Tanto mio nonno Francesco che il nonno di Arihanna, Antonio, sono nati a Taranto, città che non abbiamo ancora visitato… e forse è tempo di rimediare! In attesa di un periodo propizio per organizzare una gita… iniziamo a studiare un po’ della cultura di parte delle nostre origini!


Seconda città della regione per popolazione e terza città più grande del sud Italia peninsulare, con l’intera area urbanizzata di circa 318 000 abitanti, situata nel Mare Ionio sull’omonimo golfo, è soprannominata la Città dei due mari, per la sua peculiare posizione a cavallo di Mar Grande e Mar Piccolo. La città è fisicamente divisa in tre parti: il Centro storico di Taranto o città vecchia è situato su un’isola, collegata da un’estremità attraverso il ponte di pietra che dà al quartiere industriale e dall’altro estremo dell’isola attraverso il ponte girevole porta al Borgo Umbertino. Nella rada del mar Grande, nei pressi delle Isole Cheradi, antistanti la città, vive e prospera una storica popolazione di delfini e altri cetacei; nel mar Piccolo è praticata da secoli e in larga scala la mitilicoltura, i cui prodotti sono noti a livello mondiale per la loro unicità.

Fondata dagli Spartani nell’VIII secolo a.C. col nome di Taras, grazie alla sua posizione strategica al centro dell’omonimo golfo, alla fertilità del suo territorio e al commercio, la città divenne una delle più importanti póleis della Magna Grecia. Fu l’ultima città magnogreca a cadere in seguito all’espansione romana, non prima di aver ingaggiato con essa un conflitto durato 5 anni, passato alla storia col nome di Guerre Pirriche. Pur sconfitta, continuò a esercitare una importante influenza culturale sul resto dell’Italia meridionale e sulla stessa Roma, entrando a far parte dell’immaginario collettivo del tempo come luogo contraddistinto da opulenza e da grandi bellezze naturali, celebrate da Orazio, da Virgilio e numerosi altri autori. Nel periodo normanno, divenne capitale del Principato di Taranto, che durante i suoi 377 anni di storia arrivò a comprendere parte della Terra di Bari e la quasi totalità del Salento. L’influenza della città nel basso medioevo fu notevole nel campo musicale e marinaresco, in tutto il Regno di Spagna: si riflette nel Flamenco Taranto, danza tipica di Siviglia, o nel “tarantello” di tonno, taglio pregiato e diffuso in tutto il mediterraneo e soprattutto in Andalusia, originario di Taranto.


Origine del nome

L’inquadramento etimologico del nome della città di Taranto è tutt’altro che facile. Il toponimo Taras (in greco antico: Τάρας?), primo nome della città, è strettamente collegato alla colonizzazione ellenica della Magna Grecia che si ebbe a partire dall’VIII-VII secolo a.C. con le colonie ioniche e doriche: oltre che sulle monete magno-greche risalenti al periodo di massimo splendore della città, il toponimo compare anche sulla Mappa di Soleto, la più antica mappa geografica occidentale proveniente dall’antichità classica, incisa su un piccolo frammento di un vaso attico smaltato di nero.
Taras era una figura della mitologia greca, figlio di Poseidone e della ninfa Satyria, il cui nome è ascrivibile ad una radice protoindoeuropea dal significato di “albero”.
Tuttavia, non è possibile del tutto escludere la derivazione del toponimo dal nome del fiume Tara.


Antichità

La cronologia tradizionale assegna la data della fondazione di Taranto al 706 a.C. Le fonti tramandate dallo storico Eusebio di Cesarea, parlano del trasferimento in questa zona dello spartano Falanto, figlio del nobile Arato e discendente di Eracle di VIII generazione, e di altri compatrioti detti Parteni, per necessità di espansione o per questioni commerciali. Questi, approdando sul promontorio di Saturo e fissando i primi insediamenti portarono una nuova linfa di civiltà e di tradizioni. La struttura sociale della colonia sviluppò nel tempo una vera e propria cultura aristocratica, la cui ricchezza proveniva, probabilmente, dallo sfruttamento delle risorse del fertile territorio circostante, che venne popolato e difeso da una serie di phrouria tra le quali Pezza Petrosa, piccoli centri fortificati in posizione strategica. Taranto ha quindi origini antichissime. Durante il periodo della colonizzazione greca sulle coste dell’Italia meridionale, la città fu tra le più importanti della Magna Grecia. In quel periodo, infatti, divenne una potenza economica militare e culturale, che diede i natali a filosofi, strateghi, scrittori e atleti, diventando anche sede della scuola pitagorica tarantina, la seconda più importante dopo quella di Crotone. A partire dal 367 a.C., fu la città più potente tra quelle che costituirono la Lega italiota. Nel 281 a.C. entrò in conflitto con Roma (guerra tarentina) insieme al suo alleato Pirro, Re dell’Epiro, ma capitolò definitivamente nel 272 a.C.. Durante la seconda guerra punica, Taranto aprì le porte ad Annibale nel 212 a.C., ma fu punita tre anni dopo con la strage dei suoi cittadini e col saccheggio quando Fabio Massimo la riconquistò. Nel 125 a.C. vi fu dedotta una colonia romana (colonia neptunia), mentre nel 90 a.C. fu eretta a Municipium con la Lex municipii Tarentini. Nel periodo neroniano Taranto viene scelta come meta di stanziamento di una grande quantità di veterani di guerra che militarono in diverse legioni, tra cui la V Macedonica, la XII Fulminata e la IIII Scythica.


Simboli

Lo stemma civico di Taranto fu riconosciuto ufficialmente con decreto del Capo del Governo del 20 dicembre del 1935:
«D’azzurro, al delfino nuotante e cavalcato da un dio marino nudo sostenente nel braccio sinistro un panneggio svolazzante e con la destra scagliante il tridente; al capo cucito di rosso centrato, caricato della conchiglia d’oro, posta fra la leggenda ΤΑΡΑΣ (Taras)»
Il giovane dio a cavallo del delfino raffigurato sullo stemma si ispira a quello delle monete magno-greche del periodo di massimo splendore della città.
Nel 1589, una precedente versione dello stemma raffigurante un uomo adulto coronato a cavallo di un delfino, reggente nella mano destra un tridente e nella mano sinistra uno scudo con sopra uno scorpione al posto dell’attuale drappo, sostituì a sua volta l’antico stemma raffigurante uno scorpione suggerito da Pirro, e che attualmente è utilizzato come simbolo della provincia ionica.
Il gonfalone è un drappo troncato di azzurro e di rosso.


Architetture religiose

Basilica Cattedrale di San Cataldo
La Cattedrale di San Cataldo (o Duomo di San Cataldo) è la più antica cattedrale pugliese, e si trova nel cuore del centro storico di Taranto, comunemente noto come Città Vecchia. Dedicata a san Cataldo, vescovo irlandese morto a Taranto nel VI-VII secolo, del quale ospita il sepolcro, fu costruita nella seconda metà del X secolo – durante i lavori di ricostruzione della città voluti dall’imperatore bizantino Niceforo II Foca – sui resti di un edificio religioso paleocristiano risalente almeno all’VII secolo. Nell’XI secolo l’impianto bizantino venne rimaneggiato e si costruì l’attuale cattedrale a pianta basilicale. Nel 1713 fu aggiunta la facciata barocca per opera dell’architetto leccese Mauro Manieri. Nel XII secolo fu innalzato il campanile normanno, danneggiato dal terremoto del 1456 e sostituito durante i lavori di restauro del 1952 con l’attuale, che riprende le forme di quello più antico. La cattedrale misura 84 metri di lunghezza e 24 larghezza, ha una navata centrale contornata da colonne dai capitelli tutti differenti tra loro, due laterali e un transetto a una navata. Nella zona antistante la facciata romanica, corrispondente all’attuale pronao, furono accolte le tombe dei personaggi più illustri della città. Nel Cappellone di San Cataldo sono conservate le spoglie e la statua argentea del santo. È una delle più alte espressioni di barocco, con opere dello scultore Giuseppe Sanmartino, affreschi di Paolo De Matteis e marmi policromi. Nella Cripta Bizantina, a pianta cruciforme, si possono ammirare affreschi del Duecento e del Trecento, bassorilievi e sarcofagi. Nel vano della cripta vi sono le tombe di alcuni arcivescovi di Taranto.
Convento e chiostro di San Domenico Maggiore
L’ex convento di San Domenico Maggiore è una struttura seicentesca situata nel cuore della città vecchia di Taranto. Edificato nel XIV secolo, la struttura si sviluppa su tre piani, due fuori terra e uno interrato, che si abbarbicano attorno a una corte centrale piuttosto ampia. La struttura, realizzata in muratura con conci di tufo, consente di verificare tutti cambiamenti effettuati nel corso dei secoli e di accertare la presenza di vari stili architettonici. All’interno del chiostro del convento, che è stato ristrutturato l’ultima volta fra il XVII e il XVIII secolo ed è caratterizzato da una serie di arcate supportate da colonne con capitelli a foglie angolari, si sviluppa un’area archeologica di considerevoli dimensioni, in connessione con le aree archeologiche di Saturo e Scoglio del Tonno, che presenta tracce di occupazione del sito risalenti al Neolitico a partire dal VI millennio a.C. e tracce di frequentazione micenea. Di età successiva (X-VIII secolo a.C.) sono i resti dell’insediamento Iapigio, spodestati poi dalla colonia spartana che fondò Taras. L’area, abitata sin dalla preistoria, permette di rilevare le strutture di fondazione di un tempio greco sorto sull’acropoli dell’antica Taras nel VI sec. a.C. In più, è visibile l’impronta romana nel sito grazie ai resti della cella del tempio, consistente in frammenti di architrave riutilizzati nella facciata gotica del convento. Fin dal 1315, il Complesso fu retto dai padri domenicani e per questo prese il titolo di San Domenico in Soriano o Maggiore. I decreti napoleonici, purtroppo, lo soppressero nel 1801, fu trasformato in caserma di cavalleria e abbandonato dai religiosi. Attualmente è sede della Soprintendenza nazionale per la tutela del patrimonio subacqueo, della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la provincia di Taranto e della Biblioteca della Soprintendenza Archeologica della Puglia.

Architetture civili

Ponte Porta Napoli (o Ponte di Pietra)
Il Ponte di Porta Napoli (o Ponte di Pietra) di Taranto è la struttura in pietra che sovrasta il canale naturale a nord-ovest della città. Lungo 115 metri e largo 16 metri, con tre sole arcate, è dedicato a Sant’Egidio da Taranto (fedele seguace della regola francescana). L’odierno ponte fu costruito nel 1883, dopo un’alluvione che distrusse il ponte di sette arcate costruito nel X secolo per volere di Niceforo II Foca, utilizzando anche materiali provenienti dal precedente. Il mare si elevò per circa tre metri entrando in tutte le case della città vecchia, l’innalzamento delle acque determinò il crollo del ponte e subito dopo l’alluvione, per collegare l’isola alla terraferma, fu costruito un ponte di legno provvisorio. L’antico ponte, per meglio proteggere la città dalle frequenti incursioni esterne, era stato fortificato nel 1404 con la costruzione sulla Piazza Grande, ora Piazza Fontana, di una torre e della “Cittadella”, un grosso mastio quadrato cinto di mura e fiancheggiato da due torrioni.

 

Ponte San Francesco Da Paola (o Ponte Girevole) e canale navigabile
In diverse epoche i popoli al potere realizzarono nel luogo dell’attuale canale navigabile dei fossati per rafforzare la difesa di quella che era definita “Porta Lecce”. Nel 1481 Ferdinando I d’Aragona, vedendosi minacciato dai Turchi, realizza un canale detto ‘Fosso’, rafforzando le difese della città. Filippo II, successivamente, incrementò l’ampiezza del canale e lo rese effettivamente navigabile. Il passaggio tra la Città vecchia e la sponda a Sud era garantito tramite una struttura mobile in legno, ovvero tramite un ‘ponte’ smontabile in caso di attacco. La scarsa manutenzione, portò ben presto al riempimento di materiale sabbioso del canale. Per la sua riapertura, si deve attendere il 1755, con l’intervento di Carlo II. Ferdinando I di Borbone migliorò ancora le condizioni del Canale riattivato e nella parte nord fece costruire un ponte, questa volta in muratura, denominandolo “Ponte di Porta Lecce”. Dopo l’Unificazione d’Italia, iniziò lo studio della rada del Mar Piccolo, al fine della costruzione dell’Arsenale della Regia Marina Militare. Venne valutata l’opportunità di ingrandire il Canale, per consentire il passaggio delle Navi da Guerra, favorendone il riparo nella naturale ansa del Golfo di Taranto. Pertanto, nel 1885 il vecchio “Ponte di Porta Lecce” fu demolito. Fu realizzato il miglioramento definitivo del Canale Navigabile, portandolo a una lunghezza di 400 metri, una larghezza di circa 70 e una profondità di 12. Fu quindi avviata la costruzione del Ponte Girevole, un’opera di ingegneria meccanica volta a consentire e controllare il passaggio delle grandi navi da guerra e a unire (o all’occorrenza, separare) il borgo antico con il borgo nuovo. Costruito dall’Impresa industriale italiana di costruzioni metalliche di Alfredo Cottrau, su progetto dell’Ing. Messina, era originariamente costituito da un grande arco a sesto ribassato in legno e metallo, diviso in due braccia che giravano indipendentemente l’una dall’altra attorno a un perno verticale posto su uno spallone. Il funzionamento avveniva grazie a turbine idrauliche alimentate da un grande serbatoio posto sul Castello Aragonese. L’inaugurazione del Ponte avvenne il 22 maggio 1887, per opera dell’ammiraglio Ferdinando Acton.
Il Ponte e il Canale sono stati oggetto di numerosi restauri. Nel 1957 il funzionamento di tipo ‘idraulico’ fu sostituito con un funzionamento di tipo elettrico, ma mantenendo di fatto inalterati i principi ingegneristici. Il nuovo ponte fu inaugurato dal presidente della Repubblica Giovanni Gronchi il 10 marzo 1958, e venne intitolato a San Francesco da Paola, protettore delle genti di mare.

 

Ponte Punta Penna Pizzone
Il Ponte Punta Penna, il ponte che divide i seni del Mar Piccolo.
Il Ponte Punta Penna Pizzone, conosciuto anche come Ponte Aldo Moro, è la struttura che congiunge Punta Penna con Punta Pizzone, nel punto in cui un restringimento naturale crea i due seni del Mar Piccolo. Inaugurato il 30 luglio 1977, è lungo 1.909 metri e raggiunge l’altezza di 45 metri sul livello del mare. Fu realizzato in calcestruzzo precompresso su progetto dell’ing. Giorgio Belloni, e costò all’epoca quasi 26 miliardi di lire per la sola realizzazione, più altri 15 miliardi di lire per l’esecuzione dei lavori di viabilità secondaria. La necessità di questa grande opera di ingegneria sorse alla fine degli anni sessanta, per sopperire ai problemi derivanti dal crescente traffico veicolare e dall’espansione urbanistica di Taranto. Rappresenta un determinante strumento viario per la città, in quanto permette un rapido collegamento delle periferie più a nord con quelle più a sud, soprattutto durante le procedure di apertura del Ponte Girevole per consentire il passaggio delle grandi navi militari, periodo in cui Taranto resta letteralmente divisa in due.
Il ponte, dedicato nel 2008 allo statista pugliese prematuramente scomparso Aldo Moro, è tra i più lunghi d’Europa e il più lungo ponte sull’acqua d’Italia.


Architetture militari

Castello Aragonese (o Castel Sant’Angelo)
Il Castel Sant’Angelo, è ubicato vicino ad un’antica depressione naturale del banco di roccia sopra cui sorge il borgo antico della città e consiste in una ricostruzione Aragonese di una precedente fortezza normanno-sveva-angioina costruita nello stesso punto, ma avente caratteristiche molto diverse poiché era un tipico castello medievale con numerose torri alte e sottili costruito sopra una precedente fortificazione bizantina che aveva le fondamenta poggiate su strutture risalenti al periodo greco (IV-III secolo a.c.). Il miglioramento dell’artiglieria nel XV secolo, rese i castelli medievali obsoleti poiché le loro sottili mura non potevano più resistere contro i cannoni degli attaccanti né permettere il loro uso da parte dei difensori. La conquista di Otranto da parte dei turchi nel 1480 dimostrò chiaramente che questo tipo di fortificazione era ormai inadeguato. Il re di Napoli, Ferdinando I d’Aragona, decise pertanto di rinforzare le difese costiere del reame. In questo contesto, tra il 1487 e il 1492, il Castello di Taranto fu ricostruito seguendo forse lo specifico progetto del grande architetto senese Francesco di Giorgio. Il nuovo castello aveva una forma che ricordava vagamente quella di uno scorpione, con cinque torri rotonde ubicate agli spigoli della costruzione. Queste torri più basse e più larghe delle precedenti, ricevettero il nome di San Cristoforo, San Lorenzo e Sant’Angelo per le tre di fronte l’attuale canale navigabile, mentre le due dal lato del borgo antico furono chiamate Annunziata e Bandiera. Torri e mura erano della stessa altezza, 21 metri, e quasi dello stesso spessore, circa 8 metri; tutte le torri avevano un diametro di 18 metri eccetto San Cristoforo che era 10 metri più larga. Verso il Mar Grande, in accordo con il probabile progetto di Francesco di Giorgio, fu aggiunto nel 1491, un puntone triangolare, (vero prototipo del bastione del XVI secolo, erroneamente chiamato rivellino), per rinforzare la cortina meridionale e migliorare la capacità di difesa di fiancheggiamento dell’accesso al fossato che fu ampliato sino a collegare il Mar Grande con il Mar Piccolo. Le fortificazioni del XV secolo ebbero elevate qualità estetiche, ma una validità militare piuttosto effimera a causa del rapido progresso dell’artiglieria. Gli spagnoli, che succedettero agli Aragonesi nel 1502, ampliarono le piattaforme sommitali per facilitare il movimento e uso dell’artiglieria. Essi riempirono anche di terra molte delle gallerie intramurali e le casematte superiori delle torri per rinforzarle e per ottenere postazioni per l’artiglieria sulla sommità delle torri. Nonostante gli interventi spagnoli, la fortezza perse progressivamente validità militare e dopo aver avuto un ruolo fondamentale, in numerose battaglie, respingendo in particolare l’assalto turco nel 1594, finì per essere utilizzata come prigione e come caserma. Questa diversa utilizzazione ha portato alla frammentazione dei locali interni con la chiusura di passaggi e corridoi. In aggiunta a ciò, le aumentate esigenze residenziali unite al basso costo di intonaco e cemento, hanno portato all’uso massiccio di questi materiali per ricoprire muri e pavimenti allo scopo di migliorare le condizioni igieniche. Il castello, comunque, è rimasto sostanzialmente intatto eccetto che per la torre di Sant’Angelo, demolita nel 1883 per fare posto al ponte girevole. A partire dal 2003, la Marina Militare, custode del castello dal 1883, ha iniziato il restauro sistematico dell’interno della fortezza con l’intento di riportarla alla configurazione Aragonese e di identificare le precedenti strutture greche, bizantine, normanne, svevo-angioine. Il restauro interno, effettuato dal personale della Marina Militare, sotto la supervisione della locale Sovrintendenza ai beni Architettonici, consiste essenzialmente nella rimozione dell’intonaco e cemento per riportare alla luce le superfici originarie di mura e pavimenti nella riapertura di corridoi, locali e passaggi, per ristabilire la permeabilità del castello e la funzionalità dei vari elementi difensivi. Durante queste attività sono state scavate grandi quantità di terra in collaborazione con l’Università di Bari, sotto la supervisione della Sovrintendenza ai beni Archeologici, portando alla scoperta di numerosi reperti dei diversi periodi che abbracciano quasi tremila anni di storia.
Tempio dorico
Il Tempio di Poseidone (o Tempio Dorico) è un tempio periptero di ordine dorico situato nella odierna piazza Castello nel centro storico di Taranto. Risulta essere il tempio più antico della Magna Grecia. Le 2 colonne di ordine dorico rimaste a testimonianza dell’antico tempio magno-greco, più una base con 3 tamburi o rocchi, furono realizzate in carparo locale ricavato dalla stessa acropoli, e rappresentano il lato lungo della “peristasis” del tempio, i cui resti sono stati individuati nel chiostro e nelle cantine del Monastero di San Michele, che fa da sfondo ai ruderi al fianco di Palazzo di Città. Sono alte ciascuna 8,47 metri, con un diametro di 2,05 metri e un interasse di 3,72 metri: dall’osservazione dell’area della “peristasis” e dal calcolo del rapporto tra la sua ampiezza e l’interasse, si suppone che il tempio avesse il fronte rivolto verso il canale navigabile, e che fosse costituito da 6 colonne sui lati corti e da 13 sui lati lunghi. Sia il profilo del capitello sia i “rocchi”, molto bassi e sovrapposti senza un perno centrale, fanno risalire i manufatti agli inizi del V secolo a.C. Tuttavia, la presenza di una piccola fossa vicino alle colonne, nonché le tracce presenti ai bordi della stessa, fanno pensare all’esistenza di una pavimentazione e di un’alzata in legno appartenenti a un primo edificio di culto, in mattoni crudi e materiale deperibile, costruito alla fine dell’VIII secolo a.C. dai primi coloni spartani. I ruderi del tempio erano inglobati nella chiesa della SS. Trinità, nel cortile dell’oratorio dei Trinitari, nella casa Mastronuzzi e nel convento dei Celestini. Nel 1700 erano ancora visibili dieci spezzoni di colonne, ma furono rimossi e andarono dispersi durante il rifacimento del convento nel 1729. Verso la fine dell’Ottocento, l’archeologo Luigi Viola ne studiò i resti e attribuì il tempio al culto di Poseidone, ma esso è più probabilmente da mettere in relazione con le divinità femminili di Artemide, Persefone o Hera.

Aree naturali

Giardini Peripato
I Giardini Peripato sono un’area verde di circa 5 ettari considerati il “polmone verde” del centro di Taranto. Si tratta di un’area destinata inizialmente ad agrumeto dalle famiglie nobili tarantine e che nei primi decenni del Novecento è stata resa “Villa comunale” dal Comune di Taranto. Al suo interno sono presenti numerose rilevanze archeologiche e naturalistiche.

 

Riserva Naturale Regionale Orientale “Palude La Vela”
La Palude “La Vela” è un’area naturale protetta di proprietà demaniale a valenza naturalistico-ambientale situata sulle sponde del mar Piccolo. L’ambiente è prevalentemente di tipo palustre, con canneto e macchia mediterranea, ampi acquitrini e zone periodicamente sommerse. L’avifauna è caratterizzata da una colonia stanziale di aironi cinerini, ma durante i mesi invernali la popolazione aumenta sensibilmente per numero e per specie: si segnalano infatti gru, cicogne, fenicotteri, volpoche, falco pescatore. Altri uccelli sia lacustri quali cigni reali, germani reali, folaghe, gabbiani reali e cormorani sia boschivi quali corvi, gazze, picchi, scriccioli, ghiandaie e i numerosi uccelli rapaci ne fanno un luogo perfetto per il birdwatching. I rettili come la tartaruga palustre, il cervone e la vipera sono comuni così come gli anfibi. I mammiferi sono costituiti da esemplari di roditori quali il topo quercino, l’arvicola, gli scoiattoli e le istrici e da altri animali quali volpi, faine, tassi, ricci e cinghiali. La flora presenta ampi salicornieti, orchidee spontanee e pinete di pino d’Aleppo. L’oasi funge principalmente da centro di irradiamento dell’avifauna che colonizza gradatamente le aree circostanti, ed è gestita dal WWF di Taranto, che svolge attività di divulgazione, monitoraggio e anti-bracconaggio.


Altro

Il mito di Falanto
Sul lungomare del Borgo Antico, un pannello in ceramica di 140 m² raffigura la leggenda della colonizzazione greca e della successiva nascita di Taranto. L’opera realizzata dell’artista Silvana Galeone su progetto del Centro Culturale Filonide, si ispira al mito dell’eroe spartano Falanto e al responso dell’Oracolo di Delfi da lui interpellato, il quale sentenziò: «Quando vedrai piovere dal ciel sereno, conquisterai territorio e città.». Falanto, vedendo piangere sua moglie Ethra, il cui nome in greco vuol dire “cielo sereno”, ritenne che l’oracolo si fosse avverato, e si accinse a fondare la sua città a cui diede il nome di Saturo, località ancora esistente a pochi chilometri dalla città.


Cucina

I ristoranti tradizionali della città offrono una cucina che combina i frutti di mare con i prodotti della terra, conditi con l’ottimo olio extravergine di oliva tarantino (Olio Terre Tarentine DOP). Piatti tipici come i cavatelli con le cozze, il risotto ai frutti di mare, il polpo e il pesce alla griglia, sono accompagnati da ortaggi crudi o cucinati nei modi più vari: i pomodori, i peperoni, le melanzane, i carciofi e i legumi sono particolarmente saporiti.Da non dimenticare le orecchiette (a Taranto chiamate chiangarèdde) con le cime di rapa, al sugo di braciole di cavallo o al ragù, nonché le mozzarelle e le provole fresche, o gli involtini di vitello, i fegatini (“fegatidde”) e gli gnumarelli (“gnumaridde”) alla brace, accompagnati con i vini del territorio (Aleatico di Puglia DOC, Lizzano DOC, Martina Franca DOC, Primitivo di Manduria DOC).Arance, mandarini, clementine (Clementina del Golfo di Taranto IGP), uva, fichi e angurie non mancano mai sulle tavole imbandite, così come i dolci di miele e in pasta di mandorle, o le più tipiche Carteddàte, Sannacchiùdere e Pettole, preparate nell’occasione di particolari festività o ricorrenze.
Cozze tarantina

Le cozze sono allevate a Taranto tra mar Piccolo e mar Grande. Sono state inserite nel registro dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali Pugliesi dal Ministero delle Politiche agricole alimentari forestali e del turismo e dal 2022 la cozza nera Tarantina è presidio Slow Food[76]. Il peculiare sapore della cozza tarantina è dato dalle condizioni di salinità del mar Piccolo attraversato dai citri, sorgenti sottomarine d’acqua dolce in grado di ossigenare l’acqua e favorire lo sviluppo del plancton e dalle correnti d’acqua dolce del Galeso. I pali d’allevamento erano realizzati anticamente in legno di Sila. Già in epoca magnogreca e romana fonti letterarie[77] narrano della ricchezza e della bontà dei mitili della città dei due mari. Questa descrizione è stata ripresa anche nel corso del XVI e XVII secolo da autori come Tommaso Niccolò d’Aquino nelle sue “Deliciae Tarantinae”. A seguito dei rilievi e delle verifiche dell’inquinamento presente nel primo “seno” del mar Piccolo, la filiera legale delle cozze è stata spostata nel secondo “seno”. I prelievi e la classificazione delle acque sono al momento effettuati per singolo produttore, dando modo, così di certificare la sicurezza del prodotto[78][79][80]. Uno dei piatti tipici di Taranto è sicuramente le cozze alla puppitegna con aglio, olio e prezzemolo, ma anche l’impepata di cozze e i tubettini o gli spaghetti con le cozze.

Numerosi sono i riferimenti della cultura popolare alle cozze tarantine:
-Il gruppo di musica popolare Terraross la cita in “Giù al sud”, traccia dell’omonimo album.
-Il nuovo brand grafico della birra Raffo comprende anche lo slogan Don’t touch my cozza stampato sull’etichetta delle bottiglie.
-Rocco Papaleo la cita nel corso del celebre film interpretato da Checco Zalone, Che bella giornata.

Alcolici
La Birra Raffo è per antonomasia “la birra dei tarantini”.

FONTE