Un nuovo studio combina tecniche avanzate di imaging avanzata e intelligenza artificiale per “isolare” i pensieri suicidi nel cervello e cercare di prevedere quali soggetti sono potenziali suicidi
Prevedere le persone a maggiore rischio suicidio esaminandone il cervello mediante imaging cerebrale e intelligenza artificiale. È questo l’ambizioso obiettivo di un’équipe di ricercatori della Harvard University, che in uno studio appena pubblicato su Nature Human Behaviour descrivono, per l’appunto, i risultati ottenuti sottoponendo a risonanza magnetica funzionale i cervelli di persone che avevano tentato il suicidio, di persone che avevano pensieri suicidi e di un gruppo di controllo mentre questi ascoltavano parole positive e negative legate ai concetti di vita e morte. Sebbene il lavoro sia relativo a un campione molto ridotto (34 persone, di cui 17 con pensieri suicidi), gli autori sostengono che la tecnica abbia dato risultati incoraggianti, individuando correttamente i suicidi nel 91% dei casi.
“Dal nostro studio”, spiega Matthew Nock, uno degli autori del lavoro, psicologo clinico ad Harvard, “emerge che i cervelli di aspiranti suicidi rispondono diversamente alle sensazioni evocate ascoltando parole legate a concetti di vita e morte.
Siamo riusciti a discernere con un grado di accuratezza sorprendente i soggetti che avevano avuto pensieri suicidi da quelli che non ne aveano avuti. Tra quelli che avevano avuto intenzioni suicide, inoltre, siamo riusciti addirittura a identificare chi aveva tentato l’atto e chi no”. Un compito finora ritenuto molto difficile, anche se qualche mese fa si erano già ottenuti buoni risultati: come racconta Scientific American, un altro team di ricercatori aveva usato l’intelligenza artificiale per analizzare cartelle cliniche di diversi pazienti e prevederne il rischio di suicidio, riuscendoci con un’accuratezza tra l’80 e il 90%.
In precedenza, Nock aveva già usato il cosiddetto test associativo per determinare il rischio di suicidio: il test consiste nell’accoppiare parole legate ai concetti di vita e morte con espressioni come “come me” e “non come me”. Conducendo questo esperimento, lo scienziato aveva notato che le persone con intenzioni suicide tendono a rispondere più velocemente quando le parole “morte” e “me” sono accoppiate. Nel frattempo, e in modo del tutto indipendente, un altro ricercatore, Marcel Just, neuroscienziato cognitivo alla Carnegie Mellon University, stava utilizzando la risonanza magnetica funzionale per identificare i pattern di attivazione cerebrale corrispondenti a determinati pensieri ed emozioni: in una serie di esperimenti, lo scienziato aveva messo a punto un ricco archivio di firme neurali delle emozioni.
Lo studio attuale ha combinato queste due linee di ricerca: interessandosi al lavoro di Nock, Just ha avuto l’intuizione di sottoporre a risonanza magnetica funzionale i cervelli di persone con pensieri suicidi per isolarne i pattern cerebrali. Durante le scansioni cerebrali, i partecipanti allo studio ascoltavano dieci parole legate al suicidio (per esempio “disperato”, “senza speranza”, “senza vita”), dieci parole positive (per esempio “spensierato”) e dieci parole negative (per esempio “problema”). A questo punto è intervenuto l’algoritmo di intelligenza artificiale, precedentemente addestrato a riconoscere le emozioni dei suicidi, che ha esaminato i pattern delle scansioni cerebrali e ha identificato correttamente 15 pazienti su 17 come potenziali suicidi, e 16 su 17 come appartenenti al gruppo di controllo. In un secondo esperimento, l’algoritmo si è focalizzato solo sui 17 pazienti suicidi, riuscendo a riconoscere, con il 94% di accuratezza, quelli che effettivamente avevano tentato l’atto e quelli che lo avevano solo immaginato. La tecnica sarà ora applicata su un campione più ampio di persone per ulteriori validazioni e verifiche.
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