Alla conferenza di ESCP Europe di venerdì 21 giugno a Torino, il dibattito verterà su un approccio multidisciplinare nei confronti della IA: «Nelle aziende si deve puntare sulle abilità cognitive, per far sì che le macchine lavorino per soddisfare le nostre esigenze»
L’evoluzione dell’intelligenza umana nell’era dell’intelligenza artificiale pone molti quesiti tecnici, etici, teorici e pratici, ed è per questo motivo che la discussione nel campo dell’innovazione non può più essere territorio esclusivamente scientifico, ma anche economico, filosofico, psicologico e sociologico.
UN APPROCCIO MULTIDISCIPLINARE
«La conferenza offre uno sguardo interdisciplinare e una riflessione trasversale sugli scenari futuri e sulle conseguenze che l’intelligenza artificiale avrà tanto sui modelli di business che sulle dinamiche sociali» dichiara Francesco Rattalino, direttore del Campus torinese della scuola. «L’intelligenza artificiale non ha la sensibilità per gestire eventi e crisi imprevedibili – spiega Riccardo Viale, professore di Scienze Comportamentali ed Economia Cognitiva all’Università degli Studi di Milano-Bicocca – è quindi necessaria una maggiore consapevolezza della capacità umana di trovare scorciatoie cognitive, le cosiddette abilità euristiche, che ci permettono di attingere alla nostra esperienza quotidiana per sopravvivere e superare ogni ostacolo».
A questo proposito è interessante sottolineare che, secondo una ricerca del 2018 del World Economic Forum, le abilità più richieste nel mondo del lavoro da qui a 5 anni saranno: capacità di persuasione e negoziazione; attenzione ai dettagli; soluzione di problemi complessi; spiccato personal branding; apprendimento attivo. Tra le competenze: creatività e originalità; flessibilità e mentalità imprenditoriale; intelligenza emotiva; perseveranza e resilienza.
LE MACCHINE NON CI RUBERANNO IL LAVORO
Alla conferenza parteciperà anche Terence Tse, uno dei massimi esperti di intelligenza artificiale al mondo: «Bisogna sfatare il mito che le macchine ruberanno il lavoro agli esseri umani; invece, perderemo certamente parte delle nostre attività lavorative».
Dunque, su quali competenze dovrebbero puntare i nativi digitali per collaborare proficuamente con le intelligenze artificiali di domani?
«Oggi nelle aziende bisogna puntare su creatività e intuito, su abilità cognitive importanti. Non mi piace chiamarle soft skill, perché richiama un concetto di debolezza, mentre queste abilità sono fondamentali per estendere il nostro modo di pensare e per far sì che le macchine lavorino per soddisfare le nostre esigenze, e le persone che le controllano ci ascoltino – spiega Tse a La Stampa -. Ritengo però che oggi non ci sia una adeguata attenzione nel coltivare queste abilità».
Infatti queste capacità si apprendono più con l’esperienza e col vissuto personale piuttosto che sui banchi di scuola: cosa deve cambiare nel sistema educativo per preparare la società del futuro?
«Innanzitutto credo sia necessario abituare i bambini alle diversità, affinché i dati inseriti nelle macchine non siano frutto di un solo gruppo sociale. I dataset riflettono l’uomo, perciò le macchine si comporteranno di conseguenza. Bisogna poi educare a discernere i fatti dalle emozioni, e a capire quando ci si trova di fronte alla misinformazione e alla disinformazione. Basti pensare alle notizie veicolate su Facebook a proposito della Brexit o della campagna elettorale di Donald Trump, che si basavano non su fatti, ma su falsità, totali o parziali, che facevano leva sulle emozioni delle persone».
Come lei stesso ha affermato, le macchine non sono in grado di lavorare in modo etico, quindi ingiustizia e discriminazione potrebbero essere automatizzate. Cosa possiamo fare per prevenire il problema di una intelligenza artificiale nelle mani sbagliate?
«Questa è una domanda difficilissima. Dobbiamo capire cosa è etico e cosa non lo è, al di là di quanto possa essere economicamente profittevole ciò di cui si discute. E ricollegandomi alla domanda precedente, penso che se non riusciremo ad abbracciare le diversità, ad accettare l’altro, allora molte ingiustizie nel futuro saranno automatizzate».
A livello cognitivo, come ci evolveremo nei prossimi 50-100 anni? E quale relazione avremo con la tecnologia?
«Più usiamo la tecnologia e più diventiamo stupidi. Ad esempio, non ricordiamo i numeri di telefono perché lo smartphone lo fa per noi, oppure non sappiamo più leggere una mappa perché il navigatore ci guida ovunque, e così via. Il nostro cervello, perciò, evolverà in questa direzione, e dovremo essere bravi a non perdere l’abilità di pensare, di porci domande etiche, di comunicare e di coltivare le nostre capacità relazionali».