Andando per funghi nei boschi della Valmessa mi è caduto l’occhio su questa sorta di crocus autunnale … per coincidenza ho poi letto un articolo online sulla sua pericolosità per l’estrema tossicità di ogni sua parte. Così ho approfondito…
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IL COLCHICO AUTUNNALE, BELLO E PERICOLOSO: POCHI GRAMMI POSSONO ESSERE MORTALI
Ha una bellezza ingannevole il fiore del colchico, pianta bulbosa perenne altamente velenosa che assomiglia al crocus.
Classificato, secondo recenti sistemi, come appartenente alla famiglia delle Colchicaceae (precedentemente era stato inserito tra le Liliaceae), il suo bulbo ha un diametro variabile tra i 5 e 12 centimetri.
Cresce bene in zone umide, dove il terreno è particolarmente ricco di humus: in primavera spuntano le foglie, grandi e carnose, di colore verde chiaro, che possono raggiungere i 30 centimetri. Durante l’estate le foglie seccano e cedono il passo ai fiori: talvolta essi sbocciano già alla fine della stagione, ma la maggior fioritura si verifica in autunno.
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Ogni parte della pianta, conosciuta anche come falso zafferano, è tossica: contiene infatti un alcaloide che, in dosi molto ridotte, viene impiegato come farmaco per contrastare la gotta, come analgesico, antimicotico, antitumorale e per favorire lo svuotamento della bile.
Se ingerito, il colchico può provocare vomito, nausea, bruciore alla bocca, diarrea sanguinolenta, tachicardia, convulsioni, asfissia, e condurre in breve tempo alla morte. In alcuni soggetti anche solo il contatto con i fiori può scatenare irritazioni cutanee.
Non esiste un antidoto: pochi milligrammi, magari erroneamente impiegati per cucinare un risotto, possono essere letali. L’unica cosa da fare se ci si accorge di aver ingerito il colchico d’autunno è una lavanda gastrica.
Colchicum
Avvelenamento
VELENOSO MORTALE. Contiene colchicina.
Si tratta di specie assai velenose, alle cui tossine mortali non esiste antidoto. I rischi di avvelenamento sono spesso da ascrivere alla forte somiglianza dei fiori con quelli del genere Crocus che fioriscono a fine inverno, con cui vengono facilmente confusi. Della specie Colchicum autumnale che fiorisce a ottobre, bastano pochi milligrammi (erbette per fare risotto), per essere mortali per l’uomo.
Si sono riscontrati casi di cefalea, vomito, diarrea, convulsioni e fenomeni asfittici. Per quanto riguarda il suo meccanismo d’azione mentre rallenta le ossidazioni, inibisce il cumulo delle scorie. Utilizzato prevalentemente contro la gotta, trova applicazione come analgesico, colagogo e antimicotico. È assorbito lentamente dall’organismo.
Colchicum tra storia e leggenda
Questa tipologia floreale, nota come la Freddolina, è stata spesso oggetto di numerose tradizioni orali diffuse nelle Dolomiti e nella lontana Colchide sul Mar Nero. Le saghe di origine nordica vogliono derivi da frammenti di una preziosissima gemma denominata “Ametista Fiammante”, contesa da due popoli di Geni dell’Alpe. Esausta della guerra, una principessa, figlia di uno dei re che si scontravano, fece cadere la gemma in una valle e la stessa si frantumò trasformandosi in tanti fiori violacei. Una cosa particolare, come nota Tullia Rizzotti, è che sulle Dolomiti è veramente presente l’ametista.
Colchicum autumnale
Il colchico d’autunno (Colchicum autumnale L., 1753) o falso zafferano, è una piccola pianta bulbosa erbacea autunnale, velenosa, dai vistosi fiori color rosa-violetto appartenente alla famiglia delle Colchicaceae. Fiorisce in autunno, è mortale per l’uomo anche se ingerito a basse dosi e non va confuso con il Crocus che invece fiorisce a marzo, sul finire dell’inverno.
Etimologia
Per merito della sua fioritura anomala (in autunno) e quindi facilmente individuabile, il colchico è una pianta conosciuta fin dai tempi più antichi. In effetti il termine colchicum (in greco antico = kolchikòn) etimologicamente è posta in relazione all’antica Colchide (un regno affacciato sul Mar Nero nell’Asia Caucasica). Questo nome lo si trova già nei trattati di medicina di Dioscoride Pedanio (Anazarbe in Cilicia, 40 circa – 90 circa), medico, botanico e farmacista greco antico che esercitò a Roma ai tempi dell’imperatore Nerone e Galeno di Pergamo (129 – 216), medico greco antico ellenista.
Il nome venne ripreso per la prima volta in tempi moderni dal botanico francese Joseph Pitton de Tournefort (5 giugno 1656 — 28 dicembre 1708) e consolidato definitivamente come genere nel 1737 da Linneo. L’epiteto specifico (autumnale) fa ovviamente riferimento al periodo di fioritura anche se la stessa può avvenire anche in piena estate e può trarre in inganno chi crede di raccogliere lo zafferano (Crocus sativus) anche con esiti mortali.
Il binomio scientifico attualmente accettato (Colchicum autumnale) è stato proposto da Carl von Linné (Rashult, 23 maggio 1707 –Uppsala, 10 gennaio 1778), biologo e scrittore svedese, considerato il padre della moderna classificazione scientifica degli organismi viventi, nella pubblicazione Species Plantarum del 1753.
In lingua tedesca questa pianta si chiama Herbstzeitlose; in francese si chiama colchique d’automne; in inglese si chiama meadow saffron oppure autumn crocus.
Usi
Farmacia
- Sostanze presenti: sono piante velenose in quanto contengono la colchicina, un alcaloide altamente tossico (tra i vari effetti impedisce la formazione del fuso mitotico nelle cellule e quindi favorisce la poliploidia) contenuto soprattutto nei semi della pianta, ma anche nel bulbo. Se ingerito causa bruciore alla bocca, nausee, coliche, diarrea sanguinolenta, delirio e anche la morte. A volte la sola manipolazione del fiore può causare danni alla pelle. Questa sostanza viene definita anche “arsenico vegetale”. Oltre all’alcaloide descritto, queste piante contengono altre sostanze come colchicoside, grassi vari, gomme, resine, tannino, olio e acido gallico. Per la sua pericolosità è una “pianta non ammessa” dal Ministero della Salute nella preparazione degli integratori alimentari.
- Proprietà curative: queste piante sono usate sia dalla medicina popolare che da quella moderna per le loro proprietà antitumorali, analgesiche (attenua il dolore), antipiretiche (abbassa la temperatura corporea), antigottose, emetiche (utile in caso di avvelenamento in quanto provoca il vomito) e altro ancora. In passato si riteneva che il succo del bulbo del fiore, mescolato al salnitro, fosse utile per curare l’artrite e la gotta. La pianta veniva inoltre utilizzata nelle pratiche alchemiche, in quanto si riteneva che potesse aiutare a raggiungere l’etere.
- Parti usate: i semi e i tuberi con i quali si possono fare degli estratti fluidi o delle tinture.
Giardinaggio
È facile trovare questa pianta nei giardini rustici o alpini sia per la delicata bellezza dei suoi fiori che per il periodo di fioritura, l’autunno, quando la maggioranza degli altri fiori ha già fatto il loro ciclo.
Nelle versioni orticole (o cultivar) i fiori possono avere colorazioni diverse dalla specie spontanea, oppure possono essere screziati o anche a fiori doppi. Queste piante vanno messe in terreni abbastanza ricchi, soleggiati e non troppo asciutti. I bulbi dormienti resistono abbastanza bene anche a temperature di circa -20 °C e vanno messi a circa 7 – 10 cm in profondità nei mesi estivi (luglio). Si propagano attraverso il seme e richiedono mediamente 4 – 5 anni per raggiungere la maturità.
Altri usi
Gli Zafferani falsi sono spesso impiegati in studi sperimentali di genetica agraria in quanto i processi che precedono la divisione della cellula (processi “cariocinetici”), in queste piante, sono abnormi determinando spesso fenomeni di poliploidismo.
Medicina
È la specie più nota. Si utilizzano di questa pianta il bulbo, i semi, ed i fiori; queste parti contengono amido, zucchero, gomma, resina e due alcaloidi velenosissimi, la colchicina e la colchiceina: solo la prima ha trovato impiego in dosi basse (0,5–1 mg). Danno testimonianza di tali aspetti velenosi i due scritti di Dioscoride di Anazarbe e Nicandro di Colofone, rispettivamente nelle loro opere De De materia medica e Georgiche.
Storia
Le proprietà e le qualità della pianta erano già note nell’antichità e nella antica medicina greca veniva indicata per curare l’artrite. Dagli inizi del Seicento, la pianta è iscritta alla farmacopea inglese.