“Banalmente, rendendo fragili le basi su cui si deve poter costruire una personalità solida e serena. Avvicinarsi troppo presto a un mondo adulto significa perdere quei necessari step fatti di esperienze positive e negative, che insegnano pian piano a rafforzarsi e a contrastare le difficoltà, facendo fronte alle proprie risorsi interne. E’ un po’ come imparare a nuotare con la calma e con la gioia di fare piccoli passi, che sanciscono il momento e ne fanno esperienza, che sedimenta e costruisce. Viceversa, buttare un bambino in mare aperto e agitato, se non lo farà affogare, certamente lo rafforzerà e lo costringerà a imparare a stare a galla, ma probabilmente non a nuotare con il reale piacere di farlo”.
Quali sono i pericoli a cui sono più esposte?
“Trovarsi in situazioni che sfuggono al controllo, fare conoscenze sbagliate in grado di manipolarle, bruciare le tappe sessuali. C’è il rischio di confondere la quantità erotica con la qualità che, invece, è data solo dall’esperienza, intesa come processo di metabolizzazione di sé, del proprio corpo e della propria libertà emotiva. Questi sono elementi imprescindibili per la crescita e per la maturazione, che rendono la sessualità veramente libera e assertiva, e non un triste gioco di tacche da inseguire, senza consapevolezza e una reale conoscenza”.
Avere una figlia bella può essere motivo di orgoglio per una madre o può innescare anche una competizione?
“Credo che di base sia sempre un motivo di fierezza. Può divenire causa di competizione lì dove la madre in questione non riesce a “lasciare il passo” alla figlia, godendo in modo sano delle sue tappe evolutive, ma piuttosto ne è spaventata, perché subentra il terrore e la minaccia di una vecchiaia che non lascia tregua alla bellezza. E’ ovvio che maggiore è il livello di appagamento e realizzazione nella propria vita, minore sarà la frustrazione e la gelosia che il “tutta la vita davanti” della propria figlia può rappresentare. Bisogna, inoltre, fare attenzione ai casi in cui la bellezza della figlia diviene ragione di vita e rispecchiamento improprio per la madre, che attraverso essa cerca di sanare frustrazioni, rimpianti o desideri mai realizzati. Ma anche quando la bellezza diviene un valore fine a se stesso, di fronte a cui lo stesso genitore pigramente si ferma, senza la curiosità e l’intelligenza di esplorare e capire per davvero cosa c’è dietro in termini di personalità, allora si corre il rischio che il contenuto sparisca al cospetto del contenitore”.
Che modello di femminilità bisogna trasferire alla propria figlia?
“E’ importante chiarirsi sul concetto di femminilità, che non riguarda certo stereotipate icone di bellezza, ma piuttosto la capacità di esprimere la propria natura sensuale, che è un mix di consapevolezza di sé, curiosità ed espressione dei propri impulsi. Trasferire significa coltivare nella propria figlia un senso pieno di sé, inteso anche come accettazione dei propri difetti, valorizzazione o determinazione serena nel migliorarli, lì dove inaccettabili e lì dove possibile, senza stravolgimenti deleteri. Significa, inoltre, crescere spiegando il valore dell’unicità e della complessità personale, così da creare sempre una mappa di riferimento interno ricca e positiva, a cui poter attingere quando il naturale “sono brutta” o “sto invecchiando” verrà a bussare alla nostra porta”.
E come vivere la propria bellezza e la propria sensualità?
“In questo credo che porsi come un modello positivo sia già un ottimo modo per educare una figlia a passare indenne la crisi adolescenziale, fatta di contraddizioni, rifiuti e soprattutto grande caos emotivo e spesso senso di inadeguatezza, guardando avanti a qualcosa che su cui mirare. Una madre con una femminilità consapevole, priva di ansie, di frustrazioni, con una bellezza serena che accetta il divenire, è il miglior modo per “educare” a viversi in modo adeguato la propria crescita in quanto donna. Inoltre, credo sia importante “normalizzare” la bellezza senza enfatizzarla e puntare piuttosto sul valorizzare quelle qualità che rendono tale bellezza speciale. E poi porre molta attenzione ai mutamenti dei propri figli, alle ombrosità o alle chiusure, che possono celare un disagio o delle insicurezze. Verbalizzare quelle che potrebbero presumibilmente essere le loro emozioni è un modo per mantenere un ascolto attivo con il loro mondo emotivo”.
Come si fa ad aiutarla a gestire la sua femminilità nel rispetto della sua età?
“Trovare sempre una mediazione tra il bisogno naturale di omologarsi agli altri, tipico di quell’età, e l’attenzione con cui si coltiva la personalità. Sarebbe importante riuscire a fornire sempre alternative positive e costruttive che catturino l’attenzione. Ad esempio, può essere naturale sognare di essere una star della tv, ma parallelamente è necessario farle appassionare alla vita di qualche donna “straordinaria” della storia. Incuriosire, dare nuovi stimoli e nuovi spunti, è sempre un buon modo per far sì che il ”dono” della bellezza diventi uno dei tanti strumenti da poter usare con intelligenza e consapevolezza e non una maschera claustrofobica. Inoltre, cadenzare i tempi con restrizioni o concessioni coerenti con l’età (soprattutto emotiva!), sarà comunque un modo “saggio” per rallentare la corsa che tutti i minori in genere tendono a fare verso l’età adulta”.
Qual è il modo migliore per confrontarsi con lei senza apparire una “rompiscatole”?
“Ritengo che essere “rompiscatole” se non si esagera con ansie e oppressioni, sia sempre meglio che essere troppo “liberali”. L’importante è non perdere il filo del dialogo, o del monologo, perché anche se il minore fa finta di non ascoltare, in realtà incamera i nostri ragionamenti e spiegazioni. Il discrimine tra trasgressione e regole è sempre un livello che va mantenuto, perché tutti gli adolescenti hanno bisogno di contenimento e paletti per comprendere meglio e appieno il senso della trasgressione che sceglieranno di compiere. L’assenza di regole nuoce proprio in relazione alla perdita di significato che i ragazzi poi danno alle esperienze. La libertà è una competenza, non solo un diritto e, in quanto tale, va saputa gestire e compresa per ottenerne i benefici. Viceversa diventa solo un territorio troppo ampio, che fa paura e che rischia di immobilizzare, incastrare, danneggiare, e “perdersi”, anziché orientare”.
In una società in cui l’apparire sta soppiantando l’essere, che ruolo gioca la bellezza per un’adolescente di oggi?
“Ha un ruolo dominante, perché i modelli che hanno come riferimento, le attraggono proprio per la focalizzazione sull’apparire. Quello che si sta verificando è che la bellezza estetica sta inglobando sempre di più l’identità anagrafica, al punto tale da legittimare il fraintendimento rischiosissimo del “sembra già una donna, quindi lo è”. Nei fatti di cronaca, che hanno coinvolto baby escort, ad esempio, sembra proprio questo essere il focus: una deresponsabilizzazione dei clienti legata all’apparire di queste giovanissime, un apparire fatto di modi, provocazioni, immagine, da donne fatte, che ha del tutto cancellato la presa di coscienza che, invece, esiste una grande difformità tra aspetto esteriore e maturità psicologica”.
Quanto influisce la virtualità in questo?
“La rete è strumento, ma anche trappola lì dove non ci sia la giusta misura e competenza nell’approcciarvi. La dimensione virtuale può diventare, specie per i minori, un luogo di “gioco” in cui l’unica regola di “protezione” sembra essere proprio la distanza dal reale. Ci si sente al sicuro in camera e questo basta, mentre l’altra me è libera di navigare, esporsi e sportarsi in luoghi vari e molteplici che un tempo, certamente esistevano, ma erano a esclusivo appannaggio delle proprie fantasie. Quello che ieri poteva essere ottenuto solo grazie a macchinose e trasgressive organizzazioni, oggi avviene a portata di click. E questa “compressione” spazio temporale se da una parte offre un’immediata gratificazione, dall’altra rende arduo il ragionamento e la riflessione, che sono alla base della responsabilizzazione per le azioni che compiamo”.
Perché molte adolescenti sentono il bisogno di mostrarsi già come donne adulte, almeno nell’aspetto estetico?
“Il motivo è che l’accesso al mondo degli adulti oggi avviene in modo molto più precoce. Le informazioni e gli stimoli sono già fruibili dai bambini, che più facilmente ne fanno modelli da copiare. Inoltre, hanno a disposizione un patrimonio di conoscenza, che spesso sondano solo superficialmente, che le fa bruciare le tappe senza che vi sia una reale metabolizzazione di quanto accade”.
In che modo questo loro voler bruciare le tappe può inficiare sulla loro identità di donne?
“Banalmente, rendendo fragili le basi su cui si deve poter costruire una personalità solida e serena. Avvicinarsi troppo presto a un mondo adulto significa perdere quei necessari step fatti di esperienze positive e negative, che insegnano pian piano a rafforzarsi e a contrastare le difficoltà, facendo fronte alle proprie risorsi interne. E’ un po’ come imparare a nuotare con la calma e con la gioia di fare piccoli passi, che sanciscono il momento e ne fanno esperienza, che sedimenta e costruisce. Viceversa, buttare un bambino in mare aperto e agitato, se non lo farà affogare, certamente lo rafforzerà e lo costringerà a imparare a stare a galla, ma probabilmente non a nuotare con il reale piacere di farlo”.
Quali sono i pericoli a cui sono più esposte?
“Trovarsi in situazioni che sfuggono al controllo, fare conoscenze sbagliate in grado di manipolarle, bruciare le tappe sessuali. C’è il rischio di confondere la quantità erotica con la qualità che, invece, è data solo dall’esperienza, intesa come processo di metabolizzazione di sé, del proprio corpo e della propria libertà emotiva. Questi sono elementi imprescindibili per la crescita e per la maturazione, che rendono la sessualità veramente libera e assertiva, e non un triste gioco di tacche da inseguire, senza consapevolezza e una reale conoscenza”.
Avere una figlia bella può essere motivo di orgoglio per una madre o può innescare anche una competizione?
“Credo che di base sia sempre un motivo di fierezza. Può divenire causa di competizione lì dove la madre in questione non riesce a “lasciare il passo” alla figlia, godendo in modo sano delle sue tappe evolutive, ma piuttosto ne è spaventata, perché subentra il terrore e la minaccia di una vecchiaia che non lascia tregua alla bellezza. E’ ovvio che maggiore è il livello di appagamento e realizzazione nella propria vita, minore sarà la frustrazione e la gelosia che il “tutta la vita davanti” della propria figlia può rappresentare. Bisogna, inoltre, fare attenzione ai casi in cui la bellezza della figlia diviene ragione di vita e rispecchiamento improprio per la madre, che attraverso essa cerca di sanare frustrazioni, rimpianti o desideri mai realizzati. Ma anche quando la bellezza diviene un valore fine a se stesso, di fronte a cui lo stesso genitore pigramente si ferma, senza la curiosità e l’intelligenza di esplorare e capire per davvero cosa c’è dietro in termini di personalità, allora si corre il rischio che il contenuto sparisca al cospetto del contenitore”.
Che modello di femminilità bisogna trasferire alla propria figlia?
“E’ importante chiarirsi sul concetto di femminilità, che non riguarda certo stereotipate icone di bellezza, ma piuttosto la capacità di esprimere la propria natura sensuale, che è un mix di consapevolezza di sé, curiosità ed espressione dei propri impulsi. Trasferire significa coltivare nella propria figlia un senso pieno di sé, inteso anche come accettazione dei propri difetti, valorizzazione o determinazione serena nel migliorarli, lì dove inaccettabili e lì dove possibile, senza stravolgimenti deleteri. Significa, inoltre, crescere spiegando il valore dell’unicità e della complessità personale, così da creare sempre una mappa di riferimento interno ricca e positiva, a cui poter attingere quando il naturale “sono brutta” o “sto invecchiando” verrà a bussare alla nostra porta”.
E come vivere la propria bellezza e la propria sensualità?
“In questo credo che porsi come un modello positivo sia già un ottimo modo per educare una figlia a passare indenne la crisi adolescenziale, fatta di contraddizioni, rifiuti e soprattutto grande caos emotivo e spesso senso di inadeguatezza, guardando avanti a qualcosa che su cui mirare. Una madre con una femminilità consapevole, priva di ansie, di frustrazioni, con una bellezza serena che accetta il divenire, è il miglior modo per “educare” a viversi in modo adeguato la propria crescita in quanto donna. Inoltre, credo sia importante “normalizzare” la bellezza senza enfatizzarla e puntare piuttosto sul valorizzare quelle qualità che rendono tale bellezza speciale. E poi porre molta attenzione ai mutamenti dei propri figli, alle ombrosità o alle chiusure, che possono celare un disagio o delle insicurezze. Verbalizzare quelle che potrebbero presumibilmente essere le loro emozioni è un modo per mantenere un ascolto attivo con il loro mondo emotivo”.
Come si fa ad aiutarla a gestire la sua femminilità nel rispetto della sua età?
“Trovare sempre una mediazione tra il bisogno naturale di omologarsi agli altri, tipico di quell’età, e l’attenzione con cui si coltiva la personalità. Sarebbe importante riuscire a fornire sempre alternative positive e costruttive che catturino l’attenzione. Ad esempio, può essere naturale sognare di essere una star della tv, ma parallelamente è necessario farle appassionare alla vita di qualche donna “straordinaria” della storia. Incuriosire, dare nuovi stimoli e nuovi spunti, è sempre un buon modo per far sì che il ”dono” della bellezza diventi uno dei tanti strumenti da poter usare con intelligenza e consapevolezza e non una maschera claustrofobica. Inoltre, cadenzare i tempi con restrizioni o concessioni coerenti con l’età (soprattutto emotiva!), sarà comunque un modo “saggio” per rallentare la corsa che tutti i minori in genere tendono a fare verso l’età adulta”.
Qual è il modo migliore per confrontarsi con lei senza apparire una “rompiscatole”?
“Ritengo che essere “rompiscatole” se non si esagera con ansie e oppressioni, sia sempre meglio che essere troppo “liberali”. L’importante è non perdere il filo del dialogo, o del monologo, perché anche se il minore fa finta di non ascoltare, in realtà incamera i nostri ragionamenti e spiegazioni. Il discrimine tra trasgressione e regole è sempre un livello che va mantenuto, perché tutti gli adolescenti hanno bisogno di contenimento e paletti per comprendere meglio e appieno il senso della trasgressione che sceglieranno di compiere. L’assenza di regole nuoce proprio in relazione alla perdita di significato che i ragazzi poi danno alle esperienze. La libertà è una competenza, non solo un diritto e, in quanto tale, va saputa gestire e compresa per ottenerne i benefici. Viceversa diventa solo un territorio troppo ampio, che fa paura e che rischia di immobilizzare, incastrare, danneggiare, e “perdersi”, anziché orientare”.