Rosi dall’invidia

L’invidia è uno dei sentimenti più diffusi ma allo stesso tempo dei più negati. E’ possibile vedere l’invidia degli altri ma non quella propria, eppure è uno dei sentimenti più antichi ed arcaici, celebrati anche in letteratura. Dante colloca l’invidia nella seconda cornice del purgatorio e la rappresenta come un macigno portato sulle spalle dei penitenti, avversa alla virtù della carità.
Shakespeare, profondo conoscitore e svelatore delle passioni umane, attraverso la figura di Iago ci rappresenta la massima espressione dell’invidia: egli insinua, in Otello, il tradimento di Desdemona con l’obiettivo preciso di distruggere la felicità altrui. Così Salieri cerca in tutti i modi di annientare la genialità di Mozart etc..Persino Erodono ci racconta dell’invidia degli dei verso i mortali, quando la loro felicità va oltre il limite assegnato loro.
L’esempio più significante, che riflette l’insieme o il susseguirsi di stati d’animo che portano all’invidia, lo troviamo nella Bibbia: Lucifero, l’angelo più bello tra gli angeli, voleva diventare come Gesù. In Genesi 37 troviamo un altro esempio di invidia e leggiamo che Giuseppe era il prediletto di suo padre Giacobbe perché “era il figlio della sua vecchiaia”. Un favoritismo che ha causato non poche amarezze ai suoi fratelli. Inoltre, i sogni che ha fatto preannunciavano un avvenire molto più luminoso del loro. I fratelli di Giuseppe hanno provato un’emozione universale: l’invidia, un misto di irritazione e di odio contro chi possiede uno o più vantaggi di cui noi siamo privi. Così hanno architettato un piano per ucciderlo.Da “invidere”che significa guardare biecamente l’invidia ha il senso divorante della frustrazione in chiunque la provi. L’invidia è un meccanismo di difesa che mettiamo in atto quando ci sentiamo sminuiti dal confronto con un’altra persona : sia per quello che questa persona è, sia per quello che questa persona ha; dunque gli oggetti come le qualità personali, i possessi come i riconoscimenti.
In termini psicologici potremmo dire che l’invidia è un tentativo un po’ maldestro di recuperare la fiducia e la stima in sé stessi, impedendo la caduta del proprio valore attraverso la svalutazione dell’altro. (Foster, 1972)
Nozick (1981) definisce invidioso colui che, se non può possedere qualcosa che un altro ha, preferisce che nessuno dei due la possieda. L’elemento fondamentale di questa definizione è la stima di sé. L’invidioso infatti vuole che l’altro più ricco perda qualcosa anche se questo non accresce la propria ricchezza. Secondo Nozick l’invidia nasce dal fatto che ciò che l’altro ha in più (in termini di ricchezza o di status), riduce la stima di sé perché quest’ultima non può prescindere da un confronto con gli altri (se un altro è più bravo di me in qualcosa ciò riduce la mia autostima). Per questo motivo l’invidia non dipende dal fatto che la posizione superiore dell’altro sia meritata o meno, al contrario può essere più forte proprio perché è meritata. Nella teoria psicoanalitica classica dell’invidia, “invidia” e “distruttività” sono pressoché sinonimi, dato che l’invidia è ritenuta espressione della pulsione di morte. L’invidia è così concepita, in ultima analisi, come insensata, ereditaria, biologicamente fondata, sostanzialmente immodificabile (se non nel lunghissimo periodo) e solo parzialmente integrabile.Freud (1905) la colloca nella rivalità edipica: le femmine attraverso l’invidia per il pene, i maschi attraverso la paura, intesa come frustrazione o castrazione; mentre secondo Bion (1962), essa non ha forma, è un forte attacco al legame.È con Melanie Klein (1957) e la sua scuola che l’invidia assurge a pilastro della vita psichica, vero primo (o tutt’al più secondo) motore della mente. L’invidia venne concepita come diretta espressione della pulsione di morte, quando non come suo esatto sinonimo.
L’invidia sarebbe allora fondamentalmente distruttiva, quantitativamente e qualitativamente immutabile, acquisita dal soggetto per via ereditaria, differentemente posseduta dai differenti soggetti come una delle caratteristiche psicobiologiche di base. Essa può anche essere messa al servizio dell’Io e della pulsione libidica non solo perché, attraverso il senso di colpa per la distruzione fantasmatica dell’oggetto d’amore, può far maturare la posizione depressiva e il correlato senso di responsabilità e di amore maturo, ma anche perché può consentire di utilizzare la forza per l’esplicazione di sé nell’esistenza. Per la teoria psicoanalitica classica kleiniana, la questione fondamentale relativa all’invidia è quella di poterne riconoscere la non onnipotenza, così da rendere sopportabile l’angoscia da essa generata e da poter integrare i costrutti su di essa basati con i costrutti basati sulla pulsione libidica. E la terapia consiste essenzialmente nel riconoscimento della pulsionalità distruttiva quale base dei disturbi psichici, i quali in definitiva sarebbero l’espressione dei tentativi della mente di farvi fronte.L’invidia, sostengono in tanti, è storicamente considerata una qualità femminile, sviluppata in ambienti ristretti, privi di possibilità di agire per cambiare in meglio il proprio destino. “Sulla scia delle riflessioni di Melanie Klein, tante psicoanaliste hanno approfondito l’invidia primaria, fortissima, che si nasconde nel rapporto madre-figlia. Una donna può anche essere competitiva con un collega maschio, ma la vera invidia (specchio di quella emozione primigenia) la prova nei confronti di un’altra donna”, spiega la psicanalista lacaniana Ioanna Fennemann, fondatrice dell’associazione Cosa Freudiana di Roma.
Esiste l’invidia della figlia verso la madre, frutto dell’ambivalenza verso questo oggetto d’amore, che però ha un potere enorme: dare e togliere la vita, il nutrimento, l’affetto. E c’è anche, terribile, l’invidia della madre verso la figlia più giovane, a volte più seduttiva.
Una recente indagine del novembre 2000, realizzata dall’Istituto di Marketing Sociale (Ims), ha rivelato come l’invidia sia un sentimento provato da nove donne su dieci. I dati emersi da 500 interviste mostrano anche che la diffusione di questo sentimento è assolutamente eterogenea: colpisce indipendentemente dall’età, dal ceto sociale e dal livello culturale. L’invidia è rivolta quasi esclusivamente verso le altre donne, ecco in ordine decrescente gli “oggetti del desiderio” che scatenano il peccato di cui più ci si vergogna:
• La fortuna di avere un uomo bello e soprattutto benestante (37%)
• La bellezza delle altre (32%)
• Il fascino delle altre (29%)
• La capacità deduttiva delle amiche (25%)
• La serenità delle amiche (23%)
• La felicità delle amiche (20%)
• La vita sociale più intensa delle amiche (18%)
Difficile quindi pensare ad una solidarietà femminile, sul modello del cameratismo maschile, dato che l’invidia avvelena persino l’armonia dei rapporti di amicizia.Il partner, contrariamente alle teorie di Freud, è invidiato solo dal 14% delle donne e solo quando occupa una posizione sociale più elevata. Nemmeno i legami famigliari restano esclusi: il 7% delle mamme invidia la giovinezza e la bellezza della propria figlia.All’invidia si accompagnano poi anche inquietanti fantasie distruttive. Molte donne, infatti, sognano che la rivale sparisca (43 %), che le succeda qualcosa di sgradevole (38%), che perda improvvisamente le motivazioni del proprio vantaggio (37%), che venga abbandonata dal proprio partner (32%).
Esistono poi due tipi di invidia : quella buona e quella cattiva. (Elster, 1991)
L’invidia buona sarebbe il desiderio doloroso, lacerante, che proviamo vedendo qualcun altro riuscire dove noi vorremmo, ma senza odio per lui, senza volergli togliere ciò che ha. In questo caso possiamo parlare di emulazione : il nostro è un profondo desiderio di arrivare allo stesso livello dell’altro, anziché abbandonarci allo scoramento e alla denigrazione. Questo tipo di invidia potrà portare, ad esempio, a dire di un collega: “E’ normale che sia stato promosso, ha lavorato sodo!”.
A volte chi invidia benevolmente tende a diventare uno dei più grandi adulatori dell’invidiato : la lusinga aiuta a far credere di partecipare al successo altrui. Nella cultura americana un comportamento del genere è perfettamente accettato : vi è infatti una incitazione esplicita ad identificarsi con il vincitore.
Ciò non accade nelle culture latine, dove invece chi riesce più degli altri non è altro che l’esempio della altrui insufficienza.
All’invidia cattiva appartiene, infatti, sia l’invidia ostile, per cui si parla male della persona invidiata, sia l’invidia depressiva che ci blocca sul piano comportamentale.Nell’invidia ostile ci potranno essere frasi del tipo: “Non posso sopportare che l’abbiano promosso prima di me, quell’incapace!”La tipica frase che accompagna l’invidia depressiva è invece “Ahimè, questo a me non succederà mai!”Sicuramente l’invidia ha a che fare con uno stato di frustrazione molto profondo e si riscontra soprattutto nei legami forti e in quelle persone tra le quali può esserci un confronto diretto (per cui anche tra paziente e terapeuta).Gli studi condotti in psicologia, (Elster, 1991; Choi, 1993) confermano che tendiamo a invidiare persone vicine a noi (fratelli, sorelle, amici, colleghi, vicini, ecc). Nella Retorica Aristotele scrive: “Noi invidiamo coloro che sono vicini a noi nel tempo, spazio, età o reputazione”. Ciò accade per due motivi: innanzitutto perché la vicinanza rende più facile e più frequente il paragone tra i loro vantaggi e i nostri; in secondo luogo, perché ne condividiamo la stessa visione di vita; le differenze constatate si trasformano presto in minacce per la stima di sé.
L’invidia è rafforzata dal fatto che chi ne è oggetto non è molto diverso da noi, dunque avremmo potuto facilmente essere al suo posto (‘avrei potuto essere io ’)L’insidia della competizione e dell’invidia è particolarmente forte nelle coppie che fanno lo stesso lavoro, e ritengono di avere lo stesso valore. Alcuni pensano che un certo grado di competizione favorisca la vita di coppia. Alcune ricerche dimostrano, invece il contrario (Alberoni, 1992). Non bisogna confondere il bisogno di affermarsi nella vita col desiderio di apparire meglio della persona amata. Ogni persona umana vuol avere un valore. E non vuole solo sentirsi amata, vuole anche veder riconosciuti i propri meriti. Vuol essere apprezzata per le sue capacità e per le sue virtù. Se la donna vede il suo partner continuamente ammirato, adorato, mentre lei è sempre in seconda fila, prova un senso di svuotamento. L’invidia è il sentimento che noi proviamo quando qualcuno, che noi consideriamo del nostro stesso valore ci sorpassa, ottiene l’ammirazione altrui. Allora abbiamo l’impressione di una profonda ingiustizia nel mondo. Cerchiamo di convincerci che non lo merita, facciamo di tutto per svalutarlo, lo critichiamo. Ma se la società continua ad innalzarlo, ci rodiamo di collera e, nello stesso tempo, siamo presi dal dubbio. Perché non siamo certi di avere ragione. Per questo ci vergogniamo di essere invidiosi. E, soprattutto, di essere additati come persone invidiose. Parlare della persona che si invidia e spiegare il perché, significa parlare della parte più profonda di sé stessi, delle aspirazioni e dei fallimenti personali, delle difficoltà e dei limiti che si trovano in sé stessi.
Bibliografia
Alberoni F., Veca S (1992). L’altruismo e la morale, Garzanti editore.
Bion W(1962). A theory of thinking, International Journal of Psycho-Analysis, vol.43
Choi Y.B. (1993), Paradigms and Conventions. Uncertainty, Decision Making and Entrepreneurship, University of Michigan Press.
Elster J. (1991), Envy in Social Life, in Zeckauser R.J. (ed), Strategy and Choice, Cambridge (U.S.A.), The MIT Press.
Foster G.M. (1972), The Anatomy of Envy, Current Anthropology, Vol. 13, n. 2.
Freud S (1905) Tre saggi sulla sessualità, tascabili economici newton
Habimana E, Masse L (2000), .Envy manifestations and personality disorders, Eur Psychiatry n. 15 Suppl 1, pp. 15-21
Klein M (1957), Invidia e gratitudine, Giunti editore.
Nozick R. (1981), Anarchia, Stato e Utopia, Firenze: Le Monnier.
Sandell R. (1993), Envy and admiration, Int J Psychoanal, n.74 ( Pt 6) pp.1213-21
Shengold L. (1994), Envy and malignant envy, Psychoanal Q. n. 63(4), p
FONTE (Dott.ssa Maria Concetta Cirrincione)


Come funziona l’invidia (e perché in fondo è utile)

Tutti la provano, nessuno la confessa. Perché è dolorosa per sé e pericolosa per gli altri. Ma è anche utile: ci avverte che abbiamo perso un confronto, dandoci la spinta a migliorare.

L’invidia è un moto dell’anima tanto velenoso quanto inconfessabile: è la stretta che si prova quando si esce perdenti da un confronto sociale. Si sperimenta quando un altro ha qualcosa che noi vorremmo: oggetti, posizione sociale, o qualità come la bellezza o il successo in amore. È la sofferenza dovuta a un confronto perdente con qualcuno, in un campo che è importante per la persona. Può essere un’emozione, cioè la “stretta” provata quando si viene a sapere che un altro ci ha superato, o diventare un sentimento duraturo: uno stato di malessere e inadeguatezza, con malevolenza verso la persona invidiata.

LO SGUARDO MALIGNO. Tutti la provano, per ciò che sta loro a cuore. «Dai ragazzi, verso il compagno che prende voti migliori o è fidanzato, agli anziani: in una ricerca condotta nelle case di riposo vari ospiti hanno confessato di invidiare chi riceve più visite da figli e nipoti» spiegava Valentina D’Urso, già docente di psicologia generale all’Università di Padova e autrice di Psicologia della gelosia e dell’invidia.

Se tutti la provano, quasi nessuno la confessa. Si può ammettere di farsi prendere dall’ira, di crogiolarsi nella pigrizia o di soffrire per gelosia, ma di essere rosi dall’invidia no. «È l’emozione negativa più rifiutata. Perché ha in sé due elementi disonorevoli: l’ammissione di essere inferiore e il tentativo di danneggiare l’altro senza gareggiare a viso aperto ma in modo subdolo, considerato meschino» scriveva D’Urso sul suo libro.

L’invidia infatti spesso è caratterizzata dall’ostilità nascosta verso l’altro, dal desiderio di danneggiarlo – magari dietro le spalle con commenti denigratori – e di privarlo di ciò che lo rende… invidiabile. Tradizionalmente si teme proprio lo sguardo malevolo dell’invidioso: non a caso la parola latina invidia, rimasta uguale, ha la stessa radice di videre, vedere. Dante, nella Divina Commedia, mette gli invidiosi in purgatorio, con le palpebre cucite da fil di ferro: così sono chiusi gli occhi che invidiarono e gioirono dalla vista dei mali altrui.

Anche un’altra caratteristica dell’invidia la rende difficile da ammettere, persino a se stessi. Si prova soprattutto per chi è simile, per le persone che si considerano paragonabili come condizioni di partenza. Per una donna è bruciante il confronto con la conoscente bella e corteggiata, più che quello astratto e “sproporzionato” con una top model; si invidia il collega che è stato promosso, non il direttore generale.

FRATELLI O… COLTELLI? Così bersaglio d’invidia spesso diventano persone che ci sono vicine e a cui vogliamo bene, come compagni di classe, colleghi, ma anche amici o fratelli: l’uguaglianza di opportunità rende doloroso l’essere inferiori rispetto ai successi di un fratello o una sorella, in un campo importante per sé.

In più, l’invidia per le preferenze fatte dai genitori – come nel racconto biblico di Giuseppe, prediletto dal padre e venduto dai fratelli – si può mescolare alla gelosia per l’affetto dei genitori, che si teme di perdere.

Chi è invidioso, quindi, lancia tre messaggi: sono inferiore, ti sono ostile per il tuo successo e potrei anche farti del male. Così come Caino uccise Abele, i cui sacrifici erano più graditi da Dio.

Basti pensare a un esperimento condotto da Andrew Oswald, della University of Warwick (Gb), e Daniel Zizzo, della University of East Anglia (Gb): i partecipanti, con un gioco al computer, ottenevano differenti somme di denaro e bonus casuali. Poi avevano la possibilità di bruciare i guadagni degli altri, visibili sullo schermo, restando anonimi ma sacrificando parte delle loro vincite.

E il 62% dei giocatori lo hanno fatto, pagando fino a 25 centesimi per ogni euro bruciato, cioè perdendo soldi pur di annichilire la ricchezza altrui. Per invidia e risentimento verso guadagni ingiusti. Non solo gli svantaggiati colpivano i più ricchi e avvantaggiati dai bonus: i ricchi, sapendo che sarebbero stati bruciati, colpivano tutti per rappresaglia… Dal test è emerso, dicono gli autori, “il lato oscuro della natura umana”.

«Ecco perché l’invidia è messa al bando e condannata dalla società: implica ostilità ed è socialmente distruttiva, perché la persona invidiosa è potenzialmente pericolosa. Non solo: minaccia lo status quo e mette in dubbio la legittimità della distribuzione delle risorse, stabilita dal Creatore. Non stupisce che nella cultura cristiana sia uno dei 7 vizi capitali» aggiunge Richard ­Smith, psicologo della University of Kentucky (Usa) che studia i meccanismi dell’invidia.

FRUSTRATI E INADEGUATI. L’invidia è velenosa anche per chi la vive. «È spiacevole. Si provano senso di inadeguatezza e inferiorità. Si ha la sensazione che il vantaggio dell’altro non sia meritato, con frustrazione, perché si pensa di non riuscire a ottenere la stessa cosa. Inoltre chi tende a essere invidioso rischia, invece di apprezzare le proprie abilità in senso assoluto, di valutarle solo se confrontate con quelle di altri che appaiono migliori: questo diminuisce l’auto-valutazione» dice Smith.

L’invidia è dolorosa, insomma, come ha mostrato uno studio condotto da un team di scienziati giapponesi. Che hanno analizzato con la risonanza magnetica funzionale cosa accadeva nel cervello dei partecipanti, a cui veniva chiesto di immedesimarsi in situazioni con diversi personaggi. Di fronte a quelli simili a loro, ma più brillanti su aspetti per loro rilevanti, scattava l’invidia. E nel loro cervello aumentava l’attivazione della corteccia cingolata anteriore dorsale: tanto maggiore quanto più intensa era l’invidia che il partecipante diceva di provare.

È UN “DOLORE SOCIALE”. «La corteccia cingolata anteriore dorsale è legata all’elaborazione del dolore fisico o sociale» spiega Hidehiko Takahashi del giapponese National institute of radiological sciences, che ha guidato la ricerca. L’attivazione in questa regione cerebrale si ha per esempio in risposta a un dolore sociale, come il senso di esclusione. E può quindi riflettere la caratteristica dolorosa di un’emozione legata al confronto sociale come l’invidia, con la sensazione di essere esclusi da un campo per sé rilevante.

Dolorosa per sé, potenzialmente pericolosa per gli altri. Perché allora proviamo questa emozione? Perché l’invidia è come la paura, che è sgradevole ma ci prepara a reagire a un pericolo. È un campanello d’allarme: ci avverte velocemente che siamo perdenti nel confronto sociale. «Essere in una posizione inferiore è svantaggioso, quindi un’emozione che segnala questo stato e ci dovrebbe spingere a uscirne deve essere spiacevole» puntualizza Smith.

I VICINI HANNO L’ERBA PIÙ VERDE? Secondo David Buss della University of Texas (Usa) e Sarah Hill della Texas Christian University, è un’emozione sviluppata come “sostegno” nella competizione per le risorse (cibo, partner ecc.). Secondo gli studiosi, conta la posizione all’interno del gruppo riguardo a quantità di risorse e capacità di ottenerle: per questo gli esseri umani hanno sviluppato un’attenzione particolare a giudicare tutto in termini di confronto sociale. Per la soddisfazione non conta solo quanto si ha, ma se questo è più o meno di quanto hanno gli altri con cui ci si rapporta.

Anche nel mondo animale non fa piacere vedere che i vicini gustano l’uva e noi no… Lo hanno mostrato esperimenti condotti sulle scimmie. Un gruppo di cebi dai cornetti sono stati addestrati a svolgere un compito – mettere pietre nelle mani del ricercatore – ricevendo in premio pezzi di cetriolo. Le scimmie, a coppie, potevano vedersi.

Quando a una i ricercatori cominciavano a offrire uva, un cibo preferito, l’altra svolgeva meno velocemente il compito, si agitava, a volte scagliava via pietre e cetrioli: mostrando un’emozione simile all’invidia. Le scimmie, ricevendo una ricompensa minore per lo stesso compito, hanno reagito negativamente alla mancanza di equità.
Questa reazione è stata rilevata anche nei cani che mostravano segni di tensione e non davano la zampa al ricercatore senza ricevere nulla in cambio, se vedevano che il compagno era invece premiato con una salsiccia per la stessa azione. |

O TI ALZI, O ABBASSI L’ALTRO. E l’invidia è il meccanismo psicologico che avverte che qualcun altro ha guadagnato un vantaggio e dà la spinta per ottenere lo stesso. Nel corso dell’evoluzione si sarebbe rivelata un beneficio: gli individui invidiosi che giudicavano il loro successo sulla base della posizione rispetto ai rivali avrebbero investito più sforzi per raggiungere status e risorse; i meno attenti sarebbero rimasti indietro, sfavoriti nella selezione naturale. Per Buss e Hill è normale che si invidino le persone vicine, amici o fratelli: confronto e competizione avvenivano nei piccoli gruppi in cui un tempo vivevano gli uomini.

Anche alcuni comportamenti hanno una funzione precisa. Come il non ammettere l’invidia: non si rende evidente al gruppo la propria posizione inferiore e si è più credibili nelle strategie nascoste di attacco mirate a diminuire lo status del rivale. Una di queste è parlarne male: chi ascolterebbe qualcuno che “parla solo per invidia”?

«Questa emozione è una chiamata all’azione. O si cercano modi per “abbassare” una persona (è il caso dell’invidia “maligna”) o si lavora duro per alzarsi al suo livello (ed è quello che accade con una seconda forma di invidia, quella benigna, priva di sentimenti ostili)» dice Smith.

EMULAZIONE BENIGNA. «L’invidia può essere benigna quando porta all’emulazione: in questo caso canalizza le energie per cercare di avere un bene o il riconoscimento che è stato dato agli altri. Insomma, è una spinta a metterci in moto: così facciamo appello alle nostre capacità per raggiungere un traguardo. Possono spingere all’emulazione i modelli di persone “invidiabili” (per esempio quelli proposti dalla società, come sportivi o personaggi dello spettacolo) per cui si prova ammirazione, desiderando di essere come loro. E ci sono in fondo casi in cui la competizione è legittima, come nello sport: chi arriva secondo potrà invidiare chi l’ha superato, ma si allenerà per superarlo alla gara successiva» dice D’Urso. Se l’invidia segnala uno svantaggio, impegnarsi per recuperare è la migliore strategia per non rodersi.

TI FA MALE? MEGLIO PER ME. Non solo. Questa spinta all’emulazione fa sì che l’invidia sia una delle basi… della società dei consumi: porta a desiderare i beni degli altri e a comprarli. Susan Matt, storica della Weber State University (Usa), sostiene che ai primi del ’900, nella società americana, l’invidia per i consumi che si potevano permettere i ricchi è stata “sdoganata”: prima condannata, poi incoraggiata come legittima aspirazione della classe media e popolare, a cui erano ormai a disposizione i beni della produzione di massa.

Nell’“invidia del consumatore” non si arriva alla malevolenza verso l’altro, ma all’acquisto di una borsa firmata o di uno smart­phone. E il marketing alimenta l’invidia. I beni di consumo d’élite si basano sul fatto che sono esclusivi e chi li possiede è invidiato: e questa, contrariamente all’essere invidioso, è una caratteristica ambita. In fondo dire “Ti invidio per…” è un’espressione di ammirazione: ammessa, perché non si prova davvero questa emozione.

La brillante carriera di un invidiato rivale si è interrotta? Si prova “schadenfreude”, il piacere maligno davanti alle disgrazie altrui. |

GODERE DELLE DISGRAZIE ALTRUI. Ma all’invidia è collegato anche un piacere. Maligno, certo: è chiamato schadenfreude, ovvero la soddisfazione davanti alle disgrazie altrui. Se la crisi stronca un brillante rivale, se l’affascinante conoscente ha un problema… si può provare schadenfreude.

Richard Smith ha condotto diversi esperimenti in cui agli studenti partecipanti erano presentate storie di ragazzi normali oppure brillanti e vincenti: all’invidia scatenata verso questi ultimi si accompagnava poi la soddisfazione nel sapere che avevano avuto problemi. «Il legame era già stato evidenziato da pensatori come Aristotele (384-322 a. C.) o Spinoza (1632-1677)» sottolinea Smith. «L’invidia non è divertente, a meno che la sfortuna (dell’altro) giochi a nostro favore: se la persona che ci ha superato nel confronto sociale ha un problema, ora deve scendere un gradino. E questo ci dà soddisfazione».

Anche questo maligno piacere è stato analizzato a livello cerebrale dallo studio giapponese guidato da Hidehiko Takahashi. Di fronte alle sfortune capitate ai personaggi invidiati, i partecipanti provavano schadenfreude: a questo corrispondeva una maggiore attivazione dello striato ventrale, area legata al “circuito della ricompensa” del cervello. Si prova, cioè, un autentico piacere. Come mai? La sfortuna della persona vincente la “abbassa” e c’è quindi un riequilibrio delle posizioni.

«Lo svantaggio dell’altro è vantaggio per sé nel terreno della competizione sociale; l’inferiorità e la sua sgradevolezza possono così trasformarsi in superiorità e soddisfazione. Il dolore dell’invidia si riduce e si ha una sensazione piacevole. Infine si placa il senso di ingiustizia che spesso è parte dell’invidia: la sfortuna sembra meritata» spiega Smith.

NEL CALCIO E IN POLITICA. Scatenano schadenfreude anche l’antipatia o il fatto che l’altro abbia meritato il castigo, per esempio finendo nei guai per un comportamento che condannava ipocritamente. E anche situazioni di rivalità tra gruppi, dove una perdita per gli altri è un guadagno per sé: le ricerche hanno evidenziato questa soddisfazione nei tifosi di calcio, per sconfitte della squadra rivale.

Uno degli studi di Richard Smith l’ha messa in luce nella politica: «Si prova schadenfreude per i problemi in cui inciampano i politici dei partiti rivali, dagli scandali sessuali alle gaffe. Tuttavia, soprattutto nelle campagne elettorali, si sperimenta soddisfazione anche per eventi che possono avere un peso per la sconfitta dell’avversario, benché si tratti di notizie negative per tutti: per esempio, cattivi risultati economici. Abbiamo rilevato schadenfreude soprattutto nei più coinvolti sostenitori di un partito, pur mescolato alla consapevolezza che i fatti fossero in sé negativi».
FONTE


8 segnali per identificare l’invidia

 

Oggi parleremo degli 8 segnali per identificare l’invidia e, quindi, le persone invidiose. A tal fine, inizieremo chiarendo cosa sia l’invidia. Chiamiamo invidia quel sentimento o stato mentale nel quale esistono dolore o infelicità derivanti dal non possedere quello che altri hanno, siano questi beni, qualità superiori o altre cose. Secondo la definizione della Treccani, l’invidia è un “sentimento spiacevole che si prova per un bene o una qualità altrui che si vorrebbero per sé”.
Avendone adesso ben chiaro il significato, vi invitiamo a domandarvi: “Come posso sapere se qualcuno prova invidia nei miei confronti?“. Sicuramente ognuno di voi sarebbe capace di rispondere a questa domanda in maniera molto diversa, per il fatto che ogni persona possiede già un modello di azioni apprese e interiorizzate riguardo a tale sentimento, a seconda della propria esperienza di vita.
I segnali mostrati da una persona vittima di tale emozione, inoltre, possono essere molto lievi. Il trucco è notare se si ripetono di frequente con il passare del tempo. In tal caso, vorrà dire che questa persona che conoscete è invidiosa di voi.

8 segnali per identificare l’invidia

Ecco gli 8 segnali più significativi mostrati da una persona invidiosa:

  • Vi tarpa le ali. Supponiamo che vi capiti una cosa bellissima e, pieni di speranza, la comunichiate alla persona in questione, che, però, non farà altro che evitare di riconoscerne l’importanza, addirittura svalutandolo con frasi del tipo: “Ah, bene… buff, niente di che…”. Questo succede perché il fatto di sminuire l’importanza di eventi o cose delle persone che ci circondano ci fa vedere la nostra realtà migliore di quella del nostro amico che ha appena fatto un terno al lotto.
  • Vi critica in pubblico. Uno dei tratti più significativi di una persona che prova invidia è sottovalutare o fare commenti negativi su di voi davanti ad altri. Non sapete da dove gli vengano, ma nel riceverli, vi sentite feriti nell’animo.
  • La celebrazione forzata. Raccontate a questa persona la grande notizia e questa va estremamente su di giri, arrivando a replicare le vostre espressioni di gioia, la vostra gestualità, ecc. Tuttavia, notate che il suo sorriso risulta poco naturale e forzato e, in seguito, vi rendete conto che sta fingendo. Per quale motivo? Affinché la sua invidia passi inosservata.
  • L’aiuto fantasma. Vi dice che starà sempre al vostro fianco, sia nella buona sia nella cattiva sorte. Succede, però, che, quando più ne avete bisogno, quando state per ottenere ciò che vi renderà felici, questa persona “amica” sparisce con delle scuse. Viene da domandarsi: “Allora perché mi ha detto che mi avrebbe aiutato qualora ne avessi avuto bisogno?”. Nonostante ve lo abbia promesso, può darsi che non vi aiuterà. L’invidia porta con sé molta cattiveria.
  • Vi ruba il merito. Un altro classico: supponendo che vi aiuti, davanti al resto dei vostri amici se ne uscirà con un “senza di me, non ce l’avrebbe fatta”.
  • Vi scoraggiano di continuo. Un’amicizia sana gode di empatia, supporto e cura reciproca. A tal riguardo, una persona invidiosa ha sempre dei ma” o alcune frasi che vi fanno passare ogni voglia.
  • Improvvisamente sparisce dalla vostra vita. Tutto vi sta andando alla grande, sotto ogni aspetto, ma da un giorno all’altro il vostro amico o amica sparisce dalla faccia della terra, senza avvisare. Cominciate a vedervi molto meno e trova sempre delle scuse per non incontrarvi. Succede che la vostra attuale felicità gli ricorda che la sua vita è una grande frustrazione, che preferisce non cambiare in modo da non andare avanti, decidendo piuttosto di allontanarsi.
  • Critica gli altri. Quando il vostro amico, davanti a voi, critica altre persone con cui ha un legame, è sicuro che parlerà male anche di voi. Quindi domandatevi, agendo poi di conseguenza: “Perché io dovrei essere un’eccezione?”

Cosa fare se nella vostra cerchia c’è qualche vittima dell’invidia?

Il primo consiglio è quello di impiegare l’empatia. Risulta molto positivo fermarsi a riflettere su cosa abbia portato il nostro amico a provare questo sentimento tanto negativo, che gli sta arrecando un grave danno emotivo. Magari può anche darsi che con questa persona ci stiamo comportando in modo poco appropriato.
È anche bene tenere in considerazione le sue esperienze “negative” e se queste lo abbiano potuto portare ad agire così. Se sta attraversando un periodo complicato, è normale che non riceva entusiasta le nostre buone notizie.
Un’altra prova da raccomandarsi in tali circostanze è parlare con questa persona riguardo a ciò che vi causa disagio o dolore. Arrivare a capirsi è sempre la cosa migliore in un rapporto, di qualunque tipo esso sia; di gran lunga meglio che fare supposizioni, finendo per giudicare direttamente il vostro amico.
Come ultima opzione, nel caso vi trovaste sulla difensiva, è bene porre un po’ di distanza, riconsiderando tale amicizia. Può darsi che vi troviate di fronte ad un legame tossico.

FONTE