Me lo riprometto da troppo tempo. E’ ora di rompere ogni indugio e provare ad applicare con convinzione e costanza i pratici e “occidentalizzati” consigli “psicoterapeutici” suggeriti da questo bel testo di Giacobbe.
Come già feci con la sua opera precedente (“Come smettere di farsi le seghe mentali e godersi la vita”), mano a mano che seguirò il percorso di riflessione attiva suggerito, segnerò in questa discussione note e riflessioni… utili a me e magari anche a qualcun altro che si rende conto che la vita scivola tra le dita come sabbia tra una mangiata, una bevuta, una discussione e una rata del mutuo casa senza possibilità di poter modificare l’evolversi degli eventi globali se non utopisticamente, a costo di sacrifici immensi e comunque per un periodo limitato. Forse il Buddhismo/Zen/Chan che da tanti anni mi attrae, inteso come filosofia e psicoterapia, è la soluzione. (01.2016)

 

Come Diventare un Buddha in Cinque Settimane
Manuale (serio) di autorealizzazione
Giulio Cesare Giacobbe

IL LIBRO

Questo manuale espone in modo chiaro e semplice l’insegnamento originale del Buddha, che permette di vivere con serenità e allegria, con gioia e amore, la propria vita. Scopo ultimo dell’insegnamento di Siddhartha Gautama Sakyamuni detto il Buddha (l’Illuminato) è infatti lo stato di buddhità: uno stato costante di serenità, indipendente dagli accadimenti esterni. Chiunque può realizzarlo, senza essere buddhista né fare pellegrinaggi in Oriente. Si tratta solo di percorrere il giusto sentiero, seguire un metodo. Il Buddha lo ha esposto nel suo insegnamento ed è stato riportato dalla tradizione, ma in modo complicato. Questo manuale lo ha fatto diventare semplice e chiaro, applicabile da chiunque. Cioè un metodo scientifico. Applicandosi agli esercizi esposti in questo manuale si può raggiungere la serenità. E in cinque settimane.

UN BRANO

“Cos’è un buddha?
Un buddha non è un dio, un santo, un superuomo o un essere sovrumano.
È uno di noi.
Uno qualunque.
È semplicemente uno che ha eliminato la sofferenza.
Attenzione: non dal mondo, ma da dentro di sé.
Non soffre più.
Non s’adira.
Non odia.
Non prova gelosia, invidia, rancore.
E neppure tristezza, ansia, angoscia.
E neppure bramosia, avidità, egoismo.
Ma cosa vuol dire: che è un apatico, indifferente, senza sentimenti?
Nossignori.
I sentimenti ce li ha.
Tutti.
Ma non li esaspera.
Non li fa crescere.
Non se ne fa schiavo…
La sua mente è sempre serena, calma.
Il suo corpo è sempre rilassato.
Non ha più stress, tensione.
Vive di gioia, di allegria, d’armonia, d’amore.
E infonde intorno a sé gioia, armonia, amore, allegria, buonumore.
Perché ha conquistato la serenità.”

L’AUTORE

Giulio Cesare Giacobbe

Tu viandante dell’universo, che attraversi la vita come una meteora, non rendere vana la tua caduta nel vuoto, non giungere nulla nel nulla, ma dai senso alla tua effimera presenza in questa effimera realtà coltivando la più sublime delle realizzazioni e la meta più alta della Coscienza che rende grande la Materia: l’amore attraverso il non attaccamento.
Un buddha è dentro di te: fallo crescere fino a divenire un’altra sua incarnazione. Nell’eterno fluire dal nulla al nulla fa’ che fra un nulla e l’altro la Coscienza e l’Amore prendano il loro posto nell’evoluzione di questo universo.
Giulio Cesare Giacobbe

Introduzione

Questo manuale non tratta della religione buddhista. Esso ripropone un metodo psicologico insegnato originalmente dal Buddha. Tale insegnamento ebbe come unico interesse e obiettivo la liberazione dalla sofferenza.
Ma cosa produce la sofferenza? Una visione errata della realtà.
Il Buddha ha proposto in alternativa una visione della realtà e un comportamento capaci di darci serenità, pace, allegria, gioia, amore. In altri termini, benessere e felicità.
La sua efficacia è provata dall’enorme diffusione del buddhismo in tutto il mondo. La forma che esso ha assunto è quella di una religione, ma il suo obiettivo è psicologico: un metodo per l’eliminazione della sofferenza psichica e l’instaurazione di uno stato costante di serenità. La tradizione lo ha trasformato in una teoria (E.G. Conze conta 14 filosofie buddhiste nel mondo, tutte in contrasto tra loro). Esso invece è una pratica.
Il mio insegnamento non è una teoria né una filosofia, ma il frutto dell’esperienza. Tutto ciò che dico viene dalla mia esperienza e lo puoi verificare anche tu attraverso la tua esperienza. Le parole non descrivono la realtà: solo l’esperienza ci rivela il suo vero volto.
La pratica proposta dal Buddha consiste nel realizzare cinque poteri che ognuno di noi possiede già ma semplicemente non usa. Essi sono: il controllo della mente, la presenza nella realtà, la consapevolezza del cambiamento, il non attaccamento, l’amore universale.

Capitolo 1

Cos’é un buddha?
Un buddha non è un dio, un santo, un superuomo o un essere sovraumano. E’ uno di noi. Uno qualunque. E’ semplicemente uno che ha eliminato la sofferenza non dal mondo, ma da dentro di sé. Non soffre più. Non si adira più. Non odia. Non prova gelosia, invidia, rancore. E neppure tristezza, ansia, angoscia. E neppure bramosia, avidità, egoismo.
Ma cosa vuol dire: che è un apatico, indifferente, senza sentimenti? No. I sentimenti ce li ha. Tutti. Ma non li esaspera, non li fa crescere, non se ne fa schiavo, non li alimenta. Parlo di quelli negativi. Alimenta solo quelli positivi, che sono: serenità, pace, allegria, gioia, armonia, amore. La sua mentre e sempre serena, calma. Il suo corpo è sempre rilassato. Non ha più stress, tensione. Vive di gioia, allegria, armonia, amore e infonde intorno a sé gioia,armonia, amore, allegria e buonumore. Perché ha conquistato la serenità.Un buddha è colui che ha conquistato la serenità e la mantiene in qualunque situazione.
Ogni essere umano ha natura di buddha.
La nostra serenità non dipende dalle situazioni ma dalla nostra reazione a esse.Un stessa situazione produce reazioni diverse in persone diverse. E nella stessa persona, la medesima situazione, porta a reazioni diverse nei diversi periodi della sua vita. La reazione alle situazioni è condizionata dalla nostra esperienza, ossia dal nostro passato. Questo condizionamento, nella cultura orientale, è stato indicato come Legge del karma. Karma significa azione. La legge mostra come ogni nostra azione è condizionata dalla nostra esperienza. Quindi il presente è condizionato dal passato. Ma comporta anche che il futuro è condizionato dal presente. Quindi il futuro non sarà più condizionato in senso negativo se con consapevolezza e volontà trasformeremo le reazioni positive agli eventi un comportamento spontaneo. E così che si diventa un buddha.Poni il tuo progetto di buddhità al centro della tua vita. Essere un buddha non significa non avere affetti e relazioni, non intraprendere progetti di vita, impegni politici, sociali, professionali. Significa soltanto mantenersi sereno in ogni circostanza e amare gli altri.

Capitolo 2

Chi era il Buddha
Siddhartha Gautama Sakyamuni detto “il Buddha” (il risvegliato) è un personaggio storico.
Nasce nel 563 a.C. a Kapilavatthu, capitale del Regno dei Sakya di cui suo padre era il sovrano e dal quale prese il terzo nome, in una regione himalayana prossima all’attuale Nepal. La madre che gli diede il nome Siddhartha morì otto giorni dopo il parto e fu allevato dalla sorella di lei, Gotami, dalla quale prese il secondo nome.
Il padre per evitare l’avverarsi di una profezia lo fece crescere nella reggia senza alcun contatto con l’esterno. A vent’anni gli organizzo un matrimonio dal quale nacque un figlio: a seguito della scoperta delle sofferenze del mondo lasciò a ventidue anni famiglia, reggia, carica e partì alla ricerca della via per la liberazione dal dolore. Per cinque anni vagò nel regno alla ricerca di maestri Yogi e provò varie forme di ascesi e trance anche estrema senza trovare risposte. Si dedicò quindi all’osservazione di sè e comprese che il mondo è in continua trasformazione, che tutte le cose sono in interrelazione reciproca. (Nota: il panta rei teorizzato da Eraclito e il principio fisico dell’effetto butterfly). Vide che gli esseri viventi soffrono perchè non comprendono che partecipano della stessa natura di tutti gli esseri: l’ignoranza dà origine a un’infinità di pene, confusione, difficoltà. Avidità, ira, arroganza, dubbio, gelosia e paura affondano le radici nell’ignoranza. Imparando a calmare la mente per vedere più a fondo la vera natura delle cose, giunse alla comprensione globale che dissolve ogni ansia e ogni dolore, sostituendoli con accettazione e amore.
Vide che comprensione e amore sono un’unica cosa: senza comprensione non vi può essere amore, senza amore non vi può essere giusta azione. Vide che per sviluppare la chiara comprensione è necessario vivere in presenza mentale, in diretto contatto con la vita presente, vedendo con consapevolezza che cosa avviene realmente dentro e fuori di noi. La consapevolezza e la presenza mentale conducono alla liberazione definitiva dalla sofferenza. Trovò la grande via. Non una via intellettuale ma di esperienza, non una via teorica ma pratica. Aveva ventisette anni.
Dedico poi la vita a diffondere le sue scoperte, convertì migliaia di persone fondando comunità “Sangha” di monaci “Bhikkhu”, alle quali espose in una serie di sermoni “Sutta” la sua disciplina “Dharma”. La zia fondò un sangha femminile.
A settantadue anni, nel 491 a.C. dopo un scisma per opera del discepolo Devadatta, due attentati e una grave malattia, annunciò tre mesi prima la sua morte che avvenne come previsto nella foresta vicino al suo luogo natale. Fu cremato. Le sue ceneri furono divise in otto parti che furono poste in altrettanti monumenti funebri “stupa” nei vari regni dove operò.

Capitolo 3

L’insegnamento originale del Buddha
Dedurre l’insegnamento originale di Buddha dall’enorme letteratura buddhista
non è impresa facile. I Canoni (tradizioni) principali sono tre: Pâli, Cinese e Tibetano nelle rispettive lingue. Ad essi si aggiungono numerosissimi commenti e trattati separati, scritti in diverse lingue dai moltissimi studiosi che si sono succeduti nei secoli.
Di tutte le scritture buddhiste il Canone Pâli è il più antico e quindi il più attendibile. Assumerò quindi questo Canone come fonte principale per le citazioni.LE QUATTRO NOBILI VERITA’

“Fratelli, vi sono quattro verità: l’esistenza della sofferenza, la causa della sofferenza, l’estinzione della sofferenza e il sentiero che conduce all’estinzione della sofferenza. Le chiamo le quattro nobili verità.
Fratelli, la prima nobile verità è l’esistenza della sofferenza. Nascita, vecchiaia, malattia e morte, sono sofferenza. Tristezza, ira, invidia, timore, ansia, paura e disperazione, sono sofferenza.
L’assenza di ciò che si ama, è sofferenza. La presenza di ciò che si odia, è sofferenza.
Il desiderio è sofferenza. L’avversione è sofferenza. Questa è la prima nobile verità.
Fratelli, la seconda nobile verità è la causa della sofferenza. La causa della sofferenza è l’attaccamento. L’attaccamento, a sua volta, è causato dall’ignoranza. L’ignoranza che causa l’attaccamento è l’ignoranza della realtà, è l’ignoranza che la realtà è impermanente . L’ignoranza della realtà produce l’attaccamento perché si crede permanente ciò che è impermanente . L’attaccamento produce la tristezza, l’ira, l’invidia, il timore, l’ansia, la paura e la disperazione. Questa è la seconda nobile verità.
Fratelli, la terza nobile verità è l’estinzione della sofferenza. La sofferenza può estinguersi con l’estinzione della sua causa, cioè dell’ignoranza, e quindi dell’attaccamento. Questa è la terza nobile verità.
Fratelli, la quarta nobile verità è la via che conduce all’estinzione della sofferenza: sono gli otto nobili sentieri.
Questa è la quarta nobile verità.” (Suttapitaka, Majjhima-Nikaya, Saccavibhanga Sutta).

GLI OTTO NOBILI SENTIERI
“Fratelli, chiamo retti sentieri gli otto nobili sentieri della Retta Comprensione, del Retto Pensiero, della Retta Parola, della Retta Azione, dei Retti Mezzi di Sussistenza, del Retto Sforzo, della Retta Presenza Mentale, della Retta Concentrazione. Seguendo gli otto nobili sentieri ho raggiunto la comprensione, la liberazione e la pace.
Fratelli, perché chiamo questi sentieri i retti sentieri? Li chiamo retti perché non negano la sofferenza, ma indicano nell’esperienza diretta della sofferenza il mezzo per superarla.
Gli otto nobili sentieri sono la via della consapevolezza, fondata sulla Retta Presenza Mentale. Con la pratica della Retta Presenza Mentale si sviluppa la Retta Concentrazione, che consente di ottenere la Retta Comprensione.
Mediante la Retta Concentrazione si realizza la Retta Comprensione, il Retto Pensiero, la Retta Parola, la Retta Azione, i Retti Mezzi di sussistenza, il Retto Sforzo.
La consapevolezza che se ne sviluppa libera dai ceppi della sofferenza e dà nascita alla vera pace e alla vera gioia.” (Suttapitaka, Majjhima-Nikaya, Pasarasi Sutta).


Capitolo 4

Le quattro Nobili Verità
La sofferenza nevrotica.
L’assetto dell’Io e, quindi, l’assetto normale della persona umana, è secondo la psicologia buddhista un assetto nevrotico.
Essa si riferisce all’assetto psichico di una personalità astratta e assorbita nell’espansione simbolica dell’Io e nello sviluppo abnorme del pensiero.
da quando l’essere umano ha iniziato l’evoluzione psichica che ha fatto del pensiero la sua principale attività percettiva, il suo Io, cioè l’immagine che l’essere umano ha di se stesso, ha travalicato i limiti naturali del suo corpo. Il nostro Io si è esteso ai nostri possessi materiali, alla nostra consistenza economica, ai nostri legami affettivi, ai nostri ruoli sociali, ai nostri stati psichici, ai nostri protocolli comportamentali, alle immagini stereotipate dalla nostra cultura. In altri termini a dei simboli concettuali.
Questa è secondo la psicologia buddhista la radice della nevrosi e quindi della sofferenza umana. Essa costituisce un processo nevrotico perchè costituisce un processo di allontanamento dalla realtà, cioè dalla naturale coincidenza dell’Io con il corpo.
Nella nevrosi l’io si identifica con una serie sempre più numerosa e complessa di simboli mentali costruiti sulla base di valori sociali o culturali ma non naturali.
La sofferenza deriva da una dilatazione dello stato di vulnerabilità dell’Io, che evidentemente aumenta con l’aumentare del numero degli oggetti con cui egli si identifica.
Con l’avvento della cultura consumistica basata non soltanto sul possesso e sul prestigio sociale, come è sempre stato nella storia umana, ma anche sulla possibilità di produzione e di consumo, la situazione è certamente peggiorata.
Lo stato di buddhità è semplicemente lo stato naturale di non nevrosi.
Ciò che ci rende nevrotici non è tanto la vita concitata che facciamo quanto l’atteggiamento mentale che assumiamo nei suoi confronti: come se dal successo dipendesse davvero la nostra felicità. Questo produce in noi stress, che è l’esatto opposto della serenità. La felicità è essenzialmente serenità e quindi è la serenità il termometro della nostra felicità, non il successo. Lo stato di buddhità ci permette di realizzare proprio la serenità, senza rinunciare al successo.

Capitolo 5

La Retta ComprensioneIL PRIMO NOBILE SENTIERO
LA RETTA COMPRENSIONE
“Sorrise e levò lo sguardo a una foglia di pippala stagliata contro il cielo azzurro, la cui punta ondeggiava verso di lui come se lo chiamasse. Osservandola in profondità, Gautama vi distinse chiaramente la presenza del sole e delle stelle, perché senza sole e senza stelle quella foglia non sarebbe mai esistita.
E vide la terra, il tempo, lo spazio: tutti presenti nella foglia. In verità, in quel momento preciso, l’universo intero si manifestava nella foglia. La realtà della foglia era un miracolo stupefacente.
Vide che è l’esistenza di tutte le cose a rendere possibile l’esistenza di ciascuna cosa. L’uno contiene il tutto e il tutto è contenuto nell’uno. La foglia e il suo corpo erano una cosa sola. Nessuno dei due possedeva un sé permanente e separato, nessuno dei due poteva esistere indipendentemente dal resto dell’universo.
Vedendo la natura interdipendente di tutte le cose, Siddhartha ne vide perciò la natura vuota: tutte le cose sono vuote di un sé separato e isolato. Comprese che la chiave della liberazione sta nei due principi dell’interdipendenza e del non sé. Illuminando i fiumi delle percezioni, Siddhartha comprese che l’impermanenza e l’assenza di un sé sono le condizioni indispensabili alla vita. Senza impermanenza, senza mancanza di un sé, nulla potrebbe crescere ed evolversi. Se un chicco di riso non avesse la natura dell’impermanenza e del non sé, non potrebbe trasformarsi in una piantina. Se le nuvole non fossero prive di un sé e impermanenti , non potrebbero trasformarsi in pioggia.
Senza natura impermanente e priva di un sé, un bambino non potrebbe diventare un adulto.
Quindi accettare la vita significa accettare l’impermanenza e l’assenza di un sé.
La causa della sofferenza è la falsa nozione della permanenza di un sé separato. Vedendo ciò, Siddhartha giunse alla comprensione che non c’è nascita né morte, né creazione né distruzione, né uno né molti, né dentro né fuori, né grande né piccolo, né puro né impuro. Sono tutte false distinzioni create dall’intelletto.
Penetrando nella natura vuota delle cose, le barriere mentali vengono scavalcate e ci si libera dal ciclo della sofferenza.” (Buddhacarita, III, 22 – poema di Ashvaghosa del I sec. d.C.)La realtà è continuo cambiamento, è impermanente.Ogni cosa è condizionata da tutte le altre.Pensa anche a questa cosa bellissima: questo universo non potrebbe esistere senza di te. Infatti non sarebbe questo universo. La famosa illuminazione del Buddha altro non è che la Retta Comprensione o Conoscenza.
Noi non possiamo attaccarci a nulla.
Il non attaccamento porta alla liberazione dalla sofferenza.
In conclusione: La Retta Conoscenza (Illuminazione) consiste nella consapevolezza che le cose e le persone cambiano continuamente e sono tutte collegate fra loro e quindi nello sviluppo del non attaccamento.

Capitolo 6

Il Retto PensieroIL SECONDO NOBILE SENTIERO
IL RETTO PENSIERO
“Fratelli, praticate il Retto Pensiero. Il Retto Pensiero consiste nel pensiero in cui non c’è né confusione né distrazione, né ira né odio, né desiderio né libidine.” (Vinayapitaka, Vibhanga Sutta).
“Fratelli, il Retto Pensiero consiste nel pensiero in cui c’è l’amore universale.”
(Suttapitaka, Majjhima-Nikaya, Piyajatika Sutta).
Il Retto Pensiero è un pensiero in cui non c’è sofferenza. La sofferenza è causata da confusione, distrazione, ira, odio, desiderio, libidine. Come eliminarli?
“Fratelli, la confusione e la distrazione, l’ira e l’odio, il desiderio e la libidine si superano praticando le Quattro Contemplazioni.
Per superare la confusione e la distrazione, pratica la contemplazione del respiro: con essa la tua mente si schiarirà e la tua concentrazione diventerà potente.
Per superare l’ira e l’odio, pratica la contemplazione della compassione: essa fa luce sulle cause dell’ira e dell’odio presenti nella tua mente e in quella di coloro che li hanno suscitati in te.
Per superare il desiderio, pratica la contemplazione dell’impermanenza: essa fa luce sull’inizio e la fine di tutte le cose. Per superare la libidine, pratica la contemplazione della morte: essa fa luce sul disfacimento di tutte le cose.”
(Vinayapitaka, Vibhanga Sutta).Non è sufficiente eliminare il pensiero negativo, ma bisogna anche creare pensiero positivo. Quali sono i pensieri positivi?La gentilezza amorevole, la compassione, la gioia compartecipe e il non attaccamento sono meravigliosi e profondi stati mentali. Io li chiamo i Quattro Incommensurabili. Praticandoli diventi una sorgente di vitalità e di felicità per tutti gli esseri.Il Retto Pensiero consiste nella eliminazione del pensiero negativo e nella costruzione di pensiero positivo.

Capitolo 7

La Retta Parola, la Retta Azione, i Retti Mezzi di SussistenzaIL 3°, 4°, 5° NOBILE SENTIERO
LA RETTA PAROLA, LA RETTA AZIONE, I RETTI MEZZI DI SUSSISTENZA
“La Retta Parola, la Retta Azione e i Retti Mezzi di Sussistenza consistono nel non fare violenza a nessun essere vivente, né agli altri né a noi stessi, né con il pensiero, né con le parole, né con gli atti.” (Vinayapitaka, Mahavagga Sutta).
Costituiscono più dei precetti morali che procedimenti psicologici. Sono concretizzati nei cinque precetti.
“I miei discepoli si sforzano di vivere semplicemente e in coscienza e si impegnano ad applicare i cinque precetti che sono: non uccidere, non rubare, non fare violenza, parlare secondo verità e astenersi dall’assumere sostanze che oscurano la mente.” (Vinayapitaka, Vibhanga Sutta).Cosa sono i Retti Mezzi di Sussistenza (o Retto Modo di Vivere)?
Nient’altro che la professione che si pratica per procurarsi appunto i mezzi di sussistenza.
Da notare che non deve contravvenire ai Cinque Precetti. Non perchè fare il killer, lo spacciatore o il trafficante d’armi sia immorale, il Buddhismo non fa questioni di moralità. Ma perchè il senso di colpa, sia pure inconscio, che può derivare dall’esercizio di tali professioni è causa di sofferenza psichica ineliminabile.
E’ ovvio che il senso di colpa dipende dalla morale nella quale si è stati educati. Nel buddhismo non viè un’istanza morale di tipo kantiano dove si afferma che il bene morale è un valore di per sé. La morale ha un valore strumentale, non per questo è tuttavia meno imperativo, essendo finalizzato al benessere psichico e quindi alla sopravvivenza.Il buddhismo è quindi in definitiva portatore di una moralità che mai si era vista prima nella storia dell’umanità e che sfocierà poi compiutamente nel cristianesimo.
E’ per questo che non soltanto ha assunto spontaneamente la forma di una religione, ma è di fatto compatibile con qualsiasi religione.

Capitolo 8

Il Retto SforzoIL 6° NOBILE SENTIERO
IL RETTO SFORZO
“Fratelli, so che la vostra attenzione è imprigionata nel mondo immaginario del vostro pensiero. Fratelli, so che guardare dentro voi stessi richiede uno sforzo di volontà. Fratelli, fate lo sforzo di guardare dentro voi stessi. Concentrate la vostra attenzione sul vostro pensiero, osservate come esso nasce, cresce e muore, come esso è impermanente e come i suoi fantasmi non sono reali. Fratelli, facendo lo sforzo di guardare dentro voi stessi vi libererete dai fantasmi del vostro pensiero. Allora la vostra attenzione potrà rivolgersi alla realtà che vi circonda ed essa si rivelerà in tutta la sua bellezza e la sua gioia. Scoprirete che nella realtà non vi è sofferenza. La sofferenza è soltanto nel vostro pensiero. Fratelli, attuate il Retto Sforzo della concentrazione e dell’attenzione sulle vostre sensazioni, sulle vostre emozioni e sul vostro pensiero e realizzerete la retta concentrazione.”
(Suttapitaka, Majjhima-Nikaya, Satipatthana Sutta).Il Retto Sforzo consiste nella volontà di attuazione della Retta Concentrazione ossia dell’osservazione del proprio pensiero.

Capitolo 9

La Retta Presenza MentaleIL 7° NOBILE SENTIERO
LA RETTA PRESENZA MENTALE
“Siate bambini intelligenti e sono certo che potete comprendere e mettere in pratica quanto vi dirò. Bambini, mangiando un mandarino, potete mangiarlo con consapevolezza o distrattamente. Cosa significa mangiare un mandarino con consapevolezza? Mangiando un mandarino, sapete che lo state mangiando. Ne gustate pienamente la fragranza e la dolcezza. Bambini, cosa significa mangiare un mandarino senza consapevolezza? Mangiando un mandarino non sapete che lo state mangiando. Non ne gustate la fragranza e la dolcezza. Così facendo, non potete apprezzare la natura splendida e preziosa del mandarino. Se non siete consapevoli di mangiarlo, il mandarino non è reale. Se il mandarino non è reale, neppure chi lo mangia è reale. Ecco cosa significa mangiare un mandarino senza consapevolezza. Bambini, mangiare un mandarino con presenza mentale significa essere davvero in contatto con la realtà. La vostra mente non rincorre i pensieri riguardo allo ieri o al domani, ma dimora totalmente nel momento presente. Vivere con presenza mentale e consapevolezza vuol dire vivere nel momento presente, con il corpo e la mente che dimorano nel qui e ora.” (Suttapitaka, Majjhima-Nikaya, Satipatthana Sutta).La Retta Presenza Mentale consiste nella resenza nella realtà.

Capitolo 10

La Retta ConcentrazioneL’ 8° NOBILE SENTIERO
LA RETTA CONCENTRAZIONE
“Fratelli, praticate la Retta Concentrazione. E’ il più nobile degli otto nobili sentieri. La Retta Concentrazione consiste nella concentrazione sul pensiero. La concentrazione sul pensiero consiste nell’osservazione distaccata dei propri pensieri. Osservate con distacco i vostri pensieri come osservate con distacco il volo lontano degli uccelli nella pace della sera. Imparate dalla terra: se la si cosparge di fiori fragranti o di feci, la terra riceve ogni cosa con equanimità, senza preferenze o avversioni. Quando nasce un pensiero, piacevole o spiacevole, non fatevene intrappolare e non diventatene schiavi. Osservatelo con distacco e lasciatelo andare: esso non crescerà dentro di voi e non produrrà il frutto avvelenato della sofferenza. Se voi fate crescere i vostri pensieri, essi divengono potentissimi e si impadroniscono di voi e vi rendono schiavi. Osservando con distacco il vostro pensiero, voi scoprirete una grande insospettata verità: che il vostro pensiero non è il prodotto della vostra volontà ma è una pianta autonoma e indipendente da voi, alimentata dal vostro attaccamento, e che le sua radici affondano nella vostra paura. (Suttapitaka, Majjhima-Nikaya, Cularahulovada Sutta)La Retta Concentrazione consiste nella osservazione distaccata della mente.

Capitolo 13

Un metodo scientifico
Si può tradurre l’insegnamento originale del Buddha in un metodo scientifico?
I CINQUE POTERI DEL BUDDHA
1. CONTROLLO DELLA MENTE
2. PRESENZA NELLA REALTA’
3. CONSAPEVOLEZZA DEL CAMBIAMENTO
4. NON ATTACCAMENTO
5. AMORE UNIVERSALE

Capitolo 14

Il controllo della menteLa Retta Concentrazione è il più nobile degli Otto Nobili Sentieri.
Il controllo della mente non è un potere invocato solo dal Buddha. Esso è stato presentato come base dell’evoluzione spirituale da tutti gli iniziati, dal Buddha a Platone, a Seneca, a Sant’Agostino, a Pico della Mirandola, a Maometto, a Eckhart, a Sai Baba.
Per controllare la mente è necessario osservarla. Osservare cioè le proprie sensazioni, le proprie emozioni e – soprattutto – i propri pensieri. Perchè è il pensiero la causa delle emozioni e quindi della sofferenza.Il pensiero che produce sofferenza non è volontario.
Nessuno infatti si produce intenzionalmente della sofferenza perchè ciò va contro l’universale programma genetico di sopravvivenza.
Ma come avviene che noi produciamo pensiero involontario? Perchè lo produce automaticamente la nostra memoria (inconscio).
Il pensiero involontario è la manifestazione della tensione derivante da traumi (aggressioni, ansie, paure, perdite, insuccessi, insicurezze, ecc.) registrati nella nostra memoria.
La tensione è proprio “tensione elettrica” che permane nei circuiti neuronali del cervello e produce pensiero in quanto suo naturale processo di scarica.
Il pensiero che ci da sofferenza è il prodotto automatico della tensione registrata nella nostra memoriaI pensieri si riproducono.
I pensieri sono come semi che producono piante. Nella tradizione yogica il pensiero è appunto definito “seme” (bija) in quanto produce altri pensieri. Queste piante velenose costituiscono la nostra sofferenza.
Il controllo della mente consiste nel controllo del pensiero.
L’operazione da fare, in definitiva, è sostituire i pensieri involontari negativi con pensieri volontari positivi. Per la tradizione orientale sono negativi i pensieri che portano a separazione (diffidenza, sospetto, antipatia, rancore, odio, ecc.) e positivi tutti quelli che portano a unione (fiducia, accettazione, simpatia, benevolenza, amore, ecc.).
Si tratta di operare un’igiene mentale tramite la quale si deve sostituire:
– agitazione con concentrazione sul respiro
– antipatia con gentilezza
– crudeltà e odio con compassione
– ira con amore
– attaccamento con riflessioni sull’impermanenza
– libidine con riflessioni sulla fine di tutte le cose
Da evidenziare che il ricorso alle Quattro Contemplazioni e ai Quattro Incommensurabili proposto dal Retto Pensiero è una risorsa estrema da utilizzare nel caso di sofferenze molto forti. La pratica normale è la Retta Concentrazione, ossia l’osservazione distaccata del pensiero.
Osserva con distacco i tuoi pensieri come osservi con distacco il volo lontano degli uccelli nella pace della sera.
L’osservazione distaccata del pensiero lo neutralizza: gli toglie la carica emotiva e quindi spezza la catena del suo autorafforzamento nella memoria e quindi la sua forza di riproduzione.
Come avviene la neutralizzazione dei pensieri negativi?
Attraverso un atto di disidentificazione.
Legge psicologica (Assangioli): Noi siamo dominati da tutto quello con cui ci identifichiamo e dominiamo tutto quello da cui ci disidentifichiamo.
Quando siamo invasi dai pensieri che ci danno sofferenza noi normalmente li assumiamo come opera nostra: ci crediamo noi gli autori, ci identifichiamo con essi e li assumiamo per veri. L’Io, identificandosi con il pensiero e con l’emozione che ne consegue, gli cede la sua energia… che costituisce la nostra energia psichica e quindi la nostra stessa energia vitale. Questo fa si che quel pensiero si incidano profondamente nella nostra memoria e si ripropongano con insistenza per molto tempo a venire.
Ma ciò è nevrotico, poichè noi non siamo gli autori volontari di quel pensiero: esso è prodotto automaticamente dalla nostra memoria sulla spinta dell’emozione che è stata registrata in essa nel passato. L’identificazione del nostro Io con quel pensiero fa sì che, per la legge psicologica indicata sopra, noi ne siamo dominati.Se, diversamente, spostiamo la nostra attenzione dagli oggetti esterni ai nostri pensieri, modifichiamo la nostra dinamica mentale. Diveniamo un osservatore esterno che prende semplicemente atto della presenza di quel pensiero. Questo raffredda, per così dire, il pensiero o la paura e gli impedisce di registrarsi nella memoria, non rafforzando quel pensiero e non favorendo la sua riproduzione in futuro. In questo modo il pensiero negativo, carico di sofferenza, viene neutralizzato. In termini scientifici il nostro centro di identificazione, l’Io, si sposta dal pensiero all’osservatore. Questa funzione del nostro cervello è nota con il nome di Coscienza.
L’osservatore non è il pensiero. Quindi non è coinvolto nella tensione che è presente nel pensiero. E poichè l’Io è il motore dell’energia tensiva che costituisce l’emozione, questa viene ridotta. Nello stato di coscienza l’Io diviene osservatore del pensiero tensivo presente nel cosciente ma prodotto dall’inconscio.La coscienza è stata oggetto precipuo di interesse della religione cristiana per secoli: secondo la teologia cattolica è proprio l’attivazione della coscienza a dare luogo al libero arbitrio capace di attuare la nostra umanità e rivelare la nostra origine divina.. In epoca moderna ha interessato anche la psicologia (Bucke, Ouspensky, Hall, Maslow, Assangioli, ecc.) e attualmente interessa le neuroscienze. Non possiamo non meravigliarci quando consideriamo che la coscienza è praticamente un cervello che vede se stesso durante il proprio funzionamento. E’ come se la coscienza, che è la funzione con la quale più compiutamente può identificarsi l’Io, fosse la sede naturale dell’energia psichica: finché la coscienza è immersa nella mente e quindi noi ci identifichiamo con i nostri pensieri e le nostre emozioni, questi si manifestano in tutta la loro forza e ci travolgono rendendocene schiavi. Quando invece la coscienza si distacca dalla mente e ne esce diventandone l’osservatore esterno ad essa, sembra portare con sé quella stessa energia e toglierla ai pensieri e alle emozioni che, rimanendone privi, lentamente scemano sino ad arrestarsi del tutto.La coscienza costituisce una vera a propria funzione cerebrale particolare peculiare dell’essere umano, la quale però si attiva spontaneamente solo in casi eccezionali, come incidenti gravi, situazioni di pericolo, in guerra, durante ascensioni alpinistiche, ecc. quando è tipica la visione della propria vita che scorre come in un film. Ti ritrovi a guardarti dall’esterno e ti ritrovi ad agire come se fossi un altro.
Per attuare l’auto-osservazione del pensiero occorre diventare il Nobile Distaccato Osservatore.
Un buddha osserva sempre con distacco i propri pensieri ed è sempre consapevole del loro automatismo.
La mente non è altro che uno dei tanti organi del corpo.
La mente può essere manipolata, allenata, rafforzata e comandata come qualsiasi altro organo del corpo. E una questione di esercizio e di tempo.Trucchi:
Primo è cercare di smettere di pensare. Non ci riuscirai maotterrai il grande risultato di guardare dentro la tua mente.
Secondo è osservare la tua mente con i sensi: la vista, l’udito. Il pensiero si manifesta sotto forma di immagini e – soprattutto – discorsi.
La consapevolezza dell’automatismo del pensiero va attuata sistematicamente. Applicandosi con costanza in pochi giorni i pensieri negativi perderanno la loro forza e ti ritroverai con la mente più sgombra. Ancora attraversata da pensieri automatici, che non casseranno mai nella tua vita, ma privi di virulenza e quindi meno atti ad avvilirti, deprimerti, farti soffrire.
Praticando l’osservazione distacca del pensiero, i pensieri vani cesseranno e voi dimorerete nella pura coscienza.
La coscienza distaccata del pensiero, se praticata costantemente, conduce alla liberazione.
Fratelli, prima di imparare a osservare con distacco li pensiero, dovete imparare a osservare e a calmare il vostro respiro, il vostro corpo e le vostre emozioni. Quando avrete calmato il vostro respiro, il vostro corpo e le vostre emozioni, praticate con continuità l’osservazione distaccata del pensiero.
La coscienza distaccata del pensiero, insieme con l’osservazione consapevole del respiro, rafforza la concentrazione.
In particolare, osservate le vostre emozioni. Le emozioni sono la materia stessa della vostra sofferenza. Esse hanno origine dal pensiero. Vedendo le origini delle emozioni nel pensiero, ne comprenderete la natura impermanente. Vedrete come le emozioni nascono e muoiono, come il pensiero e come tutti i fenomeni mentali e materiali. Vedendo che le emozioni sono impermanenti, a poco a poco resterete equanimi di fronte al loro nascere e al loro morire. La maggior parte delle emozioni scaturisce dal pensiero erroneo, il quale considera permanente ciò che è impermanente. Sradicando le visioni erronee, la sofferenza cessa.
Quando avrete imparato a praticare la coscienza del respiro e del pensiero, otterrete facilmente il vuoto mentale.
Il vuoto mentale è la condizione naturale della mente, così come il riposo è la condizione naturale del corpo.”
(Suttapitaka, Majjhima-Nikaya, Cularahulovada Sutta).
La mente non è una struttura o una funzione separata dal corpo e quindi non puoi calmare la tua mente senza calmare anche il tuo corpo. La Vipassana, la tecnica di meditazione tradizionale buddhista, evidenzia le interelazioni tra corpo e mente tramite il respiro. La pratica della concentrazione sul respiro è molto potente, con essa si narra che il Buddha raggiunse l’illuminazione. E’ facile, concentrandosi sul respiro, raggiungere addirittura il vuoto mentale.
Un buddha vive tendenzialmente nel vuoto mentale.
Nota bene però che il vuoto mentale non deve essere ricercato ossessivamente, poichè genererebbe tensione invece di eliminarla. Inoltre il vuoto non può e non deve essere mantenuto sempre… da una parte il pensiero involontario è ineliminabile, dall’altra perchè pensare ci serve per risolvere problemi pratici. Questa è la funzione biologica del pensiero: risolvere problemi pratici mediante la simulazione delle possibili soluzioni.
Lo stato di buddhità consiste in uno stato mentale in cui il pensiero è usato volontariamente ed è limitato alla soluzione di problemi pratici. Quando travalica questa finalità naturale e si produce automaticamente a causa di una spinta nevrotica è contenuto e attenuato perchè la coscienza, l’Io, rimane al suo esterno nella posizione del Nobile Distaccato Osservatore.
Praticare la concentrazione sul respirto non richiede particolari condizioni né di tempo né di luogo: è sufficiente fare otto respiri profondi utilizzando tutti i polmoni e calmare il respiro. E’ meglio fare brevi sessioni frequenti piuttosto che poche lunghe sessioni di calma del respiro.
Quindi riassumendo:
1. Calmo il respiro;
2. Utilizzando il respiro calmo il corpo;
3. Continuando a tenere calmo il respiro osservo con distacco pensieri e osservazioni che si presentano nella mia mente;
4. Sono consapevole che i miei pensieri sono prodotti dal mio inconscio;
5. Nel caso di pensieri invadenti, ne prendo coscienza e sviluppo nella mia mente il pensiero-emozione positivo antagonista.
Se vuoi puoi aiutarti a respirare recitando un Mantra: una qualsiasi parola o frase ripetuta con continuità. Una preghiera ad esempio è un mantra. L’uso dei mantra è importante: ha un influsso sull’inconscio, registra nell’inconscio una suggestione che produce automaticamente pensieri, emozioni, comportamenti. Cioè ti trasforma.
Inoltre dà altri due risultati: impedisce la produzione automatica di pensieri negativi e ti da il pieno controllo della mente (e del corpo se lo reciti insieme al respiro).
Recitalo sempre mentalmente e non confidare a nessuno questa tua pratica, per non disperdere l’energia della tua trasformazione.

Capitolo 15

La presenza nella realtàUna volta attenuato il pensiero o addirittura svuotata la mente ti riuscirà spontaneo rivolgere la tua attenzione alla realtà.
La realtà è l’ambiente che ti circonda (*) .
La tua realtà è l’ambiente che ti circonda e che tu percepisci con i tuoi sensi.Ho già detto in un altro mio libro che esistono due mondi: il mondo della mente e il mondo della realtà. Il mondo della mente è reale, il mondo della mente non è reale.
Degli oggetti presenti nella nostra coscienza, infatti, alcuni appartengono alla realtà che ci circonda, altri alla nostra mente, cioè alla nostra memoria. Noi tendiamo a crederli entrambi reali, ma non è così. L’attribuzione di realtà agli oggetti della nostra mente è precisamente la causa tecnica della nostra sofferenza psichica. Non soffriamo a causa dei fantasmi della nostra mente.I fantasmi del vostro pensiero non sono reali. Essi sono generati dal vostro attaccamento, e quindi dal vostro desiderio, dal vostro odio, dalla vostra ira, dalla vostra paura. Fratelli, i fantasmi del vostro pensiero sono generati da voi stessi.Lo stato di buddhità comporta la consapevolezza della distinzione fra mondo della mente e mondo della realtà. Questa consapevolezza deve diventare permanente.
Fratelli, private i vostri fantasmi immaginari del vostro consenso ed essi svaniranno.
La realizzazione del secondo potere della buddhità, la presenza nella realtà, non nega la potenza e la bellezza delle creazioni della mente cui siamo affezionati. Ma offre semplicemente una via di uscita dalla sofferenza generata dalla stessa mente.
Non puoi sconfiggere i fantasmi della tua mente rimanendo nella mente. Devi uscire dalla tua mente ed entrare nella realtà. Nella realtà non c’è mai sofferenza. E’ difficile da credere ma è così. Tu credi che sia la realtà la causa della tua sofferenza e quindi attribuisci la tua sofferenza alla realtà stessa. Ma la sofferenza non è un oggetto che si possa rinvenire nella realtà. E’ uno stato psicologico.
Un famoso koan Zen recita: Mostrami la mano nella quale tieni la tua sofferenza.
La presenza nella realtà è l’esperienza zen: per questa ragione non può essere descritta a parole ma soltanto vissuta. La presenza nella realtà non ha bisogno di spiegazioni ulteriori percè non è una cognizione intellettuale ma un’esperienza.
La pratica cui devi applicarti per realizzare la presenza nella realtà è la seguente:
1. Calmo il respiro, rilasso il corpo, osservo con distacco i pensieri;
2. Esco dalla mente e osservo l’ambiente che mi circonda;
3. Compio delle azioni qualsiasi (interazioni con la realtà);
4. Rimango nella realtà.
Se vuoi puoi aiutarti a respirare recitando un Mantra.
(*) Anche lo Zen percorre la via dell’attenuazione del pensiero prima di attuare la concentrazione esclusiva dell’attenzione sulla realtà: il koan – un enigma assurdo che il maestro propone al discepolo – non ha infatti altro scopo che convincere l’adepto dell’inutilità del pensiero e indurlo quindi a rivolgere la propria attenzione alla realtà.
Lo Zen non è nato in Giappone, ma in Cina nel VI sec. d.C. dove prese il nome di Chan (dal sanscrito Dhyan, contemplazione, una fase dello yoga). Fu poi esportato in Giappone nel XIII sec. dove prese appunto il nome di Zen.

Capitolo 16

La consapevolezza del cambiamento ovvero l’IlluminazioneLa realizzazione del secondo potere, la presenza nella realtà, permette la realizzazione del terzo potere della buddhità, la consapevolezza del cambiamento.Tutto è in continua trasformazione.
Questa grande scoperta costituisce la famosa illuminazione.
Essa è accompagnata da un’altra scoperta: che le cose dell’universo sono tutte dipendenti fra loro. Ce lo dice anche la nostra scienza fisica.L’illuminazione consiste nella costante consapevolezza del continuo cambiamento della realtà.
L’illuminato non è semplicemente uno che ha scoperto che nella realtà tutto è soggetto a continuo cambiamento, ma uno che, una volta acquisita, non perde mai questa consapevolezza.
La scoperta deve essere introiettata a livello psichico profondo, ossia a livello inconscio, e ciò non può avvenire a seguito di un semplice ragionamento. Essa deve essere acquisita mediante un atto che comporti anche uno stato emozionale, poichè l’inconscio, ossia la memoria, memorizza in modo favorevole alla riproduzione, e quindi in modo condizionante la percezione cosciente, soltanto le esperienze accompagnate da uno stato emozionale. Ecco perchè solo un’esperienza personale può permettere questa acquisizione.
Un perdita, ad esempio, può diventare l’occasione per questa esperienza che diviene per noi una scoperta carica di emozione, perchè demolisce la nostra convinzione che la realtà sia costituita di cose, di persone, di oggetti, eterni, che non vengono mai meno.
Così l’esperienza diviene per noi, come lo fu per il Buddha, un’illuminazione.
Perchè ciò avvenga occorre richiamare alla mente il più frequentemente possibile, attraverso l’osservazione della realtà dentro di noi (intrapsichica) e fuori di noi (extrapsichica), la consapevolezza del continuo cambiamento.La perdita diventa così un argomento su cui dobbiamo meditare frequentemente.
La perdita è un leitmotiv del buddhismo, ma non con connotazioni tragiche o pessimiste, bensì per esaltare l’importanza e la sacralità della vita, che in tal modo viene più apprezzata e goduta. Anche gli antichi romani tenevano nei banchetti uno scheletro simbolico per ricordare la caducità della vita “memento mori”.
La realtà, e la vita, è come un film, che consiste nell’azione risultante dalla proiezione continua dei suoi fotogrammi e non nei suoi fotogrammi singoli. La vita è un film, non una fotografia. La vita è dinamica, non statica. Ma nella nostra mente ci sono delle fotografie e noi scambiamo quelle fotografie per la vita.
Perchè?
Perchè la nostra personalità infantile, che ci portiamo sempre dietro e che è pronta a balzare in primo piano a ogni crisi esistenziale (malattia, perdita, insuccesso, …), e che alcuni non superano e non abbandonano mai, è incapace di affrontare il cambiamento perchè è incapace di dominare la realtà. Quindi noi ci creiamo un’illusione di sicurezza ritagliando dei fotogrammi dal film della nostra vita e attribuendo loro un valore di realtà.
Ecco che allora vivere l’illuminazione buddhista diventa anche crescere psicologicamente, passare dalla personalità infantile a quella adulta e divenire capaci di affrontare l’incertezza insita nella trasformazione continua della realtà.
L’illuminazione comporta una crescita psicologica dalla personalità infantile a quella adulta.
La pratica cui devi applicarti per realizzare l’Illuminazione è la seguente:
1. Calmo il respiro, rilasso il corpo, osservo con distacco i pensieri;
2. Esco dalla mente e osservo l’ambiente che mi circonda;
3. Osservo il cambiamento continuo che avviene dentro di me e fuori di me.
4. Sono consapevole della precarietà di ogni cosa.
Se vuoi puoi aiutarti a respirare recitando un Mantra.

Capitolo 17

Il non attaccamentoLa scoperta del continuo cambiamento della realtà ha su di noi una capitale conseguenza. Noi diventiamo consapevoli che non c’è niente di fisso a cui possiamo attaccarci.
ecco quindi che si sviluppa spontaneamente in noi il quarto potere della buddhità: il non attaccamento. E’ il passo più difficile da compiere, ma è anche il più importante.
Esso costituisce un effettivo e definitivo passaggio dalla personalità infantile alla personalità adulta. Costituisce un abbandono definitivo e totale del bisogno di protezione, di punti di riferimento, di sicurezza. Non c’ sicurezza infatti nel mondo reale, proprio perchè il mondo reale è in continuo cambiamento.E’ terribile, perchè ci si sente soli e abbandonati. Ma solo per colui che non può fare a meno di punti di riferimento e di sicurezze, che ha bisogno di assistenza e protezione. Cioè per il bambino. Per l’adulto no. L’adulto ha raggiunto la capacità di badare a se stesso, senza bisogno di assistenza e protezione, né di punti di riferimento, né di sicurezze. Egli ha in se stesso il suo punto di riferimento e la sua sicurezza perchè è centrato in se stesso. Per questo egli è capace di andare oltre e diventare genitore.
Perchè il non attaccamento gli fa superare anche l’egoismo personale dell’adulto. Egli non pretende più nulla dagli altri, non si aspetta più nulla dagli altri.Un buddha non ha aspettative: accetta e gode ciò che c’è.
La tradizione lo ha chiamato per questo Tathata: ciò che è.Le aspettative sono infatti la causa principale della nostra sofferenza.
Ma chiariamo che in non attaccamento non significa non amore, non mi sta a cuore, non m’importa, indifferenza.
Il non attaccamento è non pretesa di possesso.
Perchè l’attaccamento di cui si parla non è attaccamento all’altro ma a se. E’ l’attaccamento all’Ego.
Ma come fare per liberarci dell’attaccamento?
La prima cosa da fare è prenderne coscienza.
Diventa cosciente dei tuoi attaccamenti. Essi si dividono in due grandi categorie: i possessi affettivi e gli attaccamenti materiali. Dai possessi affetti puoi liberarti considerando la loro precarietà. O meglio, la precarietà della presenza di quella persona nella tua vita.
La consapevolezza della precarietà di ogni cosa ti permette la conquista del potere del non attaccamento.
Sulla precarietà di ogni cosa devi meditare frequentemente.
Della precarietà di ogni cosa devi essere consapevole sempre.
Diventa cosciente della precarietà dell’esistenza e quindi della precarietà della presenza nella tua vita delle persone oggetto del tuo possesso affettivo. Pretendere la presenza di qualcuno non significa amarlo. In realtà significa voler essere amati da lui. Dietro questo falso amore c’è infatti un bisogno e quindi una pretesa.
Ma il bisogno non è un piacere, è sofferenza, in quanto a perenne rischio di non essere appagato.
La filosofia del Buddha è il piacere, non la sofferenza: è proprio contro la sofferenza che conduce la sua battaglia. Per questo predica l’amore. Perchè l’amore è gioia, è piacere.
Amare è godere dell’esistenza dell’altro, indipendentemente dalla sua presenza. Non forse così l’amore per Dio?
Non ti chiedo di abbandonare le persone che ami. Ti chiedo soltanto di diventare libero di goderti la persona che ami quando ci sono e di goderti qualcos’altro quando non ci sono.Di diventare libero di pretese nei loro confronti e capace di goderti la tua disponibilità per loro. Perchè essere disponibili, darsi, è un piacere.
Degli attaccamenti materiali puoi liberarti considerando la tua capacità di farne a meno. Incomincia da un piccolo attaccamento. Non con i vizietti come fumo, alcool, etc. che non sono piccoli, ma sono i più grandi che hai perchè sono tettarelle.
Le tettarelle del bambino. E la tua personalità di bambino, non avendo una mamma a cui succhiare i capezzoli, si succhia sigarette, cioccolatini, whisky, etc.
Prendi un piccolo attaccamento come guardare la tua trasmissione preferita e comincia a pensare cosa sarebbe della tua vita se questa trasmissione fosse eliminata dal palinsesto. Scoprirai che non accadrebbe nulla di particolarmente traumatico: faresti a meno di vederla e basta. Tutto qui.
Non devi naturalmente smetterla di guardarla. Un buddha non è un masochista. Devi semplicemente diventare capace di farne a meno. Cioè diventare libero di vederla o non vederla. Questo è l’eliminazione degli attaccamenti materiali.
Quando ti sarai liberato degli attaccamenti coprirai una cosa meravigliosa: che la consapevolezza della precarietà della vita e di tutte le cose ti fa apprezzare mille volte più di prima la loro unicità, la loro bellezza. Ogni attimo è unico e irripetibile e tu ne diventerai consapevole. E allora assaporerai con incredibile piacere ogni cosa, ogni persona, ogni situazione, per quanto fastidiose, per quanto disgustose siano.
Anzi è qui la grandezza della buddhità: non vedrai neppure più il fastidioso, il disgustoso, il brutto, il cattivo. Perchè ogni cosa, vista nella sua precarietà, nella sua unicità, è meravigliosa per il solo fatto di esistere.
Se ti sarai liberato dagli attaccamenti saprai apprezzare ogni persona, saprai amarla. Saprai goderla quando c’è. Senza pretendere che ci sia quando non c’è. E senza pretendere che sia diversa da com’è. Cioè senza attaccamento.
L’attaccamento è desiderio di ciò che non c’è.
Il non attaccamento è non pretendere ciò che non c’è ma apprezzare e godere ciò che c’è.
Prova a fare questo salto e la tua vita cambierà.
La pratica cui devi applicarti per realizzare il non attaccamento è la seguente:
1. Calmo il respiro, rilasso il corpo, osservo con distacco i pensieri;
2. Esco dalla mente e osservo l’ambiente che mi circonda;
3. Sono consapevole della precarietà di ogni cosa;
4. Faccio crescere dentro di me il non attaccamento.
Se vuoi puoi aiutarti a respirare recitando un Mantra.

Capitolo 18

L’amore universale
Se ti fermassi alla realizzazione dei quattro poteri precedenti non saresti ancora un buddha.
Saresti un individuo autocentrato, autosufficiente, capace di bastare a se stesso e di godere di ogni situazione ma sostanzialmente isolato dagli altri, privo di quella capacità di comunicazione con gli altri esseri viventi e con l’intero universo che fa di noi umani esseri autocoscienti e capaci di amare.
Avresti sviluppato la tua personalità adulta, avresti imparato ad affrontare da solo la precarietà e l’insicurezza della vita, avresti sviluppato anche la tua personalità genitoriale, quella che ti rende capace di accettare gli altri come sono e di apprezzarne comunque la bellezza e l’unicità. E magari di aiutarli.
Ma non saresti un buddha.
Perchè non avresti realizzato quella serenità che abbiamo visto essere la caratteristica fondamentale di un buddha. Ed essa si realizza soltanto con l’amore universale.Soltanto con l’amore universale, la vita si colma di pace e di gioia.Non si può amare l’intero universo se prima non si è imparato a controllare la mente, a essere presenti nella realtà, a vedere il cambiamento, a lasciare gli attaccamenti.
L’amore universale si può nutrire soltanto con la mente libera dalla paura, con un contatto con la realtà, con la liberazione dai bisogni egoistici.
Essi sono impedimenti, confini, condizioni negative.
L’amore universale non ha confini, ne condizioni, ne termine.L’amore universale è essere in contatto con l’universo, è diventare l’intero universo.
Cosa penseresti di una goccia dell’oceano che nell’attimo in cui si libra nell’aria sopra l’oceano credesse di esistere come essere separato dall’oceano a cui appartiene?
Che è una pazza!
E’ esattamente quello che fai tu tutte le volte che ti senti solo, che credi di essere separato dagli altri, dall’universo cui appartieni.
Proprio questo ha scoperto il Buddha con l’illuminazione: che noi altro non siamo che cellule di un universo eterno, infinito, in continua trasformazione. E questo stesso hanno sperimentato i mistici di tutti i tempi e di tutte le culture: hanno vissuto la consapevolezza dell’appartenenza, della comunione con la totalità, che essi hanno identificato con la divinità.
Ma come sviluppare dentro di te l’amore universale?
Tramite la compassione.
Nell’amore universale vi è compassione e dedizione.
Compassione e dedizione hanno come fine la felicità di tutti e non pretendono nulla in cambio.
La compassione è la pianta da cui sboccia il fiore dell’amore.
Perchè proviamo naturalmente amore per tutti i cuccioli?
Perchè con la loro debolezza, impotenza, incapacità di nutrirsi, di difendersi, di sopravvivere, suscitano la nostra compassione.
Compassione significa provare la stessa “passione”, cioè la stessa sofferenza.
Quindi fare propria, capire, la sofferenza altrui.
E’ la comprensione a permettere la comprensione.
Siddharta stesso vide che comprensione e amore sono un’unica cosa: senza comprensione non vi può essere amore.
Comprensione significa conoscenza.
Conoscenza della storia, della vita, della sofferenza dell’altro.
Se tu ti interessi alla storia, alla vita, alla sofferenza dell’altro, non puoi fare a meno di provare compassione per la sua sofferenza.
E provare compassione per la sua sofferenza significa diventare lui.
Infatti la compassione che provi per lui è la compassione che provi per te stesso.
E’ da te stesso dunque che inizia il tuo viaggio verso l’amore universale.
Non si tratta di autocommiserazione, di vittimismo, ma di onesta compassione per le sofferenze di quel bambino, di quel giovane, di quell’uomo che tu sei stato e che sei.
Se tu sei capace di compassione, di accettazione, di perdono, di stima per il bambino, il giovane, l’uomo che sei stato e che sei, tu sei capace di amare te stesso: il primo passo per imparare ad amare gli altri.
Quando avrai imparato ad accettarti, a perdonarti, ad avere compassione per le tue sofferenze, per le tue illusioni, per le tue passioni, per i tuoi sogni, per le tue delusioni, per le tue sconfitte, per le tue ferite, avrai imparato ad amarti. E potrai amare gli altri.
Questo in fondo è l’amore: vedere noi stessi nell’altro.
Infatti non vi è alcuna differenza sostanziale fra noi e gli altri esseri viventi: entrambi partecipiamo della nostra appartenenza all’universo, entrambi partecipiamo dell’esperienza della sofferenza.
La considerazione della sofferenza di tutti gli esseri induce alla compassione per tutti gli esseri e la compassione altro non è che amore.
Se tu hai davvero superato il tuo attaccamento ai tuoi congiunti, ai tuoi amici, a quei pochi esseri viventi dai quali fai dipendere la tua felicità, allora sei libero di amare ogni essere vivente dell’universo.
Perchè, adesso lo puoi capire, il tuo attaccamento, il tuo possesso affettivo per quei pochi esseri viventi non era vero amore, ma bisogno di essere amato da loro.
L’amore non porta con se alcun bisogno: non ti aspetti nulla da coloro che ami, non ti importa se sono consapevoli o no del tuo amore, non ti aspetti riconoscenza, non ti aspetti che ti restituiscano il tuo amore. L’amore è accettazione incondizionata.
Questa accettazione incondizionata è il fiore che nasce da una pianta con due radici: il non attaccamento e la compassione.
L’amore universale, come ogni altro sentimento, si sviluppa attraverso l’esperienza ripetuta di esso.
Sviluppare l’amore universale significa sviluppare la quarta personalità di cui noi esseri umani siamo capaci: significa andare oltre la nostra naturale animalità, oltre le tre personalità naturali del bambino, dell’adulto e del genitore per diventare un buddha… l’apice dell’evoluzione psicologica dell’essere umano.
La pratica cui devi applicarti per sviluppare entro di te l’amore universale è la seguente:
1. Sono consapevole di appartenere all’universo;
2. Considero la sofferenza di tutti gli esseri;
3. Provo compassione per tutti gli esseri;
4. Faccio crescere il mio amore per tutti gli esseri.
Se vuoi puoi aiutarti a respirare recitando un Mantra.

Capitolo 19

Il mantenimento dello stato di buddhitàAdesso tu sei un buddha, anche se la tua buddhità è soltanto iniziale e va rafforzata e ampliata fino a farla divenire la tua vera natura.
Occorre quindi una pratica di radicalizzazione dello stato di buddhità.ESERCIZIO DEFINITIVO
1. Calmo il respiro, rilasso il corpo, osservo con distacco i pensieri;
2. Esco dalla mente e osservo l’ambiente che mi circonda;
3. Sono consapevole della precarietà di ogni cosa;
4. Mi libero da ogni attaccamento;
5. Faccio crescere il mio amore per tutti gli esseri.Questo esercizio coincide sostanzialmente con la Vipassana, la meditazione tradizionale buddhista (ne è una versione semplificata poichè la versione tradizionale conta sedici fasi) e ti mette in contatto con i tuoi cinque poteri. Con la pratica richiederà solo pochi minuti e poi, dopo un periodo che varia da persona a persona, potrai farne anche a meno. Tu sarai diventato allora davvero un buddha.Ma perchè ciò avvenga devi capire alcune cose.
La prima cosa è che la tua serenità deve essere messa al di sopra di qualsiasi cosa.
Non credere che questo sia un atteggiamento egoistico: tu non puoi aiutare nessuno se non conservi la tua serenità. E’ come se su un aereo in quota mancasse l’ossigeno: non puoi aiutare i bambini a mettere la mascherina se prima non l’hai messa tu.
La seconda cosa è che la sofferenza ha tre cause immediate che derivano tutte dall’attaccamento: le aspettative, le paure, i sensi di colpa.
Ma sono tutte e tre infondate.
Le aspettative sono una pretesa che la realtà sia come la vogliamo noi ed è evidente che ciò non possa avvenire necessariamente e sistematicamente. Non è colpa degli altri se le nostre aspettative vengono deluse. Gli altri hanno il diritto di essere come sono indipendentemente dalle nostre aspettative. Semplicemente dobbiamo smettere di farcele.
Le paure sono sempre paure di qualcosa che non c’è. La quasi totalità delle paure sono paure immaginarie, infondate e quindi nevrotiche.
I sensi di colpa sono assolutamente privi di fondamento. La colpa esiste solo se tu compi il male sapendo che è male e con la precisa intenzione di compierlo. Ma solo un pazzo può fare una cosa del genere. Una persona normale non lo fa mai. Quindi quando tu dai agli altri la colpa della tua sofferenza compi un errore fondamentale: non sono gli altri che creano la tua sofferenza ma la tua reazione alle loro azioni.
Terzo sii cosciente che la sofferenza è necessaria per crescere in consapevolezza. La sofferenza va rispettata.
Si deve rispettare la sofferenza di ciascuno come occasione per crescere in consapevolezza, questo è l’atteggiamento del Buddha. Il voler togliere la sofferenza agli altri a tutti i costi o il farsi carico della sofferenza degli altri è nevrotico.
Specialmente quando non si è in grado di togliere la propria.
Pensa prima di tutto a togliere la tua sofferenza, soltanto così potrai pensare a togliere quella degli altri. Ma soltanto se chiedono aiuto. Non diventare schiavo del complesso del boy scout: quello che obbliga ad attraversare la strada la vecchietta che non voleva attraversarla!
Se qualcuno chiede aiuto, daglielo. Anzi dedica la tua vita ad aiutare coloro che chiedono aiuto. Questa è la pratica dell’amore universale, che se rimane solo contemplazione è sterile. Ma dai il tuo aiuto secondo le loro richieste, non secondo le tue opinioni. Lascia che siano loro a dirti di cosa hanno bisogno, non dirglielo tu.
Quelli che si fanno in quattro per dare agli altri ciò che loro ritengono sia un loro bene senza consultarli non sono degli esponenti dell’amore universale ma del colonialismo affettivo e culturale. E si sentono molto buoni per questo.
Commiato
Tu adesso hai messo in moto la ruota del tuo Karma.
Essa porterà a compimento la tua evoluzione spirituale.
Diventare un buddha, lottare per diventarlo e per rimanerlo, dà un senso e uno scopo alla vita. Pochi riescono a farlo e tu sei uno di quei pochi.
Nella tua via verso la buddhità ti sono accanto con la loro potenza e la loro energia tutti i buddha che ti hanno preceduto. Tua è la loro forza, tua è la loro consapevolezza, tuo è il loro amore.