‘Una mela al giorno’, come recita il noto adagio più volte confermato dalla scienza, è in sintesi un toccasana per la salute.
Uno studio appena pubblicato rileva ora il percorso che alcuni nutrienti benefici di questo frutto, i polifenoli, fanno nel corpo umano e il ruolo del microbiota intestinale.
La ricerca è stata condotta dalla Fondazione Edmund Mach, in collaborazione con il Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria (Crea), finanziata dal progetto Ager Melo e appena pubblicata su ‘Food Research International’, rivista del Canadian Institute of Food Science and Technology (Cifst).
Lo studio ha impegnato il team di ricerca per 5 anni. Gli scienziati hanno scoperto le complesse trasformazioni dei polifenoli in 110 forme chimiche biodisponibili all’organismo umano, evidenziando il ruolo decisivo del microbiota intestinale nell’azione benefica di questi composti bioattivi.
I risultati forniscono informazioni essenziali – spiega una nota – per mappare la ‘nutri-cinetica’, ossia il transito nel corpo umano delle molecole che possono avere una reale attività protettiva sulla salute dell’uomo.
E propongono una metodologia innovativa basata su tecniche multi-omiche (metabolomica e metagenomica), per correlare la biodisponibilità alla composizione del microbiota intestinale.
La ricerca è finanziato dal progetto Ager Melo, all’interno dell’obiettivo ‘qualità e salute’.
I ricercatori del Dipartimento qualità alimentare e nutrizione Fem e del Centro di ricerca alimenti e nutrizione del Crea hanno seguito un gruppo di 12 volontari sani, che in due diverse occasioni hanno consumato una spremuta di mela di alta qualità, semplice oppure arricchita in polifenoli della mela, con l’obiettivo di valutare come queste sostanze presenti nella mela fossero metabolizzati.
I polifenoli sono molecole naturali di interesse nutrizionale, in quanto posseggono attività antinfiammatorie, anti-diabetogene e anti-cancerogene in modelli in vitro e animali.
Non è chiaro però come queste molecole, tra loro estremamente diversificate, possano svolgere queste attività benefiche anche sull’uomo.
La ricerca ha dimostrato che nessuno dei composti fenolici presenti nel succo di mela si ritrova nell’organismo nella sua forma originale (cioè quella presente nella mela).
Infatti questi composti vengono variamente metabolizzati nell’uomo in 110 diverse forme chimiche che compaiono nel circolo sanguigno prima e nelle urine poi.
Utilizzando tecniche metabolomiche, che permettono lo studio contemporaneo di un numero molto elevato di composti, i ricercatori hanno potuto descrivere la cinetica di metaboliti di particolare interesse, derivanti in particolare dalla floretina, dai flavanoli (catechine e procianidine) e dall’acido clorogenico.
Tutti composti fenolici particolarmente abbondanti nella mela, specie se consumata con la buccia. “La quantità e la persistenza di ognuna di queste molecole nei fluidi biologici (sangue e urine) è risultata molto variabile tra un individuo e l’altro – spiegano i ricercatori – non solo a causa di differenze genetiche, ma anche a causa di differenze nella composizione del microbiota intestinale”.
Infatti i ricercatori hanno potuto appurare che, mentre il 40% dei metaboliti originava dai processi metabolici umani, il restante 60% richiedeva l’intervento dell’azione dei batteri intestinali per poter entrare in circolo.
I metaboliti derivanti dal metabolismo microbico sono risultati più persistenti, cioè capaci di rimanere in circolo per periodi molto più lunghi. Inoltre è stata osservata un’interessante correlazione tra la composizione dei batteri intestinali, misurata tramite esperimenti di metagenomica, e la quantità di metaboliti circolanti.
La composizione del microbiota intestinale appare quindi un fattore importante per mediare l’azione del consumo di mela.
L’esperimento ha permesso di dimostrare che, all’aumentare della ricchezza in polifenoli, aumentano le quantità dei loro metaboliti circolanti che dipendono dalla dose assunta.
Mentre una parte limitata dei composti bioattivi della mela transitano rapidamente nell’organismo umano, la maggioranza persiste nelle urine anche a 24 ore dal consumo, in concentrazioni molto variabili e modulate dal microbiota individuale.
FONTE (AdnKronos Salute)