La crescita infinita è insostenibile e svantaggiosa: uno studio Lancet smonta il modello capitalista

La crescita continua non è solo insostenibile dal punto di vista ambientale, ma rischia di essere svantaggiosa, e a tratti irrealizzabile, dal punto di vista sociale, politico, e addirittura economico. Lo sostiene una recensione analitica apparsa recentemente sulla rivista scientifica The Lancet – Planetary Health, dedicata al tema della cosiddetta post-crescita, una tesi economica che si fonda sull’idea di migliorare il benessere umano. Lo studio prende in analisi l’avanzamento dei modelli di post-crescita e degli studi sul tema, soffermandosi in principio sulla ragione per cui serva ripensare il sistema economico globale: quest’ultimo si fonda sul presupposto che la tecnologia cresca in maniera esponenziale e a una velocità sufficiente a compensare la resistenza derivante dall’esaurimento delle risorse, consentendo alla crescita di continuare senza limiti; eppure, rivela lo studio, non è davvero così. La crescita esponenziale del PIL è infatti strettamente interconnessa con l’aumento dei danni ambientali, la diminuzione dei benefici del reddito, il calo nei livelli di benessere umano e l’emergere di rischi sociali e politici.

Lo studio della rivista The Lancet si intitola “Post-growth: The science of wellbeing within planetary boundaries” (“Post-crescita: La scienza del benessere entro confini planetari”) ed è stato pubblicato nel volume di gennaio. Esso costituisce il primo studio composito e completo sullo stadio di avanzamento dei modelli e della ricerca relativi al tema della post-crescita. L’idea centrale della post-crescita è quella di sostituire l’obiettivo primario di aumento del PIL che caratterizza il modello capitalista con quello di migliorare il benessere umano “entro tutti i confini del pianeta”. Prima di trattare della questione, tuttavia, va capito per quale motivo una rivoluzione del modello economico capitalista è necessaria e perché l’idea di crescita senza freni sulla quale esso si poggia non sia davvero sostenibile e vantaggiosa come esso stesso proclama. Per questa ragione, la prima parte dello studio è dedicata proprio a una decostruzione concettuale dell’idea capitalista di sviluppo. Qui, l’articolo rivela le correlazioni tra aumento del PIL e danni ambientali, sociali, politici ed economici, sottolineando come il ritmo e le modalità dell’avanzamento tecnologico che il modello capitalista impone non siano sostenibili sotto nessuno di questi punti di vista.

Gli studi relativi al cosiddetto “modello dei limiti alla crescita” vengono innanzitutto analizzati secondo la prospettiva ambientale. Inizialmente, data la natura cumulativa della crescita composita, l’ipotesi dei modelli di limite era che in alcuni casi l’apparente abbondanza (di risorse minerali, idrocarburi, metalli, ma anche di ricchezza e produzione) avrebbe raggiunto un punto di apice, per poi vivere una parabola discendente e trasformarsi rapidamente in scarsità. Secondo questo scenario, alla crescita del capitale industriale sarebbe associato un aumento del consumo di risorse, e con l’aumento del consumo di risorse, il flusso di estrazione, approvvigionamento, produzione e lavorazione arriverebbe a un punto di collasso che farebbe crollare la base industriale e tutto ciò che dipende da essa.

Con gli anni, questa tesi, che l’articolo definisce “modello standard dei limiti alla crescita”, è stata integrata con la considerazione che prima o poi avverrà un collasso economico a causa dell’inquinamento persistente e del suo impatto sulla stabilità dell’ecosistema. Questo scenario sostiene che i problemi climatici e ambientali che emergono da un uso sregolato delle risorse non rinnovabili finirebbero per causare una diminuzione della capacità rigenerativa di quelle rinnovabili, portando così a un aumento dei prezzi anche su quel fronte. A tal proposito, l’articolo cita nuovi studi secondo cui – nei prossimi 26 anni – la crisi ambientale rischierebbe di portare a un aumento dei costi che ridurrebbe la crescita economica del 19% del PIL pro capite. A questi argomenti viene spesso opposta la considerazione che la crescita tecnologica permette un uso più efficiente delle risorse, tale da disallineare la crescita del PIL con la loro diminuzione. Per quanto questo sia vero, il problema del disaccoppiamento, sottolinea lo studio, è risolvibile solo dal punto di vista relativo, ossia della quantità delle risorse disponibili. Tutti i problemi legati non tanto all’esaurimento delle risorse, ma al loro sfruttamento, persistono.

Un altro limite della crescita capitalistica è quello sociale. Negli anni, si è osservato come, superato un certo livello di reddito, all’aumento del PIL non corrisponde un aumento del livello di benessere: l’ipotesi dei limiti sociali, nello specifico, sostiene che esiste un limite al miglioramento che la crescita apporterebbe al benessere soggettivo, perché gli esseri umani si adattano a livelli di reddito più elevati. Questo accade per svariati motivi, ma uno dei più importanti è il fatto che, all’interno di un modello incentrato sulla crescita economica, la produzione finisce per rientrare in un sistema a somma zero per quanto riguarda i benefici di base. Una volta raggiunto un certo livello di redditività e ottenuti i benefici sociali di base per tutti, insomma, la continua crescita finirebbe solo per avere dei costi sul benessere dei cittadini, come per esempio quelli ambientali, diventando antieconomica. Diversi studi, sostiene l’articolo, dimostrano inoltre che, sebbene fino a un certo grado i livelli di benessere aumentino con l’incremento del PIL, non è affatto vero il contrario, ossia che diminuiscano con il calare del PIL. Ad aumentare il benessere, piuttosto, sono tutte le misure di natura sociale, incentrate sui benefici pubblici, quali investimenti nella sanità, nella creazione di reti sociali di solidarietà o nelle politiche del lavoro. Strettamente intersecata con la questione sociale c’è infine quella economica: l’articolo mostra come una maggiore crescita economica, paradossalmente, finisca per causare una minore crescita dei redditi pro capite. Questo significa che, più aumenta la ricchezza, più essa si concentra nelle mani di pochi. Con l’aumentare della crescita economica, inoltre, sembra verificarsi l’avvento di un periodo di stagnazione e rallentamento, diminuendo anche la produttività nella ricerca.

[di Dario Lucisano]

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