Da una parte all’altra per casa, lavoro, divertimenti. Con l’alta velocità arriva il “nuovo cittadino”
Il 13 dicembre 2009, con le nuove Frecce Rosse, nasce per davvero MiTo, la megalopoli prossima ventura. E il mitorinese, mutante urbano dal radioso futuro, aspetta il giorno della riscossa. «E’ deciso, quando arriva il potenziamento dell’Alta Velocità disdico l’appartamento di Milano e torno a casa»,esulta Nicola, dirigente editoriale che da mesi divide la sua complessa esistenza, quattro notti di là e tre di qua, fra un alloggio di via Vanchiglia (a TO) e un pied-à-terre zona Corsico-Navigli (a MI). Gli resta una missione: fungere da uomo sandwich delle molte virtù torinesi presso i suoi colleghi lombardi, e magari convincerli a trasferirsi, «perché mi pare che farsi 45 minuti di treno e venire ad abitare in una città che è più verde, più gentile con i bambini, meno cara e meno frenetica sia meglio che spararsi 50 minuti di metropolitana o un’ora e un quarto di macchina per vivere in un dormitorio dell’hinterland». Torino gli manca, certo, perché è lì che stanno la moglie e i due figli di cinque e otto anni, e perché «sarà un paesone, però è anche un bel bozzolo caldo che ti protegge». Ma visto che ha imparato ad apprezzare quello che ha conosciuto di Milano, Nicola spera che i Freccia Rossa soppiantino a poco a poco gli interregionali anche in fasce orarie serali, e che da Torino si possa venire a Milano «non solo per affari, ma anche per una cena o un concerto alla Scala, e poi si torni comodamente a dormire a casa». E poi l’arte contemporanea: come sintetizza Diego Perrone, astigiano, che vive a Milano e che a Torino ha appena allestito una mostra, «le due città si compensano perfettamente, perché le gallerie di Milano sono ancora preminenti ma a Torino c’è un polo museale di prim’ordine».
Già, quel che sta succedendo fra Lombardia e Piemonte son prove tecniche di una megalopoli, i cui confini più larghi corrispondono, nelle parole di Stefano Mirti, architetto e direttore della scuola di design di NABA, «a Torino, Lugano, Brescia e Bologna: una conurbazione in cui si giocano la produzione e il divertimento, percorsa da due reti di trasporto a differenti velocità: quella rapida del treno, dell’aereo e dell’autostrada e quella lenta del Po, che ci riporta a un universo agricolo, tradizionale». E per passare dalla teorizzazione al vissuto lui, Mirti, che si definisce «un’iguana o forse un camaleonte, perché dove mi metti sto», ha stressato la propria MiTorinesità al punto estremo di non possedere un’abitazione vera e propria: «Vivo a Crescenzago in una specie di foresteria d’avanguardia nata sulle ceneri dell’ex fabbrica Gio Style, collegata al mio posto di lavoro, e quando torno a Torino dormo dai miei genitori o da amici ospitali: della casa, in fondo si può fare a meno». Sono professori universitari, impiegati, studenti, professionisti: un esercito di persone in marcia, laptop nello zaino, presto senz’altro anche col Kindle, sincronizzati al millesimo: si sale a Porta Susa, si attacca il computer alla presa, in un attimo ti saluta fuori dal finestrino la cupola antonelliana del Duomo di Novara, qualche manciata di minuti ancora e arrivi a Porta Garibaldi. Francesco Pomarico, primo oboe dell’Orchestra nazionale della Rai, percorre quella linea da quando la Tav era un’utopia e cioè dal 1989, moglie e tre figli ad Arluno, treno rigorosamente interregionale perché gli conviene salire a Magenta e non a Milano, qualche volta un car pool con i colleghi, «e allora ci si trova ai caselli». Ha imparato ad amare Torino il giovedì pomeriggio, quando ha tre o quattro ore buche tra la prova e il concerto. Le pasticcerie sabaude, certo, «con un’atmosfera che da noi ce la sogniamo», ma anche i film d’autore al cinema Massimo, proprio vicino all’auditorium Toscanini, uno spuntino al Caval ‘d brons, una partita di calcetto al Valentino con i professori delle orchestre ospiti. I milanesi a Torino più stanziali cominciano ad ammorbidirsi a poco a poco, tipicamente a cominciare dal cibo (o dalla montagna, quando scoprono che si va e viene in un giorno da Cervinia e gli attacchi dei sentieri partono in piena città). Vengono introdotti al rito del bollito con la cugnà, vanno furtivamente a comprarsi le robiole in via Cernaia, e un bel giorno cominciano a non rimpiangere più la Esselunga e ad abituarsi al Dì per dì. Li incontrate la mattina a fare jogging tra i Murazzi e il Valentino: «Al Castello Sforzesco sarò anche affezionato, ma bisogna riconoscere che è tutto finto. Vuoi mettere quanto è più bello questo? Sembra quello di Cenerentola».
FONTE – egle santolini