PENATES

 

Intro

“Penates, ium” è un generico termine latino il cui significato spazia da “Penati” (dei della famiglia e dello Stato), a casa, tempio e persino alveare.
Il vocabolo rievoca il calore del focolare domestico, il centro della vita familiare, il luogo del ristoro quotidiano, della protezione nel sonno notturno…
Etimologicamente deriva da un altro termine latino, “Penus”, che letteralmente è “ la parte più interna e sicura della casa, dove erano conservati i prodotti della terra destinati al sostentamento della famiglia, oggetti degli antenati defunti ed una fiamma sacra”.
Il fuoco che arde perennemente rappresenta un archetipo, come insegna C.G.Jung, un’immagine primordiale d’esperienza comune contenuta nell’inconscio collettivo: da fiamma conservata ancestralmente, necessariamente per l’incapacità nel generarla artificialmente, a fiamma sacra custodita da ordini laici e sacerdotali, a focolare domestico, il legame (ma forse sarebbe meglio dire “il debito”) dell’uomo con il fuoco è smisurato.
Nella contemporanea società tecnologica la presenza nelle dimore, nei templi e negli edifici civili di fiamme perenni è in sostanza, estinta: la progressiva scoperta di fonti alternative meno pericolose e più economiche (soprattutto in termini di gestione e manutenzione) per l’illuminazione, il riscaldamento e la cottura delle vivande ha fatto progressivamente spegnere le fiamme che per tutto il suo corso hanno accompagnato il cammino dell’umanità.
Se nei centri urbani (memori di devastanti incendi) i fuochi domestici si riducono a sporadiche accensioni di candele ed alle fiamme nelle cucine a gas metano o nelle caldaie, nelle campagne e sulle montagne la traccia rimane ancora un po’ più marcata. Si bruciano le sterpaglie ed i resti delle potature in primavera ed autunno, si cuoce in forni e su griglie o lose (lastre di pietra), ci si riscalda con caminetti e putagè (stufe a legna), occasionalmente si ardono pire e falò commemorative: ma gradualmente anche qui, praticità e sicurezza, relegano sempre più queste attività al ruolo di occasionale folclore locale.

L’esperienza personale

Il mio legame con il fuoco è “esistenziale”.
Ma forse questo termine non esprime il concetto quanto la parola “viscerale”, intesa in un’accezione di cultura orientale: in Giappone il ventre era considerato la parte più nobile dell’essere umano in quanto sede dello spirito.
Adoro osservare per ore le fiamme.
Vedo in esse lo scorrere ed il rigenerarsi della vita stessa.
Le ammiro, le rispetto e le temo.
Rappresentano un monito costante alla follia della società tecnocratica che s’illude, nella sua piccolezza, di dominare energie elementari nascoste nella profondità dell’ambiente naturale e della psiche umana: giovani Dei che si ingannano di aver sconfitto i Titani, in trionfo prima di averne arso i corpi.

In Valle
Le mie prime relazioni con le fiamme iniziano da bambino:
ho ricordi positivi come la stufa a casa dei nonni, i falò di fascine dopo le potature primaverili ed autunnali, le grigliate estive agli Inversini… ma anche grande paura quando si incendiò il camino di Grazia o dei miei genitori e terrore di fronte all’incendio  boschivo che arse il Vandalino o San Michele di Bricherasio.
Il momento più sentito, tanto da farne un costante rituale personale, è sempre consistito nell’accendere il fuoco per cuocere le caldarroste ad Ognissanti: una festività di origini celtiche molto sentita in Valle (si gode dei frutti dell’autunno, ringraziando gli Avi, prima dell’arrivo del freddo Inverno).
Durante l’adolescenza ho conosciuto gli esplosivi frequentando “brillatori” alle Cave di Pietra di Luserna (dinamite, tritolo) e pescatori di frodo (salnitro). E’ innegabile, inoltre, quanto abbia influito sulla mia formazione “MacGyver” con il suo mitico coltellino svizzero!

Appena giunto nella nuova dimora a Lusernetta, nel 1989, la mia prima preoccupazione fu progettare e realizzare il caminetto. Dopo mesi di lavoro ottenni una struttura sobria e tradizionale di cui vado tutt’ora fiero.

Quindi, in un secondo momento, realizzai il barbecue esterno (griglia, losa, forno con pietra refrattaria).
In città
Lasciata la Valle e trasferitomi in città, le mie relazioni con le fiamme si limitarono all’accensione di candele, salvo un breve periodo in via Ormea, a Torino, dove la casa locata disponeva di un caminetto funzionante, che accendemmo un paio di volte.
Hoikos
Giunto per la prima volta in “Hoikos” a Pianezza, nel 2000, rimasi folgorato dalla presenza di un caminetto in posizione centrale nel salone. L’abitazione è stata, infatti, progettata da un architetto degli anni ’70, sensibile ai precetti del feng shui, che ha dato molto rilievo alla posizione del focolare, centro della domus.
Sin dai primi giorni, abbiamo iniziato ad utilizzare il caminetto per scaldarci e come “luce d’ambiente”, consumando ceppi di legno… ma il mio obbiettivo era quello di concretizzare un “fuoco sacro”, d’ancestrale significato, che ardesse perennemente, prestando attenzione sia ai pericoli potenziali, sia ai costi di manutenzione.
Dopo alcune prove, ho optato per un cubo di vetro temprato, pieno di olio di paraffina colorato e profumato, dotato di stoppino, da porre nel centro del camino su un ripiano in legno che ricopre il braciere, inutilizzato nei mesi caldi.
Cercando parallelamente un luogo da dedicare al giardino zen miniaturizzato (vedi oltre) ho infine integrato le due esigenze in questa sintesi dai profondi riferimenti simbolici, che a mio parere, risulta armonica e funzionale.
In concomitanza con la ristrutturazione globale del salone provvederemo a rendere un po’ più “antichizzato” il caminetto tipico anni ’70 ed alla realizzazione di alari su misura.
(NdA del 16.05.2020: nel 2005 ristrutturammo poi il caminetto al primo piano con stile medievale e nel 2009 ristrutturammo il caminetto anni ’70 in mansarda, lasciandolo nel suo stile originale)
Progetto: base cm 70 x 45 – alzatina cm 24 x 24
Realizzazione:

Bron ElGram – 24.06.2002