LA FUSIONE IN OSSO DI SEPPIA
1) Storia
2) Trattamento e conservazione
3) Stampo impresso o scavato, tecnica classica
4) Bocca di colata, canalette d’apporto
5) Fusione
6) Scavo in negativo
7) Anelli fusi dritti, lastre. tubetti, fusioni sbalzate
8) Uso delle sagome
9) Ossi complessi, alimentazione multipla, anelli in tre ossi, modelli modulari
10) Bibliografia
1) Storia
Nei paesi mediterranei da secoli si usa riprodurre piccoli oggetti per via di fusione in osso di seppia.
Dopo le mareggiate, è facile trovare sulle spiagge ossi di seppia, in genere di taglia piccola, io sono veneziano e ho fatto le mie prime fusioni con questi ossi spiaggiati
Fino a qualche anno fa potevo ancora vedere collane di ossi appese al muro nei vecchi laboratori, gli orafi che usavano l’osso di seppia avevano un gran numero di modelli, soprattutto di anelli, che erano realizzati man mano per i clienti e andavano ad ingrossare la collezione.
In Germania, nel Baden-Württemberg, sono state ritrovate due fibbie da cintura in lega d’argento che risalgono al VI o VII sec. che mostrano sul retro i caratteristici segni a rughe che lascia l’osso di seppia.
Nelle note spese di bottega a Firenze e a Venezia, all’inizio del Rinascimento, ci sono voci destinate all’acquisto di ossi di seppia.
Ancora alla fine degli anni cinquanta grosse ditte come la Gori e Zucchi (1AR) usavano la fusione in osso di seppia per la produzione in serie, soprattutto di anelli a scudo. Ormai da decenni l’osso di seppia è sorpassato come metodo per la produzione di repliche, soppiantato dalla microfusione in cera persa.
Come la pittura dopo l’invenzione della fotografia, liberata dall’esigenza della somiglianza, ha avuto altri campi da esplorare, così l’osso di seppia, non più destinato alla replica di modelli, è libero di essere impiegato come strumento creativo.
è uno strumento versatile e ricco di possibilità, un metodo economico che non richiede macchinari e permette la realizzazione in tempo breve di un’idea.
2) Trattamento e conservazione
L’osso di seppia è la conchiglia interna della Sepia officinalis, mollusco molto apprezzato nella cucina mediterranea.
Visto in pianta l’osso di seppia è un ovale allungato, visto in sezione è a forma di lente.
Ha una crosta dura e sottile sul dorso esterno, la parte interna, la polpa, è più spessa e tenera ed è questa parte in cui si lavora, quella che riceve l’impronta del modello o che viene scavata.
La polpa è composta di sottili strati affiancati alternativamente densi e spugnosi.
A partire dal tallone gli strati sono poco inclinati e s’inclinano sempre più avvicinandosi alla punta dove gli strati sono in pratica sovrapposti .
È possibile comperare gli ossi direttamente dai pescatori, gli ossi di pescheria sono di tutte le dimensioni, molti sono piccoli.
Bisogna ripulirli, sciacquarli e appenderli (a collane, infilati per un foro sul tallone a ciascun osso) all’aria ad asciugare per molti giorni, puzzano parecchio.
È più pratico comperare gli ossi da un fornitore di materiali per orafi, sono già selezionati e di misura adatta, attenti che, dato che non c’è un grande smercio, spesso gli ossi restano a lungo in magazzino e si seccano troppo.
Se gli ossi si seccano troppo, si creano tensioni sia tra la parte tenera e il guscio duro che tra la periferia e il centro, tensioni che producono crepe a iniziare dal bordo, di solito in punta.
Nel prendere l’impronta del modello spesso capita che la pressione faccia estendere la crepa e l’osso si spezzi.
Si possono anche trovare nei negozi per animali (pet shops), di solito li hanno ben imbustati nel nylon e di grandezza adeguata.
Tradizionalmente gli orafi conservano gli ossi interi, ma ho notato che per ridurre la probabilità di inizi di frattura conviene squadrare gli ossi prima di riporli.
Quando devono restare inutilizzati per mesi o anni, conviene tenerli in un angolo fresco e non arieggiato del laboratorio.
3) Stampo impresso col modello, tecnica classica
Supponendo di voler replicare un anello nel modo tradizionale, si opera nel modo seguente.
Si squadrano due ossi facendo quattro tagli nella polpa, fino a raggiungere il dorso che è troppo duro per lasciarsi segare. Conviene usare una lama di sega da ferro invece del seghetto da orafo perchè la lama della sega da ferro può essere usata di punta ed affondare meglio lungo ciascuna linea fino al dorso duro. I quattro tagli delimitano un rettangolo che comprende la parte centrale dell’osso, la più spessa. Per spezzare l’osso bisogna piegarlo verso l’esterno come se si volesse aprire uno per volta ogni taglio, come fanno i vetrai per spezzare una lastra lungo la linea segnata col tagliavetro.
Ciascun osso viene spianato su una carta abrasiva grossa poggiata su una tavoletta o un’altra superficie ben piana. Per accelerare il lavoro si può con la sega tagliar via la gobba dell’osso. In modo più sbrigativo gli orafi, tagliata la gobba, spianavano le facce dei due ossi strofinandole una sull’altra, ma non è il metodo più preciso. Si soffia via la polvere prodotta. Nel lavorare l’osso di seppia si alza molta polvere ma non bisogna preoccuparsi troppo di respirarne perché l’osso è in sostanza carbonato di calcio che viene dissolto senza problemi dall’organismo.
Si prende il modello e lo si poggia sulla superficie spianata di uno degli ossi. Il modello non va impresso a metà della lunghezza dell’osso, ma nella sua parte inferiore, quella che sarà opposta all’imboccatura, in modo da avere un canale di colata quanto più alto è possibile . Il riempimento dello stampo avviene per gravità, è necessario che ci sia una colonna di metallo che spinga il resto a riempire bene la forma.
Naturalmente il modello, che deve essere privo di sottosquadri, non potrà essere di materiali teneri come cera o plastilina, ma sarà di ceralacca, legno, plastica o metallo. Era pratica comune fare i modelli di piombo perché fonde a bassa temperatura ed è tenero, si lascia lavorare con facilità. È facile colarlo in uno stampo approssimativo, anche di cartoncino. Se il piombo fuso viene versato nell’osso di seppia non arriva a carbonizzarlo. Bisogna prestare attenzione perché alcuni materiali, anche certi legni, fanno aderenze con la polvere d’osso e la portano con sé quando s’estrae il modello. Conviene che le superfici del modello siano ben lisce o, meglio ancora, lucide.
Con attenzione si affonda il modello fin quasi a metà del suo spessore. Le parti più delicate e difficili da riprodurre del modello, saranno dalla parte opposta all’imboccatura. Un anello avrà l’attacco di colata sul gambo e la testa in basso. Se il gambo sembra troppo sottile per lasciare passare abbastanza metallo, si può scavare una canaletta che attraversi diametralmente l’anello e metta in comunicazione l’attacco di colata con la testa dell’anello.
Si appoggia sopra l’altro osso e si comprime fino a che le due facce spianate arrivino a toccarsi. Il modello sarà penetrato in entrambi gli ossi per una profondità all’incirca uguale, metà per osso.
Quando ci s’imprime un oggetto, l’osso nel punto di contatto cede e si polverizza. La polvere di osso ha spigoli vivi (si può usare come abrasivo delicato) e per questo ha la facoltà di compattarsi se viene compressa, può prendere nettamente l’impronta del modello e conservarla.
Nell’imprimere il modello, il dorso duro dell’osso va poggiato sul cuscinetto soffice alla base del palmo della mano in modo da distribuire la pressione su una superficie relativamente ampia e ridurre il rischio di rottura dell’osso. Ci vuole una certa forza per imprimere modelli larghi o voluminosi (a volte ci si aiuta mettendo le mani tra le cosce e stringendo), forme strette invece penetrano facilmente. Se il modello non penetra fino alla profondità voluta (assicurarsi naturalmente che le dimensioni dell’osso di seppia siano tali da contenere il modello), è perché la polvere prodotta si compatta in uno spessore eccessivo. Per proseguire bisogna togliere il modello, scalzare e soffiare via la polvere prima di riprendere a imprimere. Per scalzare la polvere spesso la punta di un ago funziona meglio di un pennellino.
Ora i bordi degli ossi vengono pareggiati e si fanno delle tacche di riscontro lungo la linea di separazione tra gli ossi. Basta pareggiare gli ossi nella parte soffice, al di qua e al di là della linea di separazione (lungo tre lati, mentre sul quarto lato si aprirà l’imboccatura della canaletta di colata) e fare un paio di tacche che attraversino la linea di separazione in ciascuno dei tre lati interessati. La sega con cui si tagliano gli ossi abbia una riduzione nella larghezza della lama in punta, spesso succede che lo spazio tra le croste dei due ossi affiancati non lasci spazio per imprimere la punta .*** È meglio imprimere l’attrezzo per fare il segno di riscontro invece che scavare perché l’impressione risulta più netta.
Invece del metodo delle tacche si può usare, per mettere a registro gli ossi, il metodo dei piccoli perni a forma di tozzo fuso. Prima di prendere l’impronta del modello, si piantano dei pernetti nella faccia di un osso, in modo che quando le due facce dello stampo sono premute insieme, le punte dei pernetti si scavano una sede nell’altro osso e, una volta tolto il modello, guidano i due pezzi a tornare nella giusta posizione relativa che avevano al momento dell’impressione.
Personalmente preferisco fare tacche piuttosto che usare i pernetti perché aprire e chiudere i due ossi un paio di volte fa’ sì che le depressioni lasciate dai pernetti si allarghino e questo non garantisce una sufficiente precisione.
Si apre il sandwich e si estrae il modello. In genere il modello si stacca da un osso restando affogato nell’altro. Non conviene cercare di estrarre il modello alzandolo con le pinzette o facendo leva con una punta, conviene farlo cadere: si mette l’osso con il dorso in su e gli si assesta qualche colpo netto, se il modello non cade, si strofina la costa di una lama sulle rugosità del dorso dell’osso, le vibrazioni prodotte sono efficacissime e raggiungono lo scopo in fretta.
Se ci sono spigoli o vertici nel modello, e vogliamo essere sicuri che il ritiro del metallo col raffreddamento non arrivi a arrotondare quel che doveva essere appuntito, conviene produrre un foro nel vertice affondando un ago nell’osso, di modo che in quei punti venga colato un eccesso di metallo, che poi verrà tagliato col trancino o ridotto con la lima.
Molti consigliano di tracciare degli sfiati che irraggino dall’impronta per aiutare i gas a sfogare (basta farlo in una metà dello stampo). Secondo la mia esperienza è superfluo perché le rughe dell’osso di seppia lasciano una gran quantità di sfoghi per l’aria, all’atto del getto il metallo riempie lo stampo, s’insinua lungo le rughe nel piano che divide i due ossi e forma quelle che si chiamano pinne
A questo punto alcuni autori consigliano di spolverare lo stampo con polvere di grafite o talco, oppure di tenere lo stampo sopra la fiamma di una candela per affumicarlo. Poi riposizionare delicatamente il modello nello stampo e premere di nuovo insieme gli ossi per forzare la polvere o il nerofumo a chiudere i pori nella superficie dell’impronta, in modo da renderla quanto più liscia possibile. Altri autori (namely Maryon) propongono un metodo ancora più complicato: spennellare l’impronta con una soluzione acquosa densa di borace e silicato di sodio, metà e metà, per indurirla e renderla capace di sopportare meglio il calore del metallo fuso; una volta seccata la soluzione si richiude di nuovo il modello nello stampo, ungendone leggermente la superficie con olio di castoro per facilitarne l’estrazione. Secondo la mia esperienza sono pratiche sostanzialmente superflue e di impiego macchinoso.
4) Bocca di colata, canalette d’apporto
Si scava una canalettadi forma conica simmetricamente sulle facce dei due ossi, per l’ingresso del metallo fuso. Si usa un piccolo raschietto triangolare o un coltello a lama triangolare allungata . Conviene che la lama del coltello abbia quella forma perché spesso bisogna scavare una canaletta lunga e non bisogna allargarla più del necessario, basta che l’imboccatura sia abbastanza larga da permettere di versare il metallo fuso senza difficoltà. Può avere un diametro compreso tra poco più di 1 cm e 2 cm circa, secondo la grandezza dell’osso. Non è necessario che la canaletta sia più larga perché è solo l’altezza, non la larghezza, della colonna di metallo sovrastante l’impronta che determina la pressione idrostatica.
Il punto di raccordo con il modello ha da essere abbastanza grande da permettere il passaggio del metallo in quantità adeguata e abbastanza piccolo da non costringere ad un superfluo lavoro di rifinitura sul pezzo fuso.
Si richiudono i due ossi facendo combaciare le tacche. Legati con qualche giro di filo di ferro sottile, o più sbrigativamente con un paio di giri di nastro adesivo, si affondano gli ossi per qualche centimetro nella sabbia asciutta per tenerli ritti, ovviamente la bocca di colata è in alto.***
5) Fusione
Le leghe sono più colabili de metalli puri, sono in grado cioè di riempire meglio lo stampo. Il rame puro si ossida con estrema facilità durante la fusione e non è molto colabile, ma anche argento e oro per colare bene chiedono una piccola (basta il 3 – 5%) aggiunta di un altro metallo, rame per l’argento e rame e/o argento per l’oro.
Le cuproleghe (leghe del rame, principalmente ottone e bronzo) si ossidano se sono esposte alla fiamma, come quando si usa un crogiolo aperto. Conviene allora, invece di dirigere la fiamma sul metallo, farla riflettere da una superficie fissata qualche centimetro sopra il crogiolo creando un piccolo forno a riverbero . Meglio comunque usare il crogiolo a bicchiere, se l’ottone ha difficoltà a fondere e produce una schiuma secca con frammenti, vuol dire che ossida e allora bisogna mettere un coperchio sul crogiolo.
Alcune leghe d’oro, specie quelle tendenti al rosso, a volte non colano bene, in molti casi è d’aiuto inserire un baffo di zinco a cavallo delle pareti della bocca di colata*** . È sufficiente un ritaglio di zinco molto piccolo, poco più spesso di una lama di seghetto, che non arriva a diminuire il titolo dell’oro usato. Quando l’oro tocca lo zinco, lo inghiotte avidamente, abbassa il suo punto di fusione e diventa più fluido e capace di infilarsi negli interstizi più sottili dello stampo..
L’argento a titolo 800 o 925 fonde bene anche in crogiolo aperto, può essere rifuso più volte senza problemi, è abbastanza economico. È il metallo più comodo da usare con gli ossi di seppia.
Se si vogliono fare solo una o due fusioni conviene usare una fiamma diretta e un crogiolo aperto, ma quando bisogna fondere molti ossi e si lavora con una quantità maggiore di metallo, conviene usare un fornetto e un crogiolo a bicchiere.
In genere si porta a fusione più metallo di quello strettamente sufficiente a riempire lo stampo, il metallo in eccedenza può essere rifuso senza problemi.
Si versa il metallo nella bocca di colata quando è ben liquido e la sua superficie è a specchio. Bisogna versare senza fretta per non creare vortici, tappi d’aria o danni a punti delicati dello stampo.
Usando un crogiolo aperto è buona norma mantenere la fiamma (riducente) sul metallo mentre lo si versa.
Si versa riempiendo la canaletta fino alla bocca di colata, in modo da avere la massima altezza di metallo sopra lo stampo.
Il metallo fuso va a riempire la cavità prodotta dal modello, solidifica quasi istantaneamente e carbonizza la superficie dell’osso di seppia per qualche millimetro di profondità.
L’osso carbonizzato ha un’azione riducente. Se s’immerge subito l’osso in acqua (completamente, per evitare rischi di schizzi di vapore), la superficie del getto si mantiene priva di ossidi perché non fa in tempo ad entrare in contatto con i gas dell’aria. Una fusione d’argento raffreddata in acqua presenta una superficie bianca opaca, raffreddata in aria si presenta con una superficie più grigia e scura.
Una volta raffreddato, si apre l’osso e si estrae il getto Si asciuga, si taglia la carota, cioè la colonna di metallo sovrastante l’oggetto fuso, che ha preso la forma della bocca di colata, e si procede con il lavoro.
6) Scavo in negativo, stratificazioni
L’osso è fatto a strati, che sono quasi verticali e affiancati a un’estremità (il tallone, con le alette laterali in su) e si inclinano sempre più verso l’orizzontale e tendono a sovrapporsi andando verso l’altra estremità, la punta. Ci si può avvantaggiare della particolare disposizione degli strati in un determinato tratto di osso per ottenere una texture specifica.
Lavorando nella punta, che ci offre strati orizzontali sovrapposti, si possono ottenere effetti di vario tipo, ambiguità facili da condurre a differenti interpretazioni, per esempio possiamo produrre pendii di montagna come sfondo, se in primo piano scaviamo un pino, oppure un effetto di dune, se in primo piano scaviamo una palma.
Lavorando nella zona del tallone, dove gli strati sono quasi verticali si ha un effetto completamente diverso, una superficie di rughe ravvicinate e sottili.
La zona centrale offre rughe più spaziate.
Un modo efficace per mettere in risalto la texture consiste nel metterle a fianco di aree lisce. Per esempio si può prendere l’impressione di un bordo ovale che superi in altezza lo scavo a mano libera che faremo al suo interno, quando limiamo la cornicetta questa risulterà liscia e spianiata in contrasto all’interno opaco e mosso.
Quando si scava con punte varie l’osso si può controllare come sta venendo lo stampo usando un po’ di plastilina
7) Anelli fusi dritti e poi piegati
Prendendo l’impronta di un anello nel modo classico, l’impronta dei fianchi sarà netta, ma la superficie dell’anello non s’imprime nell’osso. Per replicare la decorazione che si svolge lungo la superficie, bisogna imprimere nell’osso la superficie del modello in tutta la sua lunghezza. Si costruisce un modello disteso e si prende la sua impronta; dovendo replicare un anello già costruito, è possibile realizzare man mano l’impressione mentre lo si fa rotolare sull’osso con molta cura.
Se ne ottiene un getto che, sgrezzato un po’, va piegato ad anello e rifinito.
Lastre, medaglie, bottoni, monete
Sono oggetti che devono avere uno spessore costante lungo tutta la circonferenza, è facile riuscire a farlo imprimendo un modello dove gli strati sono affiancati, ma dove sono distesi non sono perfettamente orizzontali e dritti.
Solo per oggetti di piccola superficie
Quando la lastra da ottenere è sottile (e relativamente estesa) il problema è riuscire a far sì che il metallo non si raffredi prima di aver riempito tutto lo spazio che gli è stato preparato. Per questo a volte è necessario scavare delle canalette di alimentazione supplementare che portino del metallo fuso là dove potrebbe raffreddarsi. Per non appesantire il lavoro di rifinitura, conviene che la canaletta sia vicina alla superficie da alimentare e venga unita a questa tramite un collegamento di spessore ridotto.
Tubetti
Anche per i tubetti il problema è far arrivare il metallo fuso a riempire tutto lo stampo. Per prima cosa bisogna preparare un tubetto con cui produrre l’impronta nella seppia. Conviene che il tubetto abbia l’estremità seghettata di modo che ruotandolo mentre lo si fa penetrare nell’osso possa aprirsi la strada più facilmente.
Fusioni poi sbalzate
Si possono ottenere lastrine di dimensioni contenute che possono venir sbalzate. Fare attenzione nell’imbutire, per non rovinare il gioco superficiale lasciato dall’osso si usa il ferro ( martello o tasso) internamente e il legno (mazzuolo o buco nel tronco) a contatto della superficie esterna. Il metallo fuso è facilmente poroso e facile a crepare, specie in corrispondenza del gradino delle venature, bisogna ricuocere e a volte chiudere con una punta di saldante l’inizio di una crepa.
8) Uso delle sagome
Se con filo di rame o di ferro prepariamo una sagoma, ad esempio un fiore o una croce, possiamo imprimerla nell’osso e poi asportare uno strato all’interno della sagoma
9) Ossi complessi, alimentazione multipla
A volte una sola bocca di colata si usa per alimentare più stampi. Per questo si prende un osso squadrato. Bisogna spianare la parte bassa dell’osso, dalla parte tenera, poi eliminare la parte dura dell’osso e spianare la parte tenera sottostante, basta la metà inferiore in genere.
A volte lo stampo ha punti che difficilmente sarebbero raggiunti dal metallo in quantità sufficiente*** , a volte si fondono più oggetti piccoli in un solo osso. Bisogna allora suddividere il canale di alimentazione in più canalette che facciano arrivare dove vogliamo il metallo fuso. Questo è un liquido, e si preparano le canalette in modo che possa scorrere senza creare vortici e trovare ostacoli.
Anelli in tre ossi
Se vogliamo replicare la decorazione, le griffe o il foro per la pietra della testa di un anello, c’è un sistema.
Si prende l’impronta del gambo in due ossi, alla solita maniera, molto vicino al bordo inferiore, quello opposto alla bocca di colata, si fanno i segni di riscontro. Tolto il modello, si sbucciano della parte dura i due ossi per un cm tutt’attorno al bordo inferiore e poi, rimesso a registro lo stampo, si gratta via l’osso fino a mettere in luce la cavità impressa dal gambo, subito sotto alla testa dell’anello, senza arrivare a interessare l’interno del gambo. Controllare che questa spianata sia perpendicolare al gambo. Rimettete l’anello nello stampo, la testa fuoriesce dai due ossi. Ora si preme un terzo osso spianato, cercando di non inclinarlo, per prendere l’impronta frontale della testa dell’anello. Quando la superficie del terzo osso è arrivata in contatto con quella dei due ossi, tutt’intorno, lungo la linea di giunzione si portano gli ossi allo stesso livello e si fanno alcuni segni di riscontro. Si riapre lo stampo, si estrae il modello, se non lo si è ancora fatto si scava la bocca di colata, si tracciano eventualmente gli sfiati che sembrino opportuni (se si replica un anello a griffe, conviene approfondirle con un adatto tondino o quadrello sottile) e poi si richiude e si lega. Prima conviene legare i due ossi del gambo e poi, con attenzione si lega il terzo osso. A volte conviene lasciar cadere due gocce di mastice fuso nei punti di giunzione tra gli ossi per fissare temporaneamente nella giusta posizione gli ossi prima di procedere alla legatura definitiva.
Questo sistema va bene anche per produrre anelli “free style”, agli ossi del gambo si appoggia un osso che potrà essere variamente impresso, scavato, potrà avere pietre o altri materiali da far afferrare al metallo, per la testa.
Modelli modulari
Si possono preparare vari modelli che siano componibili tra di loro, come p. es. un paio di corpi di insetto, due o tre tipi di ali (Ds e Sn oppure double face), qualche testa differente con o senza antenne ecc. Poi si fanno le varie fusioni, se possibile in contemporanea accalcandole su un solo osso, e una volta sgrezzati i getti, li si combina in varie maniere e li si salda definitivamente quando la combinazione piace.
10) Note bibliografiche
In ogni libro citato, la fusione in osso di seppia viene trattata brevemente (dalla mezza pagina alle due/tre pagine) e quasi in ogni libro ci sono imprecisioni. Certune hanno origine nei primi libri (Wilson, Maryon) che parlano dell’osso di seppia, e sono stati riprese dagli autori successivi.
AA.VV. Genius aureus, Regione Toscana, Arezzo
Resoconto conciso ed accurato.
Boselli, E. Manuale per l’orefice Hepli, Milano
Poche righe vaghe.
Brepohl, E. Theorie und Praxis des Golschmieds VEB Fachbuchverlag, Leipzig
Bel disegno della forma in tre pezzi, buona descrizione dello stampo per piombo.
Choate, Sharr Creative casting Allen & Unwin, London
Abbastanza breve, treatment of mold surface macchinoso.
Maryon, Herbert Metalwork and enamelling Dover, New York (Tr. It. La lavorazione dei metalli Hoepli, Milano)
Conciso, alcune indicazioni macchinose (borace e silicato)
McCreigh, Tim Practical casting Brynmorgen Press, Inc. Boylston, Massachussets
Breve, alcune indicazioni corrette, altre meno (cut through with jeweller’s saw, short sprue, exaggerated registration notches).
Morton, P. Contemporary jewellery Rinehart & Winston
Una paginetta, consigli poco pratici (Three pegs, charcoal block crucible tied to cuttlefish bone).
Rose and Cirino Jewelry making and design Dover, New York
Due mezze paginette, niente da rimarcare.
Untracht, O. Jewelry concepts and technology Doubleday
Sei pagine in cui l’argomento è trattato abbastanza a fondo ed illustrato con disegni e fotografie. Anche qui ci sono alcune incongruenze.
Vitiello, L. Oreficeria moderna Hoepli, Milano
Due pagine, interessanti le considerazioni sulla fusione delle leghe d’oro e la porosità
Wicks, S. Manuale di gioielleria classica e moderna Tecniche nuove, Milano
Mezza colonna, belle foto, 3 pegs, sprue too short
Wilson, H. Silverwork and jewellery Pitman
Poche pagine, legatura dell’osso sballata.
FONTE