Chi compie un’azione disonesta, è incline a rifarlo ancora di più in futuro. Prendere decisioni che non riteniamo moralmente corrette abitua il cervello alle emozioni negative che generalmente accompagnano queste scelte, incoraggiandoci a ripeterle con livelli di disonestà sempre maggiori. Lo ha dimostrato una ricerca che ha svelato anche il coinvolgimento dell’amigdala nel meccanismo biologico alla base di questo circolo vizioso
di Sara Mohammad
È possibile che il cervello si adatti a comportamenti via via più scorretti? Secondo una ricerca effettuata al Dipartimento di psicologia sperimentale dello University College of London (UCL) e ora pubblicata su Nature Neuroscience, le persone che agiscono in maniera disonesta una volta potrebbero più facilmente prendere decisioni disoneste in futuro, a causa di un meccanismo cerebrale che riduce nel tempo la sensazione di comportarsi ingiustamente.
La capacità delle regioni del cervello di diminuire progressivamente la propria attività in risposta a una situazione che si ripete nel tempo è un processo noto come adattamento e può verificarsi in presenza sia di stimoli di natura sensoriale (come un odore o un suono) sia di stimoli che richiedono un’elaborazione cognitiva più complessa (come quelli che generano un’emozione). Per esempio, è grazie all’adattamento sensoriale se quando ci troviamo in una stanza dove c’è cattivo odore, dopo un po’ smettiamo di percepirlo.
I ricercatori dello UCL, in collaborazione con la Fuqua School of Business alla Duke University, hanno ora dimostrato che il cervello è in grado di adattarsi anche ad azioni scorrette da un punto di vista morale, come quando decidiamo di mentire a qualcuno per ottenere un vantaggio.
Per arrivare a questa conclusione, Neil Garrett, ora post-doc all’Istituto di neuroscienze della Princeton University, e colleghi hanno chiesto a 80 soggetti, con età compresa tra i 18 e i 65 anni, di partecipare a un esperimento in cui dovevano indovinare il numero di monete contenute in un barattolo di vetro e comunicarlo a un’altra persona attraverso un computer.
I ricercatori avevano progettato inoltre cinque scenari sperimentali diversi, agendo sulla motivazione
dei partecipanti a mentire. Comunicare un numero falso di monete poteva beneficiare il partecipante arrecando un danno all’altra persona, beneficiare il partecipante senza costi per l’altra persona, beneficiare l’altra persona arrecando un danno al partecipante, beneficiare l’altra persona senza costi per il partecipante, oppure beneficiare entrambi.
Analizzando i risultati, i ricercatori hanno osservato che man mano che l’esperimento andava avanti, i soggetti del campione sperimentale erano più inclini a mentire, specialmente nello scenario in cui avrebbero ricavato un vantaggio per sé stessi, sia nel caso in cui la loro decisione avesse danneggiato il partner sia in caso contrario.
Per spiegare il comportamento osservato a livello cerebrale, Garrett e colleghi hanno sottoposto a risonanza magnetica funzionale (fMRI) un sottogruppo degli 80 soggetti mentre partecipavano all’esperimento. I ricercatori hanno osservato una progressiva diminuzione di attività nell’amigdala, la regione del cervello attiva quando si ha una risposta emotiva, via via che i partecipanti continuavano a mentire.
Garrett ha spiegato che “è come se la risposta smorzata del cervello a ripetute azioni disoneste rifletta la reazione emotiva a queste azioni”, aggiungendo che le conclusioni del suo studio sono in linea con ricerche precedenti che suggeriscono un ruolo dell’amigdala nella repulsione verso azioni considerate sbagliate o immorali.
FONTE
UNA BUGIA TIRA L’ALTRA, EFFETTO A VALANGA DELLA DISONESTÀ
Una bugia tira l’altra.
Una volta che si inizia a mentire, si riduce la sensibilità del cervello alla disonestà.
Un po’ come se il campanello d’allarme che risuona nella mente in questi casi, diventasse a un tratto silenzioso.
Insomma, nel tempo diventa più facile continuare a comportarsi in modo scorretto.
E’ quanto emerge da uno studio dei ricercatori dell’University College di Londra (GB), guidati da Neil Garrett e Tali Sharot, pubblicato su ‘Nature Neuroscience’. I ricercatori hanno misurato l’escalation della disonestà in uno studio controllato in laboratorio su un gruppo di volontari, e sono riusciti a spiegare l’effetto della ‘brutta china’, secondo cui piccole deviazioni dalla verità a lungo andare si trasformano in una valanga, che porta a sostanziali atti di disonestà.
I ricercatori hanno chiesto a 58 adulti (dai 18 ai 65 anni) di avvisare una seconda persona sul quantitativo di monete contenuto in un barattolo di vetro.
I ricercatori hanno realizzato vari possibili scenari: la disonestà della risposta in alcuni casi avrebbe portato beneficio a un partner a spese dell’altro, in altri sarebbe stata utile a entrambi, in altri ancora sarebbe stata utile solo al volontario, o senza effetti per quest’ultimo.
Ebbene, i ricercatori hanno registrato un’escalation della disonestà quando la situazione portava beneficio al volontario (sia a spese del partner che a suo vantaggio).
Non solo, un sottogruppo di partecipanti ha eseguito l’esperimento sotto risonanza magnetica.
Così si è visto che l’attività dell’amigdala, area del cervello responsabile delle reazioni alle emozioni, in entrambi gli emisferi diminuiva progressivamente a ogni bugia detta per il proprio tornaconto, mentre questo non accadeva nel caso di bugie che potevano danneggiare se stessi.
Inoltre la riduzione dell’attività dell’amigdala poteva predire l’escalation di disonestà nel successivo trial.
Nessun’altra area del cervello sembra, concludono gli autori, giocare un ruolo nella disonestà (quando è a proprio vantaggio).
Insomma, ecco perché il campanello che risuona nella mente a ogni bugia vantaggiosa si sente sempre meno.
FONTE (AdnKronos Salute)