L’eusocialità negli imenotteri è stata raggiunta mediante svariati percorsi genetici che porta all’eusocialità, anche se con alcune notevoli similitudini ad accomunare tra loro questi percorsi complementari
Un recente lavoro a prima firma Karen M. Kapheim e pubblicato su Science si è occupato dell’affascinante fenomeno dell’eusocialità degli insetti, il più alto livello di organizzazione sociale che si ritrova negli animali; è caratterizzata dall’allevamento cooperativo della prole, dalla convivenza nella stessa colonia di individui appartenenti a generazioni differenti e dalla divisione specializzata del lavoro, primariamente tra riproduttori e lavoratori e, in seguito, in vere e proprie caste.
Si fa presto a dire sociale
Come spesso accade, le caratteristiche che portano all’eusocialità sono presenti in forma è intensità variabile fra varie specie oggi esistenti. Stabilire dove e quando inizi questa caratteristica si è quindi da subito dimostrata un terreno scivoloso per i ricercatori. Nel paper gli autori distinguono tra due passaggi fondamentali necessari per arrivare all’eusocialità. Una socialità di base, in cui un piccolo gruppo di individui imparentati appartenenti a una specie si divide tra riproduttori specializzati e lavoratori (sterili o poco adatti a riprodursi, ma ancora versatili nel lavoro svolto) che rinunciano a produrre figli propri per favorire il riproduttore. Un’eusocialità completa in cui pochi riproduttori sono assistiti da moltissimi lavoratori sterili (a volte migliaia) a loro volta divisi in vere caste, specializzate per anatomia o comportamento a compiere particolari lavori. Per comprendere quale genere di mutamenti genetici abbiano favorito l’instaurarsi di questi comportamenti sociali fra gli insetti, i ricercatori hanno sequenziato il genoma di cinque specie appartenenti alla superfamiglia Apoidea, oltre a prendere in esame i genomi, disponibili pubblicamente, di altre cinque specie appartenenti a questa superfamiglia; per un totale di dieci specie suddivise fra tre famiglie. I più probabili alberi filogenetici, ricostruiti statisticamente per le dieci specie, mostrano come fra esse sia la socialità di base che il passaggio da questa all’eusocialità siano avvenute indipendentemente almeno due volte ciascuna.
Un inizio in rete
Il paradigma teorico più diffuso prevede che la nascita della socialità di base sia legata alla comparsa di reti di regolazione strettamente interconnesse nell’espressione dei geni. Per testare l’ipotesi gli autori hanno assegnato alle varie specie un punteggio relativo al grado di socialità. Ne hanno poi verificato la correlazione con la presenza di fenomeni di regolazione genica come promotori genici inducibili, presenza di metilazione del DNA (implicata nella regolazione epigenetica) oppure il numero geni il cui prodotto si lega alla cromatina regolandone l’espressione. L’esito dei test è risultato favorevole all’ipotesi iniziale, anche prendendo in considerazione isolatamente i casi di evoluzione di socialità ritenuti indipendenti fra loro. Con l’aumento della socialità, inoltre, la velocità di evoluzione dei geni legati fra loro nella rete di regolazione pare rallentare; probabilmente perché le proteine prodotte finiscono per essere finemente adattate a interagire tra loro nella rete di regolazione.
Socialità nuova, geni nuovi
L’evoluzione della socialità di base, pur nell’indipendenza dei percorsi genetici propri di ogni singola specie, presenta una serie di tratti in comune. Prima fra tutte la rete di regolazione dei geni che producono questo comportamento che, nonostante la difficoltà di modificarla nei suoi singoli componenti, permette alle specie eusociali di adattarsi molto bene a eventuali mutamenti ambientali, se non eccessivi, tramite la sua estrema regolabilità. Anche le funzioni di molti dei geni legati nella rete, pur non essendo le stesse in ogni specie, sembrano simili tra loro e volte a migliorare le interazioni sociali fra individui, controllando la neurogenesi o la formazione di recettori per ormoni e feromoni. Passare dalla socialità di base a un’eusocialità completa, richiede che la selezione metta mano a una rete già collaudata col rischio di danneggiarla. Ciò nonostante l’eusocialità si è evoluta, più volte e indipendentemente, rivelandosi un vantaggio ulteriore per le specie che la raggiungono rispetto a una semplice socialità di base. Il meccanismo che porta a questo passaggio prevede l’evoluzione di geni con funzioni nuove, anziché una maggiore regolazione di geni già presenti. Le funzioni esercitate da questi geni sono inoltre differenti in ogni specie eusociale che ha evoluto questa caratteristica a partire da una condizione di socialità di base. In pratica, ogni specie deve trovare la sua strada per l’eusocialità completa.
Un po’ di relax
Un ulteriore aspetto interessante della ricerca di Kapheim e colleghi è la dimostrazione che molte delle trasformazioni avvenute nei geni implicati nella transizione verso l’eusocialità (circa un terzo) sono frutto della cosiddetta selezione rilassata; una situazione per certi versi simile a quella sperimentata in cattività, dove la competizione e le pressioni ambientali sono scarse e le trasformazioni genetiche frutto principalmente di mutazioni neutre (ne dannose ne vantaggiose). Questo meccanismo, secondo i ricercatori, sarebbe il frutto della trasformazione delle colonie eusociali da insieme di individui a un’unità funzionale altamente interdipendente, quello che alcuni teorici chiamano superorganismo: dove oggetto di selezione è lo sciame nel suo insieme anziché gli individui. Uno sciame, può raggiungere un peso complessivo di vari chilogrammi, dalla sua formazione impiega diversi anni prima di potersi riprodurre e, nel complesso, può sopravvivere decine di anni. Finisce quindi per assumere caratteristiche genetiche ed ecologiche simili a quelle dei grandi vertebrati, con ridotti livelli di competizione sia interspecifica (non ci si mette contro un gigante) che intraspecifica (meno individui in un habitat a competere per le stesse risorse e per riprodursi).
Un modello di successo
La ricerca del gruppo di Kapheim aggiunge un’ulteriore tassello alla comprensione di un fenomeno come quello della socialità degli insetti, che ha sempre affascinato sia gli scienziati che i profani. Edward Osborne Wilson, una celebrità fra i biologi che studiano la socialità fra gli insetti, ha certificato l’enorme successo evolutivo di questo comportamento, ipotizzando in una sua ricerca che la biomassa ottenuta sommando il peso di tutte le formiche presenti sul pianeta potrebbe essere superiore a quella ottenuta sommando tutti gli esseri umani. Ha riassunto poi il senso generale di queste ricerche con una sua battuta divenuta abbastanza famosa fra i biologi: “Le teorie di Karl Marx non sono per nulla sbagliate, aveva solo sbagliato specie!”
Riferimenti:
Kapheim KM, Pan H, Li C, Salzberg SL, Puiu D, Magoc T, Robertson HM, Hudson ME, Venkat A, Fischman BJ, Hernandez A, Yandell M, Ence D, Holt C, Yocum GD, Kemp WP, BoschJ, Waterhouse RM, Zdobnov EM, Stolle E, Kraus FB, Helbing S, Moritz RF, Glastad KM, Hunt BG, Goodisman MA, Hauser F, Grimmelikhuijzen CJ, Pinheiro DG, Nunes FM, Soares MP, Tanaka ÉD, Simões ZL, Hartfelder K, Evans JD, Barribeau SM, Johnson RM, Massey JH, Southey BR, Hasselmann M, Hamacher D, Biewer M, Kent CF, Zayed A, Blatti C 3rd, Sinha S, Johnston JS, Hanrahan SJ, Kocher SD, Wang J, Robinson GE, Zhang G. Genomic signatures of evolutionary transitions fromsolitary to group living. Science. 2015 May 14