Ricopio questo articolo di Wired per lavorarci su più avanti… chiarisce un punto importante sull’argomento che spesso indago dei glitch.


Non viviamo in una simulazione, un astrofisico italiano lo ha dimostrato

Il professore Franco Vazza dell’Università di Bologna ha pubblicato una ricerca sulla teoria della simulazione, smontando la possibilità fantascientifica

Da qualche tempo una teoria è di moda sul web: il nostro universo potrebbe essere una simulazione, un programma o un videogioco cosmico alimentato da qualche super-intelligenza in un altro piano di realtà. L’ipotesi, resa celebre dal filosofo Nick Bostrom e rilanciata da Elon Musk, è ormai una costante nei forum online e nelle discussioni più o meno divulgative tra scienza e fantascienza. Ma c’è chi ha deciso di affrontarla con gli strumenti della fisica teorica, per metterla alla prova.

L’ha fatto Franco Vazza, professore associato dell’Università di Bologna, astrofisico con oltre 160 articoli peer-reviewed, un passato da miglior astronomo italiano secondo l’Accademia dei Lincei e un finanziamento del Consiglio Europeo della Ricerca da 1,5 milioni di euro per lo studio del magnetismo cosmico. Nel tempo libero, però, si diverte anche a esplorare domande laterali. Così è nato il paper Astrophysical constraints on the simulation hypothesis for this Universe pubblicato su Frontiers in Physics, che smonta con rigore matematico l’idea che la nostra realtà possa essere un costrutto artificiale. Non con argomenti filosofici, ma con formule, limiti fisici e stime energetiche.

Perché non viviamo in una simulazione

Il lavoro nasce da una conferenza pubblica tenuta nell’estate del 2024 a Vittorio Veneto, città natale di Vazza. Invece della solita lezione su filamenti galattici e materia oscura, ha deciso di affrontare la teoria della simulazione. Il punto di partenza è semplice: anche volendo prendere sul serio l’ipotesi, nessuno aveva mai tentato di calcolarne il costo fisico reale. Eppure ci sono strumenti per farlo. Basta trattare l’universo come un sistema informativo e calcolare quanta energia servirebbe per simularlo. Per ogni bit di informazione, c’è un costo energetico minimo fissato dalla fisica, indipendente da qualsiasi tecnologia. Applicando queste leggi, il paper arriva a una conclusione netta: riprodurre anche solo la porzione dell’universo che possiamo osservare – o perfino una singola copia della Terra con un livello di dettaglio coerente con le nostre osservazioni – richiederebbe una quantità di energia spropositata, paragonabile a quella contenuta in intere galassie, da consumare ogni secondo. Una richiesta insostenibile: che si tratti di un supercomputer, di un cervello alieno o di un calcolatore quantistico alimentato da buchi neri, il problema resta dato che ogni operazione informatica è anche un’operazione termodinamica.

Le simulazioni numeriche prodotte dallo stesso autore in ambito astrofisico – elaborate in alcuni dei centri di calcolo più potenti al mondo – mostrano chiaramente come cresca esponenzialmente il costo in termini di informazione, potenza di calcolo ed energia, man mano che si aumenta la risoluzione o il livello di dettaglio. A ciò si aggiunge il vincolo imposto dal principio olografico, secondo cui la quantità massima di informazione contenibile in una regione dello spazio è proporzionale alla superficie che la racchiude, non al suo volume. Un limite che permette di stimare quanta informazione serve per descrivere davvero una porzione di realtà. E quindi, quanta energia servirebbe per simularla. “Esistono delle misure incredibili che riusciamo a fare, per esempio quella dei neutrini ad altissima energia che attraversano quotidianamente sia l’atmosfera del nostro pianeta, sia il suo interno, che ci danno un nuovo modo di sondare l’esistenza di scale incredibilmente piccole in natura (almeno 1e-21 cm come discusso nel paper). Qualsiasi simulazione realistica, deve trovare un modo di rappresentare la fisica anche a queste scale, e ciò pone delle richieste formidabili in termini di risoluzione, e quindi informazione, alla simulazione stessa”, spiega Vazza a Wired.it

Le risposte del professore italiano

Insomma, la possibilità che viviamo in una sorta di Matrix è praticamente impossibile. “Anche nell’ipotesi in cui soltanto il pianeta Terra sia simulato almeno fino alle scale più piccole che possiamo studiare sperimentalmente (e non a tutte le altre inferiori, che pure la fisica ci assicura esistere), anche al simulatore più bravo occorrerebbe letteralmente bruciare, cioè convertire energia pura, la massa di intere galassie, o molto di più, per ogni secondo al fine di simulare nient’altro che noi. Ne vale la pena?”, è la domanda retorica di Vazza. Una prospettiva sull’informazione suggerisce che essa sia una configurazione specifica di materia. Per raggiungere e mantenere questo stato ordinato, e per consentirne l’evoluzione nel tempo, è necessaria una manipolazione delle particelle che comporta un dispendio minimo di energia. Di conseguenza, una simulazione, a prescindere dalla sua scala crescente o dal tipo di computer o sistema futuristico immaginato, implicherà sempre l’organizzazione di una certa quantità di materia o energia all’interno di un volume di spazio. Da ciò si può dedurre la possibilità di stimare il costo energetico necessario per una simulazione che manipoli una data quantità di bit.

La tecnologia potrebbe avvicinarci il più possibile ai limiti teorici, ma sotto di questi non sarà possibile andare. “Nell’articolo discuto in effetti come nemmeno i progressi nel calcolo parallelo, dell’utilizzo ipotetico dei buchi neri come sistemi di calcolo, o nel quantum computing possano portarci più in là dei limiti già descritti: il quantum computing si regge interamente sulle regole della meccanica quantistica, che insieme alla relatività generale fanno parte del set di regole che ho appunto usato per ricavare i limiti minimi di energia e tempo calcolo necessarie a produrre diverse simulazioni della nostra realtà”, spiega il professore.

E se la simulazione venisse prodotta da un universo con un set di regole del tutto diverse? “Questa è del resto l’obiezione che, come prevedevo, gli appassionati dell’ipotesi della simulazione preferiscono: il simulatore usa delle regole diverse, svincolate ai limiti energetici della fisica che conosciamo, usa tecniche simulatorie che ci sfuggono (facendo comparire informazione e complessità quando facciamo esperimenti e facendola sparire  via da noi, quando nessuno guarda) e per motivi ignoti ha creato questo tipo di universo con delle regole particolari, solo per ingannarci. Mi sembra una ipotesi impossibile da testare anche in linea di principio, che richiede una grande dose di fede e convinzione, in ultima analisi poco distinguibile da una fede religiosa (anche se camuffata da tecnologia avanzata)”, conclude Vazza. Insomma, non viviamo in una realtà simulata e la ricerca del professore italiano dimostra che la fisica che conosciamo, che da tantissimi punti di vista è quotidianamente testa e validata con esperimenti, è uno strumento potentissimo per investigare persino scenari che in apparenza potrebbero sembrare non falsificabili.