Il tempo nei fumetti è una variabile relativa. Ci sono personaggi congelati nell’età con cui si sono presentati al pubblico: Linus e Charlie Brown, eterni bambini senza più speranza di crescere. Altri che sono confinati nella loro epoca: Tex Willer e Kit Carson, blindati da settant’anni in un’America uscita da poco dalla Guerra di Secessione. Poi ci sono gli eroi che invecchiano: si sposano, fanno figli, divorziano. Vivono come tutti, ma a un ritmo più lento: Spiderman si presenta come un liceale, ma mezzo secolo dopo non è ancora un anziano signore dagli strani poteri.

Poi ci sono Topolino e Paperino. Nel mondo Disney il tempo scorre senza che nessuno ci faccia caso. Le case di Topolinia e Paperopoli si ammodernano come quelle dei loro lettori: nelle villette del Midwest immaginate decenni fa da Floyd Gottfredson e Carl Barks, i padri del fumetto Disney, sono arrivati via via i cellulari, gli stereo, i computer, le tv sempre più piatte. È successo l’incredibile: Molte invenzioni di Archimede Pitagorico sono state superate dal reale e Google ha preso il posto dell’onnniscente Manuale delle Giovani Marmotte.

«L’editore ci chiede di stare al passo con i tempi», racconta Giorgio Figus, torinese, sceneggiatore di «Topolino» dal 1981, che da poco ha scritto la sua duecentesima storia per il settimanale Disney. «Se escludiamo le parodie e le storie in costume – spiega – il lettore pensa a Topi e Paperi come nostri contemporanei: sarebbe assurdo che non vivessero come noi». Un condizionamento per gli autori? «Scrivere per “Topolino” è un onore: facciamo vivere delle icone dell’era moderna, le facciamo muovere secondo la nostra fantasia. Ma non sono personaggi “nostri”, appartengono a tutti: è giusto che ci siano delle regole, ed è normale che queste regole cambino con i cambiamenti della società».

Duecento storie fa, nel 1981, Figus era un ragazzo di 22 anni. «Disney era la mia passione – ricorda – e scrivevo fin da ragazzo. Con un po’ di paura mandai un soggetto a Franco Fossati, il caporedattore di “Topolino”. Fossati, morto troppo presto nel 1996, era un pozzo di scienza disneyana e un carattere un po’ difficile. Sono rimaste memorabili le sue scenate a chi non scriveva correttamente il nome di Rockerduck. «Con me fu gentilissimo – dice Figus – specie quando gli rivelai il mio mestiere di allora: ero un carabiniere, e la cosa sembrava divertirlo molto. Mi prese e io ero quasi incredulo».

Ma quali sono le regole inderogabili per chi scrive di Paperino? «Questi sono personaggi che vanno rispettati: esistono da prima che noi nascessimo e non possono essere diversi da quello che sono sempre stati. Poi ci sono le norme di comportamento: la violenza è bandita da tempo: niente armi, niente caccia, niente pesca, niente stereotipi. Non importa se un personaggio è un animaletto: se è scuro di pelle non può avere un ruolo negativo».

Un limite per chi scrive? «Ma no: la sensibilità delle persone è cambiata, ed è giusto che un giornale come “Topolino” ne tenga conto. E poi le occasioni per scrivere sono moltissime, nonostante le regole: una volta passeggiavo per Torino e vidi dei rifiuti per terra. Mi venne in mente una storia in cui dei fiori carnivori divoravano i rifiuti e ripulivano la città. Nacque così la storia “Zio Paperone e le piante spazzativore”. Per scrivere basta guardarsi intorno. Anche perché in fondo Paperino è uno di noi. E se noi chattiamo, tagghiamo e facciamo cose del genere, cosa c’è di strano che le faccia pure lui?».

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