Per essere populisti ci vogliono tanti soldi: un’inchiesta tedesca lega un super-ricco ai populisti di Afd e nel resto del mondo, da Le Pen a Grillo, la musica non cambia

Milionari di tutti il mondo, unitevi: non avete da perdere altro che le vostre gardenie. Saranno anche dalla parte della gente comune nella lotta campale contro la globalizzazione, ma diversi tra i populisti più in voga del momento hanno un legame difficile da conciliare con la nomea di portavoce della gente comune: sono finanziati dagli ultra-ricchi. Uno dei fil rouge del populismo internazionale, più che il sovranismo o la lotta contro le élite, è rappresentato proprio da fondi e frequentazioni di derivazione poco popolare: l’ultimo caso, in linea di tempo, viene dalla Germania.
La destra tedesca
L’ultima inchiesta riguarda il partito nazionalista tedesco Afd (Alternative für Deutschland), che secondo lo Spiegel sarebbe stata sponsorizzata, fin dal 2013, da August von Finck, un miliardario di Monaco di Baviera. Il suo nome è emerso in un’indagine riguardante il presunto uso di fondi neri da parte dell’Afd, che attualmente contende al partito dei Verdi il secondo posto nei sondaggi in Germania. Un giornale che sarebbe dovuto servire come veicolo per la propaganda elettorale del partito, il Deutscheland Kurier, sarebbe stato finanziato con denaro occulto prestato da un plenipotenziario dell’anziano imprenditore, che si trova al sedicesimo posto della lista di Forbes degli uomini più ricchi del mondo, con una fortuna stimata in 8,6 miliardi di dollari.
Von Finck, attivo tra l’altro nei settori della ristorazione e alberghiero, è nipote del banchiere Wilhelm von Finck (1848-1924) fondatore del colosso assicurativo Allianz e della banca d’affari Merck Finck, e figlio di August von Finck (1898-1980) un industriale che fu tra i principali sostenitori di Adolf Hitler a partire dal 1931, nonché uno di quelli a beneficiare maggiormente dall’annessione dell’Austria. August stanziò un fondo elettorale di tre milioni di marchi per il partito nazista nel 1933 ed era seduto nel consiglio generale per l’economia del Terzo Reich; suo figlio aveva già sponsorizzato la Csu bavarese e la coalizione dei Liberi elettori, e fatto una pesante attività di lobbying per vendicarsi di una tassa sugli albergatori imposta dai cristiano-sociali.
Il caso Marine Le Pen
Ma il binomio populismo di destra-mecenati super-ricchi riguarda anche la Francia. Marine Le Pen, leader del Front National (ora Raggruppamento Nazionale) si è presentata come l’unico baluardo contro le roi de l’argent Emmanuel Macron, nella speranza di sedurre l’elettorato sinistrorso del socialista Jean-Luc Mélenchon. I suoi cavalli di battaglia sono l’aperta ostilità contro i plutocrati di Bruxelles e la società multiculturale, e sotto l’ala protettiva di Le Pen sono finiti molti disoccupati, i cittadini preoccupati dei sobborghi e delle zone rurali, oltre che una fetta considerevole della borghesia cittadina.
In questi ultimi anni, numerose riviste hanno scavato negli archivi della famiglia Le Pen per documentare la sua lotta contro le élite globali e i fautori del libero scambio. La tenuta di Montretout, un gigantesco castello poco fuori Parigi, è la casa dove Le Pen ha trascorso la sua giovinezza dopo che suo padre era stato vittima di un attentato nel 1976; era stata lasciata in eredità al genitore da Hubert Lambert, un ricchissimo imprenditore del cemento che ha visto in Jean-Marie Le Pen il salvatore della patria.
In una foto dell’aprile 1988 Marine Le Pen si fece ritrarre con il conte Michel de Rostolan, un altro finanziatore e simpatizzante dell’estrema destra, mentre beveva un cocktail sotto le palme delle Indie occidentali. E in una biografia non autorizzata dedicata a Le Pen, la giornalista Renaud Dély spiega che all’erede nazionalista piaceva particolarmente andare in vacanza nei Caraibi.
Nonostante il background facoltoso della sua icona, Il Front National è stato investito da numerosi scandali finanziari: uno riguarda i presunti impieghi fittizi di alcuni assistenti parlamentari di Strasburgo e accusa il partito di aver istituito un sistema di finanziamento fraudolento per tutte le sue campagne elettorali, mentre a Marine Le Pen è imputato di aver sottostimato il valore di diverse proprietà che possiede – in comune con suo padre Jean Marie – di fronte al fisco francese. Un altro contenzioso fiscale riguarda la lussuosa casa di famiglia di Rueil-Malmaison, vicino a Parigi, di cui la leader del Fn possiede la parte più importante: anche in questo caso il valore sarebbe stato abbassato rispetto a quello effettivo.
E, in Italia, Beppe Grillo e Casaleggio
In Italia, una parte sostanziale dell’indignazione contro le élite globali e il ceto politico degli anni Novanta e Duemila è stata intercettata e riorganizzata da Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio, due uomini facoltosi ultrasessantenni con un passato importante nel settore dell’intrattenimento e del marketing. Nel 2013 la Casaleggio Associati, srl milanese di consulenza in ambito digitale che gestisce il blog di Grillo, fatturava 2 milioni di euro; due anni dopo il fatturato era quasi dimezzato.
Quello che sono riusciti a creare Grillo e Casaleggio è un vero e proprio marchio politico ed economico, dalla struttura interna rigidamente controllata e con un sistema operativo proprietario, Rousseau (che non di rado ha dato segno di instabilità, mancanza di trasparenza e fragilità). Con questa formula sono riusciti a prendere in prestito slogan e idee tradizionalmente appannaggio dei movimenti della sinistra radicale e del volontarismo cattolico, creando un mix di proposte che a seconda della convenienza potevano apparire neoliberiste oppure stataliste, progressiste o regressive, xenofobe oppure solidaristiche.
Per quanto il successo del Movimento 5 stelle sia da attribuire in larga parte alla fiacchezza del ceto politico che l’ha preceduto, senza il lavoro dei due fondatori milionari probabilmente non sarebbe mai nata la rete di meetup che ha costituito l’ossatura del partito. Stando agli ultimi dati divulgati dai media, Beppe Grillo – che nel 2013 dichiarava in un’intervista a Enrico Mentana di avere un 730 “pari a zero” – tra il 2017 e il 2018 ha moltiplicato di sei grandezze i suoi guadagni, passando a un totale di 420mila euro. C’è poi la questione dei guadagni tramite il blog: nel 2014 Repubblica, seguendo in prima persona le aste per le sponsorizzate sulle sue pagine, aveva stabilito che il guadagno medio doveva attestarti attorno ai 600mila euro annui.
Donald Trump, il tycoon
È di metà ottobre un servizio esplosivo del New York Times che racconta la vastissima storia di frodi fiscali messa su dalla famiglia Trump, usando una varietà di tecniche di riciclaggio di denaro per eludere il fisco americano.
Secondo il quotidiano, che ha citato “una vasta gamma di documenti confidenziali finanziari e riguardanti dichiarazioni dei redditi“, il presidente degli Stati Uniti ha ricevuto dal padre Fred, un famoso immobiliarista, beni per 413 milioni di dollari. Questo si scontra con la storia del self-made man da sempre propagandata da Trump, che si vanta di essersi arricchito da solo con un solo piccolo prestito concessogli dal padre.
Per il Times, invece, alla radice dell’avventura imprenditoriale di Trump ci sarebbe “un’azienda fasulla per nascondere milioni di dollari di regali fatti a loro dai genitori“. Trump e i suoi portavoce ovviamente hanno negato tutto, insultando il lavoro del giornale: del resto, dai fatti contestati è passato così tanto tempo che tutto cadrebbe comunque in prescrizione.
Ma tra i dettagli più sorprendenti dell’inchiesta c’è la nota su quanto Trump guadagnava da bambino: “All’età di tre anni, Trump guadagnava 200mila dollari di oggi grazie all’impero del padre. Era un milionario all’età di 8 anni. E diventato 17enne, il padre gli diede parte della proprietà di un palazzo con 52 appartamenti. Poco dopo essersi laureato, Trump riceveva dal padre quello che oggi sarebbe un milione di dollari l’anno. Il denaro aumentò nel corso degli anni, fino a oltre 5 milioni di dollari l’anno tra i 40 e i 50 anni di età“. Nel 2017 Trump risultava la 248esima persona più ricca d’America, con un patrimonio stimato in 3,1 miliardi di dollari.
Secondo l’economista premio Nobel Paul Krugman, “un’implicazione di queste rivelazioni è che i sostenitori di Trump, che si immaginano di aver trovato un paladino che dice le cose come stanno e fa piazza pulita del marcio di Washington mentre usa il suo acume imprenditoriale per tornare a far grande l’America, si sono fatti abbindolare”.
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