Nel cervello alcuni neuroni specializzati possono mappare l’ambiente costruendo una griglia esagonale che aiuta un animale a localizzarsi nello spazio. Ma le esperienze possono distorcere la griglia per dare maggiori dettagli alle aree di interesse. (Cortesia Lucy Reading-Ikkanda/Quanta Magazine)
Come il cervello personalizza la nostra mappa del mondo
Due nuovi studi dimostrano che il sistema di navigazione del nostro cervello cambia il modo in cui è rappresentato lo spazio fisico per riflettere l’esperienza personale e l’importanza relativa di determinati luoghi rispetto ad altri. La scoperta indica che le cellule griglia hanno un ruolo più complesso e articolato di quello descritto dalla popolare definizione di “GPS del cervello”di Jordana Cepelewicz / QuantaMagazine
Il 29 marzo 1976, una celebre illustrazione di copertina del “New Yorker” rappresentava una “visione del mondo dalla 9th Avenue”, in cui troneggiava un’imponente Manhattan che rendeva minuscole non solo le altre città americane ma interi paesi, riducendo l’oceano Pacifico a una striscia d’acqua non molto più ampia del fiume Hudson.
Ma i newyorkesi non sono gli unici ad avere una percezione distorta della scala o un senso tutto loro della geografia e dei luoghi. Gli esseri umani e gli altri animali si comportano in modo tale da suggerire che stiano disegnando una propria “visione del mondo” che enfatizza le informazioni che hanno valore per loro.
Due studi pubblicati ora su “Science” (qui e qui) mostrano quanto sia profondo questo pregiudizio. Entrambi i gruppi di ricerca hanno osservato che i neuroni che costruiscono le mappe mentali dello spazio fisico si riprogrammano per riflettere meglio le nostre esperienze, attività e priorità. I risultati offrono anche la prova di un collegamento che altri scienziati avevano iniziato a scoprire: il modo in cui il cervello codifica le informazioni di posizione può influire sul modo in cui organizza le grandi masse di altre informazioni tra cui navigare, incluse quelle relative a una varietà di suoni e concetti astratti come le gerarchie sociali.
Una mappa più soggettiva
Per aiutare i mammiferi a tenere traccia di dove si trovano nel loro ambiente fisico, i loro cervelli hanno sviluppato due tipi di cellule specializzate. Le cellule del luogo che si trovano nell’ippocampo si attivano quando l’animale è in un luogo particolare, per esempio vicino a un punto di riferimento riconoscibile. Le cellule griglia nella corteccia entorinale, una regione vicina all’ippocampo, si attivano quando l’animale passa attraverso una serie di posizioni disposte come i vertici di un esagono; collettivamente, questi esagoni si sovrappongono per formare una tassellatura del terreno, come una griglia (da cui il loro nome).
Quando un animale entra in un ambiente nuovo, entrambi i tipi di cellule eseguono una “rimappatura”, ed era noto che, per quel che riguarda le cellule del luogo, questo avviene quando cambiano le caratteristiche chiave dell’ambiente.
Le cellule griglia, invece, erano ritenute più coerenti: la loro sorprendente organizzazione matematica era ritenuta in grado di generare un sistema di coordinate preciso, che non variava nel tempo o con nuove circostanze. Sembrava, cioè, fornire una metrica statica dello spazio euclideo, che poteva essere utile per la navigazione anche in assenza di indicazioni esterne. Nel 2014, quando gli scienziati che le hanno scoperto sono stati insigniti del premio Nobel, le celle griglia sono state popolarmente descritte come “il GPS interno del cervello”.
Generalmente, gli esperimenti progettati per studiare l’attività delle cellule griglia coinvolgono un animale che cerca del cibo in una gabbia o in qualche altro ambiente artificiale. Ma Lisa Giocomo, neurobiologa alla Stanford University, si chiedeva se in natura – dove gli animali cercano il cibo in modo più strategico, con obiettivi e motivazioni specifiche – potesse succedere qualcosa di diverso. Per esempio, in natura gli animali potrebbero usare le informazioni delle esperienze precedenti per orientare le loro ricerche. Questi fattori potrebbero influenzare il segnale “GPS” nella corteccia entorinale e collegarlo a qualcosa di più che alla sola posizione?
La scoperta riferita ora da Giocomo e colleghi su “Science” suggerisce proprio questa conclusione: avere un obiettivo sembra influenzare il modo in cui il cervello codifica l’ambiente spaziale, e forse molto di più.
Il team di Giocomo ha registrato l’attività neuronale nella corteccia entorinale dei ratti mentre attraversavano un ambiente di prova alla ricerca di cibo posizionato casualmente. Poi il team ha condotto nuovamente l’esperimento, ma dopo aver addestrato i ratti ad associare a volte un particolare punto dell’ambiente a una grande ricompensa alimentare.
L’addestramento sembra avere alterato il modello di attivazione delle cellule griglia dei ratti: i neuroni si attivavano più vicino alla posizione della ricompensa, con un infittimento della spaziatura della griglia di navigazione intorno a quella posizione, come l’acqua che scende in un canale di scolo. Anche l’orientamento generale, o inclinazione, della griglia, era ruotata, come se rispondesse a un contesto spaziale completamente diverso. (Erano ruotati anche altri tipi di cellule nella stessa regione cerebrale, come le cellule di “direzione della testa” che si attivano in risposta al punto in cui è rivolto il ratto).
“Tutti questi cambiamenti combinati indicano che la corteccia entorinale sta generando una mappa completamente diversa di questo spazio”, ha detto Giocomo. “L’obiettivo del compito comportamentale, o potenzialmente lo stato comportamentale dell’animale, è realmente sufficiente a definire una mappa completamente nuova della stessa posizione spaziale”.
Inoltre, il team ha scoperto che le cellule della griglia si attivavano più spesso quando l’animale era vicino alla posizione della ricompensa. Sembrava che la corteccia entorinale rappresentasse quel piccolo frammento di spazio più fedelmente del resto dell’area, presumibilmente per rendere più efficiente la ricerca di ricompense future. ” Cambiando la sua rappresentazione, il ratto potrebbe quindi finire per navigare verso quella posizione un po’ più facilmente”, ha detto Manu Madhav, specializzando alla Johns Hopkins University, che non è stato coinvolto nello studio.
Nel frattempo, dall’altra parte dell’oceano, all’Institute of Science and Technology Austria, nei dintorni di Vienna, il gruppo di ricerca del neuroscienziato Jozsef Csicsvari ha dato un’occhiata più approfondita a come avviene questo cambiamento nella rappresentazione. Gli scienziati hanno addestrato i ratti su una piattaforma dotata di fori in cui potevano trovarsi dei premi. Dapprima i ratti erano stati alimentati su una piattaforma senza ricompense; poi sono stati addestrati a trovare tre ricompense in luoghi specifici; infine, sono stati posti di nuovo su una piattaforma senza ricompense.
Come il gruppo di Giocomo, Csicsvari ha scoperto che l’addestramento con premi deformava le mappe della griglia dei ratti. Le loro cellule griglia avevano spostato i target di attivazione in posizioni più vicine a dove erano state le ricompense – e più i loro bersagli all’inizio erano stati prossimi alle posizioni dei premi, più erano stati interessati dallo spostamento. Il perfetto sistema di griglie esagonali descritto dagli scopritori delle celle griglia non era più così perfetto.
l team di Csicsvari ha inoltre osservato che quando i ratti imparavano per la prima volta che c’erano nuove ricompense nel loro ambiente, avveniva una transizione “tremolante” tra le due rappresentazioni – come se il cervello dei ratti rimbalzasse avanti e indietro tra le mappe finché non si erano abituati alla presenza delle ricompense – e non una semplice trasformazione uniforme da una griglia all’altra.
Tutto ciò suggerisce “che le cellule griglia in realtà stanno mappando molto di più del solo spazio euclideo. Stanno supportando informazioni sugli obiettivi, per esempio”, ha detto Charlotte Boccara dell’Università di Oslo, che durante lo studio era borsista nel laboratorio di Csicsvari. “E questo ci porta a chiederci: che cosa sono le celle griglia?” Invece di organizzare lo spazio, “sembra proprio che si occupino di organizzare la memoria”.
Mentre un ratto attraversa il suo ambiente, una singola cellula della sua griglia nel cervello si attiva in più punti, definendo una serie esagonale periodica utile alla navigazione (a sinistra). Se nell’ambiente si inserisce una ricompensa (a destra), il modello di tassellature si distorce per codificare più dettagli nella posizione della ricompensa. (Cortesia Lucy Reading-Ikkanda/Quanta Magazine; adattato da Dr. Charlotte Boccara)
Nuove definizioni e metafore migliori
Immaginate, ha detto Giocomo, che durante l’inverno un topo debba procacciarsi qualsiasi noce e bacca che riesce a scovare. Ha una mappa cognitiva delle parti della foresta dove potrebbe trovarne alcune. Poi, un’estate, il topo si imbatte in un’enorme macchia di fragole: “Potrebbe essere vantaggioso per lui avere una mappa completamente diversa… che evidenzi o sovrarappresenti quel terreno con le fragole”.
Ma possiamo anche pensare semplicemente a come ricordiamo i luoghi della nostra vita: sappiamo benissimo, per esempio, dove si trovano la nostra casa e il nostro posto di lavoro, ma non sappiamo esattamente dove si trovi ogni negozio, giardinetto e strada che percorriamo quotidianamente per recarci dall’una all’altro. “Un organismo ha un senso di ciò che conta o no, un senso che si sovrappone al senso di dove stanno le cose nel mondo”, dice Loren Frank, neuroscienziato all’Università della California a San Francisco, che non ha partecipato ai due studi. Pensare che il cervello abbia una rappresentazione dello spazio “pura” e non contaminata da considerazioni di rilevanza o ricompensa è stato un fraintendimento, aggiunge. “Sono cose davvero intimamente legate tra loro” e non è possibile separarle in modo netto.
Questo implica anche che il modo in cui formiamo i ricordi – e quali ricordi formiamo – dipende da ciò che stiamo cercando di fare. Non tutti i ricordi, i luoghi e le esperienze sono uguali (o almeno, non sono codificati come se lo fossero).
Qui sta il difetto di un confronto tra la mappa entorinale e un GPS o qualche altro strumento di navigazione. “Google non mi presenta una mappa diversa a seconda che io sia diretto a uno Starbucks, o vada a fare una passeggiata”, ha detto Giocomo.
Ora la ricercatrice intende scoprire che cosa succede in presenza di punizioni invece che di ricompense, e che cosa succede quando le motivazioni del topo cambiano, se, per esempio, durante il compito non è affamato. “Questo studio – ha detto – apre un territorio del tutto nuovo, con la considerazione di quali spunti sono in grado di attivare nuove mappe di uno spazio.”
Un maggiore apprezzamento della plasticità della corteccia entorinale potrebbe aiutare i ricercatori a comprendere la rimappatura che si verifica (o non si verifica) a causa dell’invecchiamento, di malattie neurologiche o della tossicodipendenza. Potrebbe anche rivelare che questo sistema cerebrale può codificare un repertorio molto più ampio di comportamenti, al di là della semplice navigazione. “La corteccia entorinale sta mostrando di avere un ruolo molto più importante di quanto pensassimo nell’intersezione fra spazio e memoria”, ha detto Giocomo.
Poiché gli spazi sono facili da misurare, suggerisce Boccara, identificare la funzione dell’attività delle cellule griglia nella codifica delle relazioni spaziali era il compito più semplice. “Ma in realtà, potrebbe fare molto, molto di più”, ha detto. Le proprietà di codifica nella corteccia entorinale cambiano in base a ciò che l’animale sta facendo e non solo al posto in cui si trova. Indipendentemente dal fatto che la sfida sia quella di navigare in uno spazio fisico o in un “paesaggio” mentale di pensieri astratti o esperienze sensoriali, “il codice sembra modificarsi per adattarsi a quello spazio, per rendere più facile il compito in quello spazio”, ha detto Madhav.
Quando si tratta di celle griglia, poi, “la nostra prima definizione era piuttosto rigida, come tendono a essere le definizioni iniziali”, ha detto Boccara. Ma questa prospettiva potrebbe aver perso la sua utilità. Forse è giunto il momento di andare avanti.
(L’originale di questo articolo è stato pubblicato il 28 marzo 2019 da QuantaMagazine.org, una pubblicazione editoriale indipendente online promossa dalla Fondazione Simons per migliorare la comprensione pubblica della scienza. Traduzione ed editing a cura di Le Scienze. Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati)
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