Cosa ci ha lasciato l’ottantenne eroe spaziale creato da Alex Raymond nel 1934
Flash Gordon, l’eroe creato dal genio di Alex Raymond, compie 80 anni. Per l’occasione l’Editoriale Cosmo ha raccolto tutte le sue storie migliori (quelle dal 1934 al 1937) in tre ricchi volumi che riproducono fedelmente i colori delle tavole originali.
Flash viene creato dal disegnatore Alex Raymond nel 1934 in risposta al successo delle storie di Buck Rogers, il primo esploratore dello spazio della cultura pop creato nel 1928 da Philip Francis Nowlan e trasposto a fumetti l’anno dopo con immenso successo. Buck è un forzuto militare americano che viene congelato (come Capitan America) e si risveglia in un futuro lontano in cui i viaggi nello spazio sono la norma.
Alex Raymond (1909-1956) crea il suo eroe spaziale partendo da basi simili a quelle di Buck Rogers. Un bisteccone (biondo, per differenziarsi da Buck), campione di polo, naufraga su un pianeta crudele e lontanissimo in compagnia di una splendida donna (Dale Arden) e di uno scienziato che tutti considerano pazzo ma che poi pazzo non è (il dottor Zarkov o Zarro -sic- nella prima edizione italiana).
La differenza tra Flash Gordon e Buck Rogers però è tutta nel genio di Alex Raymond. L’artista sbaraglia subito la concorrenza con la perfezione del suo tratto prima, e con il delicato equilibrio con cui mescola, nelle sue storie, fantascienza, pulp, romanticismo e sottile erotismo.
Alex Raymond è lontano anni luce dai travet dell’illustrazione fumettistica degli anni Trenta. Il suo tratto non ha nulla di seriale, di ripetitivo o di bambinesco. Raymond lavora con modelli in carne e ossa (soprattutto modelle) e riesce a fare, con il suo stile, una sintesi perfetta tra Art Déco e futurismo, tra i fastosi spettacoli di Busby Berkley e il noir hollywoodiano di quegli anni. Su una tavola di Flash Gordon convivono l’estetica ultra-camp della rivista musicale degli anni ’30 (regine altere e seminude che percorrono scaloni infiniti) e le architetture imponenti del futurista Santelia (ovviamente filtrate da Metropolis di Fritz Lang).
Alex Raymond è visivamente coltissimo (un altro suo eroe, il Principe Valiant, è un trionfo di estetica Preraffaellita e di decorativismo Liberty) ma riesce a creare un eroepopolare che piace a tutti: non solo ai ragazzini brufolosi dell’America (e dell’Europa) anteguerra ma anche a uomini e donne adulti, che magari vergognandosi e di nascosto, si divorano le stravaganti avventure di Flash Gordon e di Undina (Ondina in italiano), la regina degli abissi.
Nel nostro Paese Flash Gordon (in una versione censurata e italianizzata dal fascismo su L’Avventuroso) diventa popolarissimo fin dal 1936. La generazione dei nati tra le due guerre impazzisce per l’eroe biondo e, dopo la Seconda Guerra, Flash torna a essere letto anche dai nati tra il 1935 e il 1940, i settantenni di oggi. Quando a partire dal 1977, in Italia, Flash viene ripubblicato sotto forma di albo, come si diceva allora “gigante”, dai Fratelli Spada, le sue avventure hanno riunito tre generazioni: i nati nei primissimi anni ’70 (che hanno accesso a tanta altra roba, Marvel per esempio, ma rimangono abbacinati dallo splendore dei disegni di Raymond), i loro genitori (ragazzini dell’immediato dopoguerra affamati di avventura e di glamour) e i loro nonni (ragazzi degli anni ’30 che, di nascosto perché vietatissimo, occhieggiavano le cosce gialle della principessa Aura o i bicipiti guizzanti di Flash).
Nel 1980 poi è arrivato il film, Flash Gordon, diretto da Mike Hodges e prodotto da Dino De Laurentiis. Con un budget da kolossal (35 milioni di dollari spesi quasi tutti nelle scenografie e nei costumi sontuosi e gloriosamente kitsch di Danilo Donati), ha avuto un mediocre successo nelle sale ma è diventato, col passare del tempo, un cult. Nel film, forse più famoso per la colonna sonora dei Queen che per altro, colpisce la maniacalità con cui si è cercato di riprodurre lo splendore delle tavole di Raymond. L’effetto, soprattutto nel palazzo dell’Imperatore Ming (un geniale Max von Sydow), è quello di un’operetta a tema orientale, tipo il Mikado di Gilbert & Sullivan, ambientato dentro un flipper impazzito. A rendere le cose ancora più estreme, una splendida principessa Aura (Ornella Muti) che riesce a sembrare nuda anche quando è vestita, e una Mariangela Melato (il generale Kala) capace di fare un’esilarante caricatura di se stessa. L’anello debole è forse il protagonista Sam J. Jones, un biondone che prima di Flash Gordon era solo apparso nudo sulla rivista Playgirl e, brevemente, e sempre poco vestito, accanto a Bo Derek nel film 10. Il Flash degli anni ’80 è un’emanazione plasticosa e nostalgica dell’eroe di Alex Raymond. Flash, la canzone dei Queen, lo proietta nel nascente mondo della videomusica e nell’universo patinato del pop di quegli anni mantenendo vivo il ricordo, ormai sempre più sbiadito e polveroso, dell’eroe anteguerra de l’Avventuroso.

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Umberto Eco nel romanzo La Misteriosa Fiamma della Regina Loana (2004) usa i fumetti degli anni 30 (Flash Gordon e Cino e Franco in particolare) come filo di Arianna per ricostruite i ricordi di un io narrante che ha perso la memoria e rende bene l’idea di una cultura popolare condivisa, in forme diverse, attraverso generazioni di lettori. Una cultura che arriva anche a influenzare George Lucas che, nel creare il mondo di Star Wars, non ha esitato a pescare a piene mani dall’immaginario erotico-visionario di Flash Gordon. Una scena tra tutte: la principesa Leia, incatenata e trasformata in baiadera spaziale ne Il ritorno dello Jedi, è puro Alex Raymond. E scommettiamo? JJ Abrams nel rimettere mano alla saga non potrà non rendere omaggio al maestro.
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