Alle OGR di Torino, potenzialità e sfide da superare per vedere in azione i primi esemplari di una nuova generazione di elaboratori
Nuove tipologie di farmaci, crittografia, tecnologie militari, simulazioni di sistemi complessi. Per poter rispondere in maniera efficiente a queste sfide si è provato a immaginare soluzioni computazionali più performanti di quelle degli attuali supercomputer. Il quantum computing (o computer quantistico) è il dispositivo che può introdurre i cambiamenti più significativi (e performanti) nel modo in cui si elaborano le informazioni. A livello teorico: perché, almeno della potenza che sarebbe necessaria per affrontare le suddette sfide, non ne esistono. Ancora.
Ma la ricerca sta accelerando e gli investimenti crescono: la corsa è cominciata. Lo hanno raccontato, con dovizia di esempi e prospettive, alle OGR di Torino, Andrea Rocchetto, ricercatore di quantum computing dell’Università di Oxford, e Raffaele Mauro, Managing Director di Endeavor Italia e autore del libro “Quantum Computing. Tecnologia, applicazioni, investimenti”.
Una corsa che è iniziata negli anni Ottanta, grazie a pionieri quali Yuri Manin, Richard Feynman e David Deutsch, ha visto crescere l’interessa accademico nel decennio successivo e nel nuovo millennio, grazie all’accelerazione degli sviluppi tecnologici, ha iniziato intravedere un possibile traguardo.
Tutto parte dal qubit
Il quantum computing fa leva su uno dei pilastri della fisica moderna, la meccanica quantistica, traslandone alcune proprietà fondamentali nell’architettura dei calcolatori. «I computer tradizionali si basano sulla logica binaria per processare le informazioni, vale a dire su unità chiamate bit, che possono assumere unicamente due valori, 0 e 1 – scrive Raffaele Mauro nel suo volume –. Invece, nel caso dei computer quantistici, le unità di informazione sono i cosiddetti qubit nei quali, fino all’avvento di una misurazione, è presenta una sovrapposizione di stati, fenomeno tipicamente quantistico, difficilmente osservabile nel mondo macroscopico.» Per semplificare: i computer quantistici possono processare parallelamente lo 0 e l’1 e tutti i valori intermedi. I qubit consentono quindi di svolgere in breve tempo, operazioni che ai computer tradizionali richiederebbero anni.
Prima ancora del qubit, come sottolinea Andrea Rocchetto, c’è un’intuizione: «L’aver pensato che possa esserci una stretta correlazione tra le cose che possiamo computare e la fisica. I computer attuali seguono le regole della fisica classica. Una volta sviluppata la teoria della meccanica quantistica, ci si è chiesti: ci sono cose nuove che potremmo computare usando i principi della meccanica quantistica?»
La risposta è nel quantum computing. Dopo più di due decenni di ricerca di base, negli ultimi cinque anni si è registrata una significativa accelerazione e dal campo della quasi fantascienza si è passati alla ricerca sperimentale, fino ai primi passi di una commercializzazione embrionale, di quelli che si potrebbero definire “quasi” computer quantici. È il caso di D-Wave, che nel 2013 ha reso pubblico il suo computer quantistico. Non senza polemiche: la potenza computazionale non raggiunge ancora le prestazioni promesse e attese. «Oggi si riescono a realizzare piccoli strumenti, che sfruttano una cinquantina di qubit – rimarca Rocchetto –. Per ottenere la potenza di calcolo necessaria a risolvere nuove categorie di problemi servirebbero 10 alla decima qubit.»
Per una macchina dotata di questa potenza, come ha spiegato il fisico americano John Preskill non si devono risolvere solo problemi ingegneristici, ma anche scientifici. «Per le dimensioni che richiede un computer quantistico, dovremmo costruire qualcosa che non esiste in natura, un nuovo stato della materia.» ammette Andrea Rocchetto.
Sicurezza e AI le possibili chiavi di svolta
Sfida complessa, ma che negli ultimi anni appare più accessibile, Crescono infatti gli investimenti sia pubblici sia privati. Giganti come Google e IBM stanno investendo massicciamente nelle tecnologie quantistiche; il governo cinese ha messo sul piatto circa 10 miliardi di dollari, l’Europa ha investito più di un miliardo sulla Quantum Flagship, gli Stati Uniti altrettanto.
Arrivare prima degli altri darebbe vantaggi non indifferenti, tanto da un punto di vista finanziario quanto da un punto di vista geopolitico. Si pensi alle implicazioni in tema di sicurezza, in ambito crittografico ad esempio. I messaggi crittografati sono protetti da algoritmi piuttosto robusti, che gli attuali computer faticano a decodificare, ma non sarebbe così per un computer quantistico. Considerata la delicatezza dei settori coinvolti, negli Stati Uniti i visti per persone non americane che vogliano lavorare per compagnie americane nell’ambito del quantum computing sono al momento bloccati.
Settori che potrebbero contribuire a imprimere un’accelerazione significativa al quantum computing sono quelli dell’intelligenza artificiale del machine learning: migliorare i problemi di ottimizzazione o far apprendere più rapidamente le reti neurali potrebbe avere un impatto su molteplici applicazioni commerciali, vista la diffusione pervasiva di queste tecniche. Rimane però un problema da risolvere: come portare i dati dal mondo classico al mondo quantistico.
Nuove figure professionali
Attualmente a livello teorico sono circa un migliaio le persone che si occupano di quantum computing, in tutto il mondo; e non sono più di 300 gli sviluppatori che si occupano di software e cercano di sviluppare algoritmi da zero, pensati appositamente per i computer quantistici. «Fino ad ora è mancata la possibilità di mettere le mani sulle macchine, non c’è una comunità di programmatori attivi, si è lavorato solo a livello teorico – spiega Rocchetto –. Adesso iniziano a esistere le prime macchine e si può cominciare a sperimentare. La sfida è creare interfaccia e linguaggi di alto livello, che permettano di programmare senza notare la differenza dai computer tradizionali, senza dover studiare la logica che c’è alla base dei computer quantistici.»
Il tema delle competenze, dunque, è cruciale: sarà fondamentale formare programmatori quantistici e saper trattenere il talento. Si richiede più informatica che fisica per imparare a programmare le nuove macchine. Fisici e ingegneri saranno invece necessari per costruirle.