Un gruppo di ricerca del MIT ha messo a punto un chip che permetterebbe di implementare reti neurali negli smartphone senza problemi di durata batteria
Dalla seconda metà del 2017, gli smartphone top di gamma dei maggiori produttori hanno iniziato a integrare chip (i cosiddetti NPU) e algoritmi di intelligenza artificiali pensati per aiutare gli utenti a realizzare foto e scatti perfetti, qualunque siano le condizioni della posa e della luce. In questo modo, le performance fotografiche degli smartphone sono migliorate sempre di più, tanto da poter essere ormai paragonate a quelle di fotocamere digitali di medio livello.
Tra qualche tempo, le capacità e funzionalità degli smartphone potrebbero migliorare ulteriormente, e non solo sul fronte delle performance fotografiche. Merito di un team della facoltà di ingegneria del Massachusetts Institute of Technology, che sta mettendo a punto un chip di dimensioni ridotte e in grado di simulare il funzionamento di una rete neurale artificiale. Rispetto alle reti neurali oggi esistenti, quella messa a punto (in via sperimentale, al momento) nei laboratori del MIT sono caratterizzate da un basso consumo energetico, tanto da poter installate (per l’appunto) all’interno di smartphone e altri dispositivi portatili.
Rete di smartphone
A cosa servono le reti neurali artificiali
Per comprendere la portata di questa innovazione, c’è la necessità di capire a cosa servono le reti neurali artificiali e come potrebbero essere utilizzate per migliorare le prestazioni e le funzionalità degli smartphone che abbiamo oggi in tasca. Una rete neurale artificiale – come dice anche il nome – è un insieme di elementi che simulano il funzionamento del cervello umano. Lo scopo delle reti neurali è quello di analizzare in tempi brevi grandi quantità di dati (i cosiddetti Big Data), scoprire eventuali pattern al loro interno e riuscire così a ricavare nuove informazioni che potrebbero tornare utili per svolgere altre azioni in “autonomia”.
Le reti neurali, insomma, sono l’ideale per eseguire algoritmi di machine learning e intelligenza artificiale. Va da sé che l’eventuale integrazione di un chip con rete neurale all’interno di uno smartphone finirà con il migliorare ulteriormente le capacità di calcolo del dispositivo mobile. Questo “surplus” di calcolo, ad esempio, potrebbe essere impiegato per eseguire applicazioni a realtà aumentata o a realtà virtuale sempre più realistiche e “invasive”.
Neurone
Come funzionano le reti neurali
Per simulare il funzionamento del cervello umano, le reti neurali artificiali sono solitamente organizzate in diversi strati di chip, organizzati in maniera gerarchica e collegati l’uno con l’altro in maniera tal da poter lavorare, esattamente come avviene per i neuroni celebrali, “in parallelo”. Questa struttura permette l’analisi sia di dati complessi sia di dati “semplici” e la possibilità di ricavare, da questi dati di partenza, informazioni completamente nuove.
Affinché ciò sia possibile, un chip per reti neurali è sostanzialmente diviso in due parti: da un lato troviamo i circuiti demandati all’analisi dei dati (il processore); dall’altro i circuiti destinati a conservare queste informazioni (la memoria). Nel corso dell’analisi di un singolo blocco informativo, i dati viaggiano da un lato all’altro del chip migliaia e migliaia di volte, richiedendo un notevole consumo energetico.
Le informazioni così processate sono poi passate a chip presenti nello strato superiore, così come i neuroni del cervello umano passano dati e informazioni, sotto forma di impulsi elettrici, agli altri neuroni attraverso le sinapsi. In una rete neurale, ogni chip/nodo ha un determinato “peso”, che va a indicare il ruolo che i suoi dati avranno nell’elaborazione svolta dal nodo/chip del livello superiore.
Neurone artificiale
Questa “catena informativa” permette l’analisi, piuttosto veloce, di grandi quantitativi di dati ed è fondamentale, come detto, per l’esecuzione di algoritmi di machine learning e intelligenza artificiale.
Il chip per le reti neurali del MIT
La novità messa a punto dal team di ricerca dell’università statunitense assicura prestazioni dalle 3 alle 7 volte superiori rispetto a chip analoghi e un consumo energetico ridotto anche del 95%. Ciò vuol dire che, anche se dovesse entrare a far parte della “dotazione standard” degli smartphone commercializzati nei prossimi anni, non ci sarebbero grossi problemi per quel che riguarda la durata batteria. Risultati ottenuti – in laboratorio, al momento – riducendo il “peso specifico” di ogni nodo a soli due valori: 1 e -1. In questo modo è stato possibile ridurre la quantità di calcoli che i chip neurali devono svolgere e, parallelamente, il “fabbisogno energetico”. Insomma, questa riorganizzazione “funzionale” ha permesso di creare un chip non solo più efficiente, ma che non dovrebbe portare a problemi di durata batteria una volta implementato all’interno del SoC di uno smartphone.
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