Ecco perchè non riusciamo a integrare gli immigrati musulmani Fukuyama: «L’Europa è a rischio» Il politologo americano: «Il fallimento del sogno multiculturale mina le fondamenta della democrazia»
L e moderne società liberali in Europa e Nord America tendono ad avere identità deboli; molti celebrano il loro pluralismo e multiculturalismo, sostenendo che la loro identità in effetti è non avere identità. Il fatto è che l’identità nazionale continua a esistere in tutte le democrazie liberali, anche se con caratteri differenti in Nord America rispetto ai Paesi dell’Ue. Secondo Seymour Martin Lipset, l’identità americana è sempre stata di natura politica, essendo gli Usa nati da una rivoluzione contro l’autorità statale con alla base cinque valori fondanti: uguaglianza, libertà (o antistatalismo), individualismo, populismo e laissez-faire. L’identità americana ha le sue radici anche nelle diverse tradizioni etniche, in particolare in quella che Samuel Huntington definisce la cultura «anglo-protestante», da cui derivano la famosa etica protestante del lavoro, l’inclinazione all’associazionismo volontario e il moralismo in politica. Questi aspetti chiave della cultura americana all’inizio del XXI secolo sono stati distinti dalle loro origini etniche, divenendo patrimonio della maggioranza dei nuovi americani.
In Europa dopo la seconda guerra mondiale ci fu un forte impegno nella creazione di un’identità europea «postnazionale», ma ancora pochi pensano a sé come genericamente europei. Con il rifiuto della Costituzione europea nei referendum in Francia e in Olanda nel 2005, i cittadini hanno segnalato alle élites di non essere pronti a rinunciare allo Stato e alla sovranità nazionale. Le vecchie identità nazionali europee continuano a sussistere e la popolazione conserva tuttora un forte senso di cosa implichi l’essere inglese, francese o italiano, anche se non è politically correct affermare troppo fortemente tali identità. Le identità nazionali in Europa, comparate a quelle nelle Americhe, rimangono più fondate sugli aspetti etnici. La maggior parte dei Paesi europei tende a concepire il multiculturalismo come una cornice nella quale far coesistere culture differenti, piuttosto che un meccanismo di transizione per integrare i nuovi arrivati nella cultura dominante.
Quali che siano le esatte cause, il fallimento europeo nel tentativo di creare una migliore integrazione dei musulmani è una bomba a orologeria che ha già contribuito al terrorismo, che certamente provocherà una più decisa reazione dei gruppi populisti e che può persino minacciare la stessa democrazia europea. La soluzione di tale problema richiede cambiamenti nel comportamento delle minoranze immigrate e dei loro discendenti, ma anche in quello dei membri delle comunità nazionali dominanti. Il primo versante della soluzione è riconoscere che il vecchio modello multiculturale non è stato un grande successo in Paesi come l’Olanda e la Gran Bretagna, e che è necessario sostituirlo con tentativi più energici per integrare le popolazioni non-occidentali in una comune cultura liberale. Il vecchio modello multiculturale era basato sul riconoscimento dei gruppi e dei loro diritti. A causa di un malinteso senso di rispetto per le differenze — e talvolta per sensi di colpa postcoloniali — è stata ceduta alle comunità culturali un’eccessiva autorità nel fissare regole di comportamento per i loro membri. Il liberalismo non può essere basato sui diritti dei gruppi, perché non tutti i gruppi sostengono valori liberali. La civiltà dell’Illuminismo europeo, di cui la democrazia contemporanea è l’erede, non può essere culturalmente neutrale, dal momento che le società liberali hanno propri valori che riguardano l’eguale dignità e valore dei singoli. Le culture che non accettano tali premesse non meritano uguale protezione in una democrazia liberale. I membri delle comunità immigrate e i loro discendenti meritano di essere trattati su un piano di parità come individui, non come membri di comunità culturali.
Non c’è ragione perché una ragazza musulmana sia trattata differentemente da una cristiana o da un’ebrea rispetto alla legge, comunque la pensino i suoi parenti. Il multiculturalismo, per come fu originalmente concepito in Canada, negli Usa e in Europa, era in un certo senso un «gioco alla fine della storia »: la diversità culturale era vista come un tipo di ornamento al pluralismo liberale, che avrebbe provveduto cibo etnico, vestiti coloratissimi e tracce di tradizioni storiche distintive a società spesso considerate confusamente conformiste e omogenee. La diversità culturale era qualcosa da praticare largamente nella sfera privata, dove non avrebbe condotto ad alcuna seria violazione dei diritti individuali, né avrebbe minato l’ordine sociale essenzialmente liberale. Per contro, oggi alcune comunità musulmane stanno avanzando richieste per diritti di gruppo che semplicemente non possono essere adattati ai principi liberali di uguaglianza individuale. Tali richieste includono esenzioni speciali dalla legislazione familiare valida per chiunque altro nella società, il diritto di escludere i non musulmani da alcuni particolari eventi pubblici o il diritto di opporsi alla libertà di parola in nome dell’offesa religiosa (come nel caso delle vignette danesi). In taluni casi estremi, le comunità musulmane hanno persino espresso l’ambizione di sfidare il carattere laico dell’ordine politico nel suo insieme.
Tipologie simili di diritto di gruppo intaccano i diritti di altri individui nella società e sospingono l’autonomia culturale ben oltre la sfera privata. Chiedere ai musulmani di rinunciare ai diritti di gruppo è molto più difficile in Europa che negli Usa, perché molti Paesi europei hanno tradizioni corporative. L’esistenza di scuole cristiane ed ebree finanziate dallo Stato in molti Paesi europei rende difficile argomentare in via di principio contro un sistema scolastico supportato dallo Stato per i musulmani. Queste isole di corporativismo pongono importanti precedenti per le comunità musulmane e risultano d’ostacolo al mantenimento di un muro di separazione fra religione e Stato. Se l’Europa deve stabilire il principio liberale di un pluralismo fondato sugli individui, allora deve affrontare il problema di tali istituzioni corporative ereditate dal passato. Le modalità con cui l’identità nazionale continua a essere intesa e vissuta talvolta costituiscono una barriera per i nuovi arrivati, che non condividono l’etnia e la religione delle popolazioni originarie. Questo senso di appartenenza a un luogo e a una storia dovrebbe non essere cancellato, ma reso quanto più aperto possibile ai nuovi cittadini.
A dispetto delle sue origini assolutamente differenti, l’America può avere qualcosa da insegnare agli europei nel loro tentativo di costruire forme postetniche di cittadinanza e appartenenza nazionale. La vita americana è piena di cerimonie parareligiose e rituali intese a celebrare le istituzioni politiche democratiche del Paese, laddove invece gli europei hanno largamente deritualizzato la loro vita politica. Queste cerimonie sono invece importanti per l’assimilazione dei nuovi immigrati. Inoltre, in gran parte dell’Europa, una combinazione di regole rigide nel mondo del lavoro e di benefit generosi spiega come gli immigrati non vengano in cerca di lavoro, ma di welfare. Molti europei affermano che il meno generoso welfare state statunitense privi i poveri di dignità. È invece vero il contrario: la dignità si sviluppa grazie al lavoro e al contributo che attraverso il proprio lavoro una persona dà al resto della società. In diverse comunità musulmane in Europa, circa metà della popolazione sopravvive grazie al welfare, il che contribuisce direttamente a indurre un senso di alienazione e disperazione. Il dilemma dell’immigrazione e dell’identità converge con il problema più vasto della mancanza di valori della postmodernità. L’insorgere del relativismo ha reso più difficile per i postmoderni affermare valori positivi e perciò anche quei valori di base condivisi che agli immigrati è chiesto di fare propri come condizione per la cittadinanza. Al di là delle celebrazioni della diversità e della tolleranza, i postmoderni trovano difficile accordarsi sulla sostanza di un bene comune cui aspirare unitariamente. L’immigrazione ci costringe in maniera particolarmente stringente a porci la domanda: «Chi siamo?». Se le società postmoderne debbono muoversi verso una più seria discussione dell’identità, avranno bisogno di portare alla luce le virtù positive che definiscono cosa vuol dire essere membri di una società più vasta. In caso contrario, rischiano di essere sopraffatte da chi è più sicuro della propria identità.
Francis Fukuyama
17 luglio 2007
https://www.corriere.it/
Religioni, ecco perché l’Islam sarà la religione più seguita del mondo
Entro il 2050 il numero dei musulmani eguaglierà quello dei cristiani. Tra i paesi che non avranno più una maggioranza cristiana: Francia, UK, Australia e Olanda
Il cristianesimo è destinato a rimanere la religione con più seguaci al mondo? Oppure nei prossimi anni, per la prima volta nella storia, il numero dei seguaci di Allah sorpasserà quello dei fedeli alla Chiesa? “Fino al 2050 – raccontano dall’istituto di ricerca americano Pew Research Center – i cristiani resteranno il gruppo più numeroso, ma i seguaci dell’Islam aumenteranno più velocemente di ogni altro gruppo religioso”.
Tanto che, se i trend attuali resteranno invariati, entro il 2050 il numero dei musulmani nel mondo raggiungerà quasi quello dei cristiani, mentre in Europa i musulmani raggiungeranno il 10% della popolazione. Un cambiamento che si trasformerà in inversione di rotta nel 2070, quando il numero tra i due gruppi religiosi sarà equiparato. Poi, nei trent’anni successivi, attorno al 2100, si arriverà a un sorpasso dei musulmani (34,9%) rispetto ai cristiani (33,8%).
Cambiamenti anche tra agnostici, atei e non credenti, che – pur crescendo di numero in Francia e negli Stati Uniti – vedranno una diminuzione a livello globale. E che dire dei cristiani, di cui quattro su dieci saranno cittadini dell’Africa sud sahariana. Questi i principali trend identificati dal Pew Research Center (PRC), un progetto che – analizzando distribuzione delle religioni, età e fertilità dei fedeli nonché migrazioni e crescita della popolazione a livello globale – ha creato delle proiezioni sui destini dei differenti credo del nostro pianeta.
Nel dettaglio, nel 2010 il cristianesimo era di gran lunga la religione più seguita al mondo (2,2 miliardi di seguaci su 6,9 miliardi di abitanti sulla Terra, circa il 31% della popolazione globale). Di contro, l’Islam raccoglieva 1,6 miliardi di seguaci (il 23% della popolazione). La spinta che, secondo il PRC, porterà i musulmani a superare il numero dei cristiani nel mondo, nasce proprio dalla velocità di crescita della popolazione appartenente a questa fede. Infatti, se dal 2010 al 2050 la stima di crescita della popolazione mondiale è del 35%, nello stesso periodo quella musulmana crescerà del 73% (contro il 35% di quella cristiana). Merito di una popolazione – quella musulmana – particolarmente giovane e fertile, che porterà entro il 2050 i seguaci di Allah e della Chiesa a equipararsi in numero.
Accanto al tasso di fertilità dei seguaci delle varie religioni, le conversioni sono un altro indice da tenere in considerazione. Per quanto i dati rispetto al passaggio da una religione ad un’altra siano di difficile catalogazione (vedi la Metodologia), il PRC segnala come il mondo cristiano avrà le perdite più ampie: in 40 milioni si convertiranno alla Chiesa mentre oltre 106 milioni lasceranno questa fede per non abbracciarne più nessuna.
Ad eccezione del buddismo (che resterà stabile) tutte le altre religioni vedranno invece un aumento nel numero di fedeli nei prossimi anni, anche come conseguenza dell’aumento di popolazione a livello globale. Secondo le proiezioni gli induisti, per esempio, aumenteranno del 34% mentre gli ebrei solo del 16%. Le migrazioni internazionali sono un altro fattore che influenzerà il numero di seguaci delle vari confessioni, anche se non è da considerare un aspetto determinante.
E se il numero di cristiani è destinato a diminuire, cambierà anche la geografia dei paesi a maggioranza cristiana, che passeranno da 159 a 151. Tra questi: Francia, Olanda, Regno Unito, Australia, Nuova Zelanda, Benin, Bosnia-Erzegovina e Repubblica di Macedonia. E mentre in alcuni di questi Stati la maggioranza della popolazione diventerà musulmana (come in Repubblica di Macedonia e Nigeria), in altri i fedeli ex cristiani diventeranno atei o agnostici (Francia, Olanda e Nuova Zelanda).
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