Tra gli animali più facilmente contattabili nelle nostre aree protette troviamo il cervo (Cervus elaphus). Il cervo è un animale selvatico che molti hanno incontrato fin dalla infanzia: chi non ricorda, ad esempio, le vicende di Bambi? Il piccolo cervo è il protagonista di questa favola ripresa da Walt Disney. Bambi ci fa conoscere le sue scoperte, i drammi che deve affrontare, gli amori, sino a quando non diventa il principe della foresta.
Un animale nobile
Ma il cervo è sempre stato interpretato così? In questo nostro nuovo viaggio proveremo a raccogliere alcune testimonianze del passato per descrivere il percorso disegnato sin qui dal rapporto uomo-cervo. Un itinerario altamente simbolico e fortemente antropocentrico, dove spesso l’animale è stato utilizzato per esprimere valori, comportamenti e punti di vista strettamente umani. Ci accorgeremo così che esistono tanti cervi nel lungo percorso che ha compiuto l’immaginario umano.
Inevitabilmente, per iniziare questo nostro cammino prendiamo spunto da un altro racconto. Ecco come un cervo, una fonte e un leone sono diventati gli elementi principali di una favola di Esopo nel VI secolo avanti Cristo.
La favola
Oppresso dalla sete, un bel esemplare di cervo maschio raggiunge una sorgente. Dopo essersi abbeverato, nota la sua immagine riflessa sull’acqua. Le sue corna (oggi diremmo palco) lo rendono fiero, l’armonia con cui si sviluppano è unica, così come è unica la loro grandezza. Al contrario, lo specchio d’acqua gli rende una rappresentazione triste delle zampe: il cervide le giudica sottili, gracili, di poca importanza.
Mentre è immerso in questi pensieri, dai vicini cespugli sbuca una fiera: è un leone. In una frazione di secondo il cervo è in fuga. Il leone corre veloce, ma non riesce a raggiungere la sua preda. Questo, perlomeno, finché i due animali si trovano a correre nella prateria. Ben presto raggiungono un bosco e qui iniziano i guai per il cervo. Le grandi corna, ammirate nel riflesso azzurro dell’acqua, sono ora di intralcio, si impigliano nei rami bassi. La sua corsa rallenta e ben presto viene raggiunto dal suo inseguitore.
Accorgendosi oramai di essere arrivato alla fine della sua vita, il cervo si lamenta fra sé e sé: “Me disgraziato, che ero tratto in salvo proprio da ciò da cui credevo che sarei stato tradito, mentre ora sono rovinato da quello in cui riponevo molta fiducia”.
Le tanto criticate zampe lo avevano portato in salvo almeno fino a quando, entrando nel fitto di un bosco, le maestose, ma ramose corna lo avevano condannato.
Esopo come insegnamento che si può trarre dalla favola sottolinea come a volte, trovandoci nei pericoli, ci sono di salvezza gli amici sospetti, mentre quelli in cui abbiamo maggiore fiducia, ci deludono.
Ognuno può calare nella propria esperienza la veridicità o meno di questo assunto. Quello che a noi preme è fare emergere le caratteristiche del cervo che la cultura del mondo antico, attraverso Esopo, gli attribuisce. Nella favola è alto il valore simbolico: la maestosità (presenza di un palco nei maschi che viene rinnovato ogni anno) e la proverbiale velocità che consente al nobile animale di sfuggire persino a un leone.
Una curiosità: perché palco e non corna?
Molto brevemente: il cervo, come il capriolo, perde le sue appendici che vengono rinnovate ogni anno, quindi facciamo riferimento ai palchi, diversamente da altri ungulati come il camoscio o lo stambecco che invece presentano delle appendici, le corna, che mantengono per tutta la loro vita. Diverso, quindi, è il processo costruttivo dei palchi e delle corna.
Per sapere di più sulla biologia del cervo, si può inizialmente visitare il sito della Regione Piemonte , scaricando il pdf dedicato agli ungulati selvatici, o visitare i siti delle aree protette piemontesi ricchi di molte notizie.