Rimase ferito nel bombardamento atomico di Hiroshima nel 1945. Cercò di portare la meditazione buddista nella cultura occidentale

Un incontro-scontro tra cattolicesimo e buddismo: la recente pellicola di Martin Scorsese “Silence” pone sul tappeto grandi temi esistenziali; ma c’è una figura – tutta da riscoprire – che fornisce molte risposte agli interrogativi sollevati dal regista. Il film narra la storia di tre missionari portoghesi perseguitati dallo Shogunato, nel Giappone del 1600, a causa della loro fede cristiana. Lontano da semplicistiche visioni di parte, il cattolico Scorsese, basatosi sul romanzo di Shūsaku Endō, dà spazio al dibattito teologico fra le due culture spirituali, ponendo al centro il tema della verità e del silenzio, inteso sia come silenzio di Dio di fronte alla sofferenza, sia, più sommessamente, come dimensione spirituale attraverso la quale raggiungere la comunicazione con il divino.

Se i gesuiti protagonisti del film, costretti all’abiura, hanno affascinato dolorosamente i numerosi spettatori, in pochi conoscono la storia di Hugo Lassalle, (1898-1990) gesuita tedesco missionario in Giappone che, pur diventando un maestro zen e assumendo il secondo nome nipponico di Makibi Enomya, rimase pienamente all’interno dell’ortodossia cattolica, tanto da divenire il più significativo rappresentante dell’integrazione tra spiritualità occidentale e orientale.

Foto: una scena del film “Silence” di Martin Scorsese

Di figura ascetica, altissimo e magro, Padre Lassalle portò in Occidente la meditazione di eredità buddista, avendo sperimentato che, a suo dire: «Nello zen l’anima va incontro a Dio fino all’estremo limite delle sue possibilità».

Come spiega la parola zazen, “meditare seduti”, tale pratica consiste in esercizi di postura, respirazione e concentrazione volti a creare uno stato di coscienza profondamente contemplativo, dove l’attività del pensiero viene azzerata per lasciar emergere uno stato di assoluta pace e consapevolezza. Solo in questa dimensione, spiegava Lassalle, si può ottenere una conoscenza empirica e intuitiva di Dio.

Eppure, come ricordava il gesuita, una tradizione di pratica mistica per molti aspetti assimilabile allo zen esisteva, già da secoli, nella tradizione cattolica: basti citare gli insegnamenti dei santi Bonaventura da Bagnoregio, Teresa d’Avila, Giovanni della Croce e soprattutto gli esercizi spirituali di Ignazio di Loyola che, a quanto sosteneva anche Carl Gustav Jung, erano, in Occidente, una delle forme di meditazione cristiana che meglio giungeva fino all’inconscio.

Nel suo libro fondamentale “Zen e spiritualità cristiana”, Hugo Lassalle sosteneva che la tradizione religiosa dell’Occidente fosse troppo legata al pensiero concettuale per offrire ai credenti una conoscenza diretta ed esperienziale di Dio alla quale la meditazione buddista si era, invece, avvicinata pur senza aver beneficiato della rivelazione di Cristo: «In Occidente predomina più il conscio, in Oriente l’inconscio. Entrambi i campi devono integrarsi perché sorga una piena personalità. Questo è il futuro per un rinnovamento profondo della fede cristiana».

La pratica dello zen non è, infatti, indissolubilmente legata al Buddismo, ma, secondo l’autore, produce nel cristiano il consolidamento della sua fede e il passaggio a una forma di preghiera più profonda. L’abbandono delle illusioni e degli attaccamenti, il contatto con il momento presente, il raccoglimento interiore sono, secondo il sacerdote tedesco, le condizioni attraverso cui fiorisce spontaneamente l’amore verso gli altri.

Al missionario Rodrigues protagonista di “Silence”, che sottoposto alla tortura, non riesce ad ascoltare la voce di Dio, il correligionario Lassalle sembra quindi rispondere idealmente: «Per molti uomini c’è qualcosa che blocca l’accesso a Dio. Questo può essere la realtà del dolore, della fame o della guerra. Tali ostacoli vengono subito eliminati dalla meditazione zen che sospende il pensiero discorsivo». Anche nel film di Scorsese, in effetti, trapela in diversi momenti l’idea che il silenzio di Dio non esista, ma che sia solo offuscato dal “rumore” prodotto dalla mente umana.

A proposito del dolore, la medicina occidentale da decenni valuta con interesse sempre crescente i benefici fisici prodotti dalla meditazione contemplativa. La lunga vita di Padre Lassalle (92 anni) pare esserne un’autorevole dimostrazione, considerando che il sacerdote rimase ferito nel bombardamento atomico di Hiroshima, il 6 agosto 1945. Pur avendo portato per tutta la vita le cicatrici di quella terribile esplosione, il religioso non rientrò in quei 35.000 abitanti di Hiroshima che morirono per l’effetto ritardato delle radiazioni (aggiungendosi alle 65.000 vittime del bombardamento). Visse ancora 45 anni e, proprio insieme al vescovo di Hiroshima, partecipò al Concilio Vaticano II, indetto da Papa Giovanni XXIII, dopo il quale poté portare avanti, ufficialmente, la sua missione di integrazione culturale tra Oriente e Occidente.

Una figura di alto spessore intellettuale quella di Hugo Enomya Lassalle che, nell’era della globalizzazione, e in concomitanza con l’uscita nelle sale di “Silence”, meriterebbe l’attenzione non solo di Cattolici e Buddisti, ma anche dei non credenti.

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