Comprate senza paura le stelle di Natale, che anche quest’anno aiutano la ricerca scientifica sui tumori: la pericolosità di queste magnifiche piante è solo una leggenda metropolitana
Anche quest’anno la Ail, Associazione italiana linfomi, organizza nelle piazze la vendita di stelle di Natale il cui ricavato è destinato alla ricerca scientifica su queste malattie. Non è un caso che il nome scientifico di questa pianta sia Euphorbiapulcherrima, che in latino significa bellissima: l’arbusto è ricercato per le magnifiche brattee rosse, foglie modificate che circondano il vero fiore, di colore giallo. Originaria del Messico, dove fiorisce in questo periodo, è coltivata in tutto il mondo: per ottenere lo stesso risultato lontano dal suo habitat è sufficiente controllare l’alternanza tra ore di luce e di oscurità totale.
Per spiegare la sua secolare associazione col Natale si racconta una leggenda popolare. Una bambina povera di nome Pepita non aveva nulla da regalare a Gesù bambino in occasione della ricorrenza, così raccolse un’erbaccia e la notte di Natale la posò davanti al presepe nella chiesa del paese. Un angelo compì il miracolo facendo diventare le sue foglie rosse e nacque la stella di Natale, chiamata in spagnolo flor del la noche buena(fiore della notte santa).
Ma esiste un’altra leggenda legata a queste piante, ed è molto più inquietante: il bell’arbusto sarebbe un pericolo mortale per persone e animali a causa della sua elevata tossicità. Persino la nostra Wikipedia attualmente mette in guardia dai suoi effetti sugli animali domestici.
Si tratta però di un’altra delle leggende metropolitane che si sono sviluppate in ambito accademico, per poi diffondersi globalmente rendendo vano ogni tentativo di smontarle. Come spiega The Museum of Hoaxes la storia comincia con un articolo del 1920 scritto dal botanico Joseph Francis Rock e intitolato The Poisonous Plants of Hawaii. All’epoca la stella di natale era già ampiamente diffusa fuori dal Messico e parlando delle piante invasive presenti nell’arcipelago, allora un territorio del Stati Uniti, lo scienziato riferì il caso di un bambino dell’isola di Kauai che era morto dopo aver succhiato degli steli della pianta. Nel 1944 il medico Harry Loren Arnold scrive il libro Poisonous Plants of Hawaii e aggiunge altri dettagli del drammatico evento: il bimbo, morto nel 1919,aveva due anni ed era figlio di un militare del vicino Fort Shafter. Inoltre secondo questo resoconto sarebbe morto dopo aver inghiottito una foglia.
Nessuno a quel tempo aveva seriamente studiato la tossicità della pianta, ma grazie a questi testi il caso del bambino divenne la prova del veleno mortale nella stella di Natale. Da allora la cattiva fama della pianta non fece che crescere. Per anni un farmacista tenne conferenze sugli avvelenamenti accidentali parlando davanti a spaventarti cittadini e genitori delle stelle di Natale come una di un pericolo mortale, mentre nella letteratura magicamente le vittime lievitavano e sintomi si ingigantivano. L’apice dell’isteria fu probabilmente raggiunto nel 1970, quando persino la Food and Drugs Admistration raccontò che una foglia poteva uccidere un bambino.
A questo punto erano passati cinquant’anno dal presunto caso del bambino morto alle Hawaii. Ma se in quel periodo era davvero morto un bimbo di due anni figlio di un soldato, sicuramente non poteva essere stato a causa dell’ingestione di stelle di Natale. Come diceva Paracelso è la dose che fa il veleno, e le stelle di natale hanno una tossicità molto bassa, cioè dovremmo assumerne in quantità industriale prima di ottenere qualche effetto, figuriamoci per lasciarci le penne. Nel 1971 uno studio sulla rivista Toxicon, in parte finanziato dagli spaventati vivaisti, dimostrava che somministrando ai ratti stelle di natale omogeneizzate, anche alla dose da capogiro di 50 grammi per chilogrammo di peso, non solo gli animali non morivano tra atroci dolori, ma non si notavano effetti rispetto al gruppo di controllo. Gli autori notavano anche che in un lavoro precedente non erano stati trovati nella pianta composti particolarmente tossici.
Sicuramente le stelle di Natale possono causare reazioni allergiche più o meno marcate, in particolare sulla pelle, ma i nostri appartamenti sono popolati da piante altrettanto rischiose senza che succedano tragedie. Pur valendo la generale cautela per animali domestici e bambini, è più facile morire se ci colpisce un vaso di stelle di Natale caduto da un balcone che per la sua attività farmacologica. Lo sapeva bene l’orticoltore John Bradshaw, che per riabilitare la pianta organizzò uno show simile a quelli che dimostrano l’assurdità dell’omeopatia: di fronte alla stampa divorò, con apparente piacere, diverse foglie di stella di Natale senza conseguenze. Uno studio del 1996 avrebbe poi fatto notare che, su 22793 segnalazioni raccolte dai centri antiveleni americani, in nemmeno un caso le stelle di Natale avevano ammazzato qualcuno, nemmeno quelli che avevano provato a usarle per suicidarsi (!). In ogni caso, nonostante la maggior parte dei casi riguardasse i bambini, c’è stata più paura che altro e nessun danno permanente.
Ma nessuno studio o dimostrazione, per quanto teatrale, riuscirono a cancellare la credenza che la stella di Natale fosse un pericolo mortale per bambini o animali domestici, e ancora oggi non si contano i siti che favoleggiano della sua pericolosità. Allo stesso tempo però pochi sembrano disposti per questo a rinunciare alla bellezza di questa pianta, che se ben tenuta può vivere con noi anche diversi anni.
FONTE
Per spiegare la sua secolare associazione col Natale si racconta una leggenda popolare. Una bambina povera di nome Pepita non aveva nulla da regalare a Gesù bambino in occasione della ricorrenza, così raccolse un’erbaccia e la notte di Natale la posò davanti al presepe nella chiesa del paese. Un angelo compì il miracolo facendo diventare le sue foglie rosse e nacque la stella di Natale, chiamata in spagnolo flor del la noche buena(fiore della notte santa).
Ma esiste un’altra leggenda legata a queste piante, ed è molto più inquietante: il bell’arbusto sarebbe un pericolo mortale per persone e animali a causa della sua elevata tossicità. Persino la nostra Wikipedia attualmente mette in guardia dai suoi effetti sugli animali domestici.
Si tratta però di un’altra delle leggende metropolitane che si sono sviluppate in ambito accademico, per poi diffondersi globalmente rendendo vano ogni tentativo di smontarle. Come spiega The Museum of Hoaxes la storia comincia con un articolo del 1920 scritto dal botanico Joseph Francis Rock e intitolato The Poisonous Plants of Hawaii. All’epoca la stella di natale era già ampiamente diffusa fuori dal Messico e parlando delle piante invasive presenti nell’arcipelago, allora un territorio del Stati Uniti, lo scienziato riferì il caso di un bambino dell’isola di Kauai che era morto dopo aver succhiato degli steli della pianta. Nel 1944 il medico Harry Loren Arnold scrive il libro Poisonous Plants of Hawaii e aggiunge altri dettagli del drammatico evento: il bimbo, morto nel 1919,aveva due anni ed era figlio di un militare del vicino Fort Shafter. Inoltre secondo questo resoconto sarebbe morto dopo aver inghiottito una foglia.
Nessuno a quel tempo aveva seriamente studiato la tossicità della pianta, ma grazie a questi testi il caso del bambino divenne la prova del veleno mortale nella stella di Natale. Da allora la cattiva fama della pianta non fece che crescere. Per anni un farmacista tenne conferenze sugli avvelenamenti accidentali parlando davanti a spaventarti cittadini e genitori delle stelle di Natale come una di un pericolo mortale, mentre nella letteratura magicamente le vittime lievitavano e sintomi si ingigantivano. L’apice dell’isteria fu probabilmente raggiunto nel 1970, quando persino la Food and Drugs Admistration raccontò che una foglia poteva uccidere un bambino.
A questo punto erano passati cinquant’anno dal presunto caso del bambino morto alle Hawaii. Ma se in quel periodo era davvero morto un bimbo di due anni figlio di un soldato, sicuramente non poteva essere stato a causa dell’ingestione di stelle di Natale. Come diceva Paracelso è la dose che fa il veleno, e le stelle di natale hanno una tossicità molto bassa, cioè dovremmo assumerne in quantità industriale prima di ottenere qualche effetto, figuriamoci per lasciarci le penne. Nel 1971 uno studio sulla rivista Toxicon, in parte finanziato dagli spaventati vivaisti, dimostrava che somministrando ai ratti stelle di natale omogeneizzate, anche alla dose da capogiro di 50 grammi per chilogrammo di peso, non solo gli animali non morivano tra atroci dolori, ma non si notavano effetti rispetto al gruppo di controllo. Gli autori notavano anche che in un lavoro precedente non erano stati trovati nella pianta composti particolarmente tossici.
Sicuramente le stelle di Natale possono causare reazioni allergiche più o meno marcate, in particolare sulla pelle, ma i nostri appartamenti sono popolati da piante altrettanto rischiose senza che succedano tragedie. Pur valendo la generale cautela per animali domestici e bambini, è più facile morire se ci colpisce un vaso di stelle di Natale caduto da un balcone che per la sua attività farmacologica. Lo sapeva bene l’orticoltore John Bradshaw, che per riabilitare la pianta organizzò uno show simile a quelli che dimostrano l’assurdità dell’omeopatia: di fronte alla stampa divorò, con apparente piacere, diverse foglie di stella di Natale senza conseguenze. Uno studio del 1996 avrebbe poi fatto notare che, su 22793 segnalazioni raccolte dai centri antiveleni americani, in nemmeno un caso le stelle di Natale avevano ammazzato qualcuno, nemmeno quelli che avevano provato a usarle per suicidarsi (!). In ogni caso, nonostante la maggior parte dei casi riguardasse i bambini, c’è stata più paura che altro e nessun danno permanente.
Ma nessuno studio o dimostrazione, per quanto teatrale, riuscirono a cancellare la credenza che la stella di Natale fosse un pericolo mortale per bambini o animali domestici, e ancora oggi non si contano i siti che favoleggiano della sua pericolosità. Allo stesso tempo però pochi sembrano disposti per questo a rinunciare alla bellezza di questa pianta, che se ben tenuta può vivere con noi anche diversi anni.
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