Questo articolo è il testo che ha riacceso in me la sopita passione per questi fantastici esseri… dopo questo articolo ho iniziato a documentarmi, poi ho conosciuto la CAPT! 😁

Il mondo delle api
di Silvia Artana
Che cosa sappiamo di questi insetti che popolano la terra con il medesimo aspetto da oltre 4 milioni di anni? Un breve viaggio alla scoperta di una delle più organizzate società del mondo animale e della sua coesistenza con l’uomo.
Vivono sulla terra da 4 milioni di anni, immutate nel loro aspetto come dimostrano i reperti fossili rinvenuti, ma solo dal 1758, anno in cui Carlo Linneo procedette a descriverle e inserirle nella classe degli insetti, le chiamiamo comunemente api. L’Apis mellifera è originaria del cosiddetto Vecchio Mondo, comprendente Europa, Africa e Asia, e solo successivamente è stata introdotta in America e Australia dove, grazie all’adattabilità genetica ambientale che le ha permesso di sopravvivere nei secoli, si è perfettamente inserita nell’equilibrio degli ecosistemi locali.
Conosciuta e apprezzata dall’uomo soprattutto per la sua capacità di produrre miele, polline, cera, pappa reale e propoli, l’Apis mellifera è in realtà la rappresentante di una famiglia, quella delle Apidae, che suscita da sempre ammirazione e interesse per la struttura della sua società.
La società delle api
Nel 1758 Carlo Linneo descrive la famiglia delle Apidae come una società matriarcale, monoginica e pluriannuale, formata da numerosi individui appartenenti a tre caste polimorfiche. Questo significa che ogni colonia, l’unità sociale in cui si esplica la struttura organizzativa delle api, è costituita da tre classi di individui specifici per caratteristiche fisiche e comportamentali che fanno capo a una femmina: l’unica fertile nella comunità e incaricata della perpetuazione della stessa per più generazioni.
La colonia ha la sua localizzazione fisica nell’alveare, una struttura costituita da celle esagonali suddivise in aree funzionali a seconda della destinazione d’uso, ed è formata da più di 100 mila individui che si distribuiscono in maniera non omogenea nelle tre caste, rappresentate dalla regina, dalle operaie e dai maschi, detti anche fuchi o pecchioni.
La regina è una femmina adulta, fertile, e si distingue a occhio nudo dai maschi e dalle operaie per le maggiori dimensioni, dovute a un addome più lungo rispetto agli altri individui della colonia. Nasce, per sostituire una vecchia regina malata o per sciamare e formare una nuova colonia, da un uovo fecondato del tutto identico a quello da cui hanno origine le operaie, ma deposto in una cella speciale, situata a fianco dei favi, più grande delle altre dell’alveare e orientata verticalmente anziché orizzontalmente. La discriminante che permette alla regina di diventare tale è la particolare nutrizione cui è sottoposta: le operaie hanno infatti il compito di alimentarla con una speciale secrezione delle ghiandole presenti sul loro capo, la pappa reale, che determina lo sviluppo completo dell’apparato riproduttore. 16 giorni dopo la deposizione dell’uovo, la regina abbandona la cella reale e la settimana successiva alla nascita intraprende il volo nuziale, durante il quale si accoppia in volo con diversi maschi, fino a che il suo ricettacolo seminale è pieno. Questo comportamento le garantisce di essere fecondata per il resto della su esistenza, della durata media di 4-5 anni. Morfologicamente la regina si distingue dalle operaie per il pungiglione, con il quale uccide le altre potenziali regine prima che giungano all’accoppiamento, e perché priva dell’apparato per la raccolta del polline, delle ghiandole faringee e di quelle ceripare.
Le operaie costituiscono una casta monomorfa, formata cioè da individui tutti uguali tra di loro, e presentano caratteri morfofisiologici propri, indotti in parte dal tipo di alimentazione ricevuto durante lo stadio larvale, in parte da feromoni emessi dalla regina. Le operaie ripartiscono le varie attività sociali secondo gli stadi di età: il primo compito consiste nel ripulire e levigare le celle di nuova costruzione o quelle che devono essere riutilizzate, nelle quali la regina depone incessantemente le uova (da 100 fino a 3000 al giorno). Successivamente, in seguito allo sviluppo delle ghiandole sopracerebrali, le operaie diventano capaci di secernere la pappa reale e iniziano a occuparsi dell’alimentazione delle nuove nate. Dopo due settimane, le ghiandole sopracerebrali regrediscono a favore dello sviluppo delle ghiandole cerigene, e le operaie cambiano nuovamente la loro funzione, trasformandosi da nutrici in costruttrici di favi. Terminata anche questa fase, le operaie si spostano all’esterno dell’alveare, prima per la sola difesa, poi per assolvere all’importante compito di bottinatrici, ossia di raccoglitrici di nettare, polline, propoli e acqua. Dopo circa un mese di vita riprendono mansioni casalinghe fino a quando, sentendo avvicinarsi la fine, si allontanano dalla colonia e vanno a morire lontano da essa per non contaminare l’alveare col proprio cadavere. Per tutta la loro esistenza le operaie si distinguono per il pungiglione, un’importante arma di difesa derivata dalla modifica dell’ovopositore, e, per il solo periodo in cui agiscono da bottinatrici, per la capacità di trasmettere alle compagne precise informazioni sull’esatta ubicazione di una sorgente di cibo, comunicando dati sui rapporti di posizione tra campo fiorito, alveare e sole.
I maschi hanno dimensioni maggiori delle operaie ma sono più piccoli della regina, possiedono una ligula (l’apparato succhiante) più corta delle bottinatrici e sono privi di aculeo, apparato per la raccolta del polline, ghiandole faringee e ceripare. La loro funzione primaria consiste nel fecondare la regina, attività al seguito della quale muoiono.
FONTE