I vantaggi della restrizione calorica (non per mancanza o rinuncia al cibo) valgono anche per noi, non solo per gli animali da laboratorio: il giusto è 15-20% in meno.
Mangiare poco rallenta l’invecchiamento, una regola che, si è scoperto, vale anche per noi, non solamente per le specie da laboratorio, come i vermi e i moscherini della frutta. È questa la novità di uno degli ultimi e più rilevanti studi per capire se e come un’alimentazione meno ricca possa servire ad avere una vecchiaia più in salute e, forse, perfino a prolungare la vita.
Sappiamo da tempo che la restrizione calorica, che consiste in una dieta con un taglio importante delle calorie rispetto ai bisogni (circa il 15-20% in meno), allunga la vita di molti organismi e specie animali, dai lieviti ai moscerini, dai vermi ai topi e ai cani e perfino alle scimmie. Il dubbio era se la stessa cosa potesse valere anche per gli esseri umani.
DUE ANNI A DIETA. Per chiarire la questione i National Institutes of Health americani hanno messo in piedi alcuni anni fa uno studio multicentrico, chiamato CALERIE, per indagare sugli effetti a lungo termine della restrizione calorica: 200 persone, adulti sani, divisi in due gruppi, hanno seguito per due anni una dieta piuttosto stretta, oppure hanno mangiato come d’abitudine. Alla fine del periodo sono stati valutati e confrontati vari parametri biologici delle persone nei due gruppi.
IN CAMERA STAGNA. Uno degli effetti valutati è stato il ritmo del metabolismo, misurato con grande precisione grazie a una tecnologia innovativa su di una cinquantina dei partecipanti. Queste persone, oltre ai test e alle analisi consueti sul consumo di energia, si sono sottoposte all’analisi in una camera metabolica. Per 24 ore, sono rimasti in questa sorta di stanza sigillata in cui, minuto per minuto, è stato misurato l’ossigeno che consumavano e l’anidride carbonica esalata.
PIÙ EFFICIENTE. I ricercatori hanno verificato che le persone rimaste a dieta per i due anni dello studio utilizzavano l’energia in modo molto più efficiente degli altri, in particolare durante il sonno. E anche le altre misurazioni hanno indicato una riduzione del metabolismo e, di conseguenza, una diminuzione dei danni agli organi e ai tessuti dovuti allo stress ossidativo, che in pratica determina l’invecchiamento.
Sembra dunque che quello che si è già dimostrato valido per gli animali possa valere anche per l’uomo. Resta da vedere se la riduzione dell’invecchiamento possa, come conseguenza pratica, portare anche a un allungamento della vita, cosa che andrebbe osservata in studi più lunghi, nell’ordine di decine di anni.
Altri studi, come quello di Valter Longo, ricercatore all’IFOM di Milano e alla University of Southern California a Los Angeles, hanno già dimostrato che anche pochi giorni di digiuno alternati a periodi di alimentazione normale riescono a ottenere simili effetti “anti invecchiamento”, contenendo i fattori di rischio per il diabete e le malattie cardiovascolari.
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