Marco è andato via e non ritorna più, cantava nel 1993 Laura Pausini nel brano celeberrimo intitolato “La solitudine”. Che ha portato fortuna alla Pausini, facendola diventare famosa e poi trasformandola in fenomeno pop globale. Ma che in generale bene davvero non fa, è una vera e propria malattia in grado di produrre danni fisici al pari di quelli provocati dal fumare quindici sigarette al giorno. Per essere più precisi, quello della solitudine – da dato esistenziale, passionale, sociale – è diventato un problema per la salute globale che può causare un rischio di «morte prematura equivalente, o addirittura maggiore, ad altri fattori di rischio più noti, come il fumo, il consumo eccessivo di alcol, l’inattività fisica, l’obesità e l’inquinamento atmosferico». C’è una nuova emergenza ed è proprio la solitudine.

A dichiararlo ufficialmente è stata l’Oms, Organizzazione mondiale della sanità, che proprio due giorni fa, il 15 novembre, ha istituito una Commissione sulla connessione sociale, proprio per affrontare il tema e «promuovere la connessione sociale come priorità». Insomma, c’è bisogno di una Commissione speciale per aiutare a ritrovare il piacere di vivere insieme, di essere comunità. E per non ammalarsi.

INCIDENZA SUI GIOVANI

«Gli alti tassi di isolamento sociale e solitudine in tutto il mondo hanno gravi conseguenze per la salute e il benessere. Le persone senza connessioni sociali sufficientemente forti corrono un rischio maggiore di ictus, ansia, demenza, depressione, suicidio e altro ancora», dice il direttore dell’Oms, Tedros Adhanom Ghebreyesus. L’isolamento sociale «ha un grave impatto anche sulla salute fisica e mentale» e secondo gli studi è collegato «all’ansia e alla depressione e può aumentare il rischio di malattie cardiovascolari e ictus del 30%». Come riportato da molti media internazionali, come la Cnn e il Guardian, l’impatto della solitudine può portare rischi per la salute paragonabili al fumare fino a 15 sigarette al giorno.

Dati allarmanti, che non riguardano solo gli anziani, ma tutte le fasce d’età, fenomeno accelerato dalla pandemia. Secondo i risultati di una ricerca, riportata sempre dall’Oms, tra il 5 e il 15% degli adolescenti sperimenta la solitudine, ma le cifre potrebbero essere sottostimate.

Ma la solitudine è davvero così dannosa? E allora centinaia di versi, di romanzi, di riflessioni filosofiche che parlano della necessità di isolarsi, di contemplare, di restare con se stessi? Per non considerare interi ordini monastici che della solitudine, e del silenzio, hanno fatto una regola di vita, fra tutti san Benedetto e i suoi benedettini… Non più tardi di ieri papa Francesco ha avvertito: «In questo mondo che è sempre pieno di cose, di parole, di notizie, tutta un’industria della comunicazione esterna, la comunicazione interna, in silenzio, è tanto necessaria».

Eppure nel libro della Genesi leggiamo: «Poi il Signore disse: non è bene che l’uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile». Il primo, quindi, a preoccuparsi della solitudine umana è stato il Creatore in persona, a conferma che l’uomo, nella sua natura, è un essere sociale. Un’infinita schiera di poeti, scrittori, filosofi, artisti di ogni genere e sotto ogni latitudine si è misurata con il concetto di solitudine. Leopardi, per citarne uno tra i più grandi, la definiva «una lente di ingrandimento: se stai solo e stai bene, stai benissimo, se stai solo e stai male, stai malissimo».

LIVELLI DI COLESTEROLO

Uscendo dai territori della spiritualità e dell’arte, studi e ricerche più recenti indicano che lo stare da soli, il sentirsi soli, non come esperienza transitoria o come dimensione scelta , ma come stato cronico, subito, rappresenta una minaccia grave perla salute e il benessere. Rischi legati a pressione sanguigna alta, aumento dei livelli di colesterolo e malattie coronariche, a disturbi del sonno e aumento del rischio di disturbi cognitivi e demenza. Può anche essere dannosa per la salute comportamentale, mentale e sociale, portando anche a possibili abusi di sostanze, e poi, come già sottolineato, ansia, depressione, malessere sociale. Secondo un’analisi pubblicata nel 2015, le persone che vivevano in solitudine cronica avevano un rischio maggiore di mortalità del 26%.

Il periodo della pandemia, con il conseguente isolamento, ha aggravato la situazione. Paradossalmente, ma forse neppure tanto, più si vive connessi, praticamente 24 ore su 24, più aumenta il senso di isolamento e di vuoto. Per cambiare bisognerebbe probabilmente tornare al vecchio sistema: parlarsi di persona, incontrarsi in qualche posto, che non sia virtuale, fluttuante nella Rete. Vivere insieme, in carne e ossa.

di Caterina Maniaci

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