Se la moglie si licenzia volontariamente dal posto di lavoro che le garantisce un reddito fisso ed è giovane non ha diritto all’assegno di divorzio
Niente assegno divorzile per la ex moglie ancora giovane che ha dimostrato di potersi mantenere se decide in piena libertà di licenziarsi dal lavoro che le garantiva un reddito fisso. Questa la decisione della Cassazione che, nell’ordinanza n. 26594/2019 (sotto allegata) precisa come, alla luce delle SU n. 18287/2018 la funzione riequilibratrice dell’assegno divorzile non si traduce nel dover ripristinare il tenore di vita goduto durante il matrimonio, ma di riconoscere il merito di quanto fatto e apportato in termini di sacrificio delle proprie aspirazioni professionali e di contributo al patrimonio familiare da parte del coniuge economicamente più debole, apporto che nel caso di specie non sono stati rilevati.
La vicenda processuale
Il Tribunale, nel giudizio instaurato per la dichiarazione di cessazione degli effetti civili del matrimonio affida all’ex marito i due figli e impone allo stesso di provvedere al pagamento di 200 euro mensili a titolo di contributo al mantenimento dei figli e un assegno divorzile mensile di pari importo in favore della ex moglie.
La Corte di appello accoglie però l’impugnazione dell’ex marito, revoca l’assegno divorzile e respinge la richiesta della ex moglie finalizzata a ottenere l’aumento del contributo da 200 a 350 Euro mensili e l’affidamento condiviso dei figli. La Corte di appello nel corso del giudizio rileva che l’ex marito, maresciallo dei carabinieri, percepisce uno stipendio netto annuo di 37.000 Euro, mentre la ex moglie, per la sua attività di commessa in un supermercato aveva una retribuzione su base annua di circa 10.000 Euro, fino al momento in cui la stessa non decideva di trasferirsi presso i suoi genitori, dove però rimaneva senza lavoro.
La Corte di appello ha riscontrato un atteggiamento passivo della donna nei confronti dei figli, perché dal 2014 non solo non li ha più visti ma non ha mai neppure contribuito al loro mantenimento. La donna inoltre è ancora giovane, ha dimostrato di poter lavorare e avrebbe potuto continuare a svolgere le stessa attività lavorativa o cercarne una meglio pagata e più in linea con le sue necessità. La donna però non accetta la revoca dell’assegno divorzile e ricorre in cassazione, lamentando la violazione degli 5 c. 6 della legge sul divorzio e gli artt. 115 e 116 c.p.c. L’ex marito da parte sua propone controricorso.
L’assegno divorzile non deve ripristinare il tenore di vita
La Corte di cassazione, con ordinanza n. 26594/2019 respinge il ricorso alla luce delle SU n. 18287/2018 le quali hanno ribadito che “il riconoscimento dell’
assegno di divorzio, in favore dell’ex coniuge, cui deve attribuirsi una
funzione assistenziale, ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi dell’art. 5, comma 6, della L. n. 898 del 1970, richiede l’accertamento dell’i
nadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante, e dell’
impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive.”
La pronuncia delle SS.UU. inoltre chiarisce che la
funzione riequilibratrice del reddito dell’
assegno divorzile, non ha come obiettivo quello di ripristinare il tenore di vita goduto dai coniugi in costanza di matrimonio, quanto piuttosto quello d
i riconoscere il ruolo e il contributo “fornito dall’ex
coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi e in particolare al riconoscimento delle aspettative professionali sacrificate per dedicarsi alla cura della famiglia.”
Se la moglie si licenzia non spetta al marito mantenerla
Nel caso di specie la Corte di appello ha rilevato che l’impossibilità, sempre se esistente, da parte della ex moglie, di procurarsi i mezzi economici necessari a provvedere alle sue necessità non è il risultato di un’incapacità lavorativa o di fattori esterni alla sua volontà, ma di una sua libera scelta di abbandonare il lavoro che le garantiva un reddito fisso. La Corte inoltre non ha rilevato un particolare contributo della ricorrente alla formazione del patrimonio familiare e alla cura della famiglia e neppure un sacrificio delle sue aspirazioni lavorative per motivi familiari. Queste le ragioni della revoca dell’assegno divorzile.
Scarica pdf Cassazione ordinanza civile n. 26594-2019
di Annamaria Villafrate – FONTE
Niente mantenimento all’ex moglie giovane
Per la Cassazione è in grado di trovarsi un lavoro per cui assegno di mantenimento escluso
Assegno di mantenimento ex moglie
No all’assegno di mantenimento per la ex moglie che è giovane e in grado quindi di trovarsi un lavoro. Ordinanza prima sezione civile della Cassazione n. 17805/2023 (sotto allegata).
Ad adire il Palazzaccio è la donna avverso la sentenza della Corte d’appello che aveva escluso l’assegno di mantenimento in suo favore, considerandola sufficiente giovane e considerato che alla stessa i servizi sociali avevano offerto un progetto per l’orientamento al lavoro che aveva respinto.
La donna sostiene che la Corte ha errato a valorizzare la sua giovane età e la circostanza che le era stato offerto un percorso di inserimento nel mondo del lavoro posto che non si trattava di una proposta concreta ma di un inserimento “futuro ed ipotetico”. Di contro, lamenta di non avere redditi e che “non rileva l’astratta attitudine e la generica capacità di lavoro, avendo ella sempre svolto attività di casalinga”.
Per gli Ermellini, tuttavia, il motivo è inammissibile.
La censura non si confronta con la ratio decidendi della sentenza impugnata, affermano infatti, “ove il diniego dell’assegno di mantenimento è motivato, in primo luogo, sul rilievo che la richiedente non solo è giovane, ma che le è stato prospettato un percorso di inserimento lavorativo ingiustificatamente rifiutato, il che inquadra in una dimensione concreta la capacità lavorativa derivante dalla giovane età; in secondo luogo, valorizzando la circostanza che ella gode di una prestazione economicamente apprezzabile da parte del coniuge separato e cioè il pagamento del canone di locazione dell’appartamento ove abita con la figlia e che questo è il complessivo sforzo economico che può richiedersi al adeguato alle sue possibilità economiche”.
Si tratta, dunque, di un giudizio di fatto di cui in sede di legittimità non si può chiedere la revisione.
Ne consegue il rigetto del ricorso.
Scarica pdf Cass. n. 17805/2023
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