Nel bosco dietro l’Eremo ElGram, puliti tutti i rovi… è saltato fuori un “ciabot” con tanto di vasca per il verderame!
Ora, tempo tempo, vedrò di restaurarlo! Per chi non è delle mie valli… un bell’articolo dell’ex Sindaco di Almese che spiega bene cos’è un “ciabot”! 😜
IL CIABÒT, CARATTERISTICO FABBRICATO DEI VIGNETI PIEMONTESI
Era una classica costruzione delle nostre vigne “d’antan”. Quasi tutte ne erano dotate: chi non poteva per spazio o per motivi economici rimediava con la costruzione della benna,una costruzione ben più spartana che doveva però essere rinnovata quasi ogni anno.
Il ciabòt era una classica costruzione delle nostre vigne “d’antan”. Quasi tutte ne erano dotate: chi non poteva per spazio o per motivi economici rimediava con la costruzione della benna, una costruzione ben più spartana che doveva però essere rinnovata quasi ogni anno.
Qual era lo scopo di queste costruzioni?
In primo luogo fungevano da ricovero per alcuni attrezzi, che così non dovevano essere trasportati “avanti e indietro”, e permettevano ai contadini di rimanere in vigna tutta la giornata, senza dover rientrare per il pranzo. Qui inoltre trovavano riparo dal sole e dalla pioggia, e potevano magari godere di una pennichella nelle ore più calde.
Ciabot a Bruzolo (Cristina Davì).
La copertura del ciabòt è inoltre uno strumento per raccogliere l’acqua piovana, che in genere veniva convogliata in una vasca interna. L’acqua così raccolta veniva poi utilizzata nei momenti di necessità, quando la siccità prolungata rendeva necessaria l’irrigazione dei “piedi” delle viti, e per preparare le soluzioni di verderame ed altri antiparassitari.
Quando occorreva trattare la vigna si riempiva la vasca piccola esterna nella quale, la sera precedente i lavori, veniva messo a sciogliere il solfato di rame in scaglie (verderame). La mattina successiva si aggiungeva un po’ d’acqua di calce, si girava ben bene e si dava il via al trattamento.
Un terzo tipo di esigenza, tipico delle zone più “ricche”, Langhe e Monferrato, è quello di avere una piccola abitazione nel vigneto, da utilizzare nei periodi dell’anno in cui si concentravano i lavori. Questo ha permesso la nascita di strutture più elaborate, a più piani, con la presenza di decorazioni ed intonaci, e magari anche del camino e di qualche arredo. In qualche caso divengono uno strumento per rendere pubblico un certo benessere economico.
L’uso dei ciabòt è stato negli anni abbandonato per la diffusione delle macchine agricole, che consentono spostamenti più veloci e riducono il bisogno di avere un ripostiglio per gli attrezzi da lavoro.
LE TIPOLOGIE COSTRUTTIVE
La benna è una struttura a capannina a due falde, ciascuna formata dalla sapiente posa in parallelo di fascine quasi sempre di meliass (mais) con con il lato lungo (altezza) sovrapposto al precedente, a ‘correre’ in orizzontale. Semplice e poco costosa è sufficiente per il ricovero di qualche attrezzo agricolo, eventuale pennichella pomeridiana e riparo dalle improvvise piogge o temporali. La vasca del verderame in genere era in cemento, all’esterno della benna e spesso sulla soletta della vasca interrata di raccolta dell’acqua piovana.
Il ciabòt in foto, di cui restano soltanto pezzi di muro, si trova nelle vigne di Almese. Per la struttura sono stati utilizzati sia materiali reperibili in loco (pietre) che materiali di recupero (cocci e mattoni avanzati da altri interventi edilizi). Il legante era la sabbia (che qui in morena non manca) mista a calce.
Il tetto era costituito da coppi alla piemontese, posati su orditura di travi di castagno e correnti di abete. La pianta è quadrata, di 4 metri di lato, mentre l’altezza al ‘dormiente’ anteriore di 4m. ed al posteriore di 2m. con una bella sporgenza (pantalera) di 1,2 metri sul davanti e 70 cm sul retro.
Le vasche per il verderame erano due: una per la calce e l’altra per il rame, interne alla costruzione. La vasca raccolta acqua piovana interrata non c’era, probabilmente venivano usate vasche esterne di ferro zincato sotto alla caditoia della grondaia.
La vigna asservita era di oltre mezza giornata (circa 2000 metri quadrati) e apparteneva alla famiglia Bosio (“Sapet”): il cognome della proprietà da ieri ad oggi non è cambiato.
Da oltre cent’anni, a fasi alterne, la famiglia Bosio ha coltivato la vite sulla collina di Almese, e da qualche anno Giuliano ha deciso di far rivivere questa tradizione, incontrando il Baratuciat proprio mentre veniva riscoperto.