La dipendenza affettiva è essenzialmente una condizione relazionale caratterizzata da una cronica assenza di reciprocità; il dipendente affettivo non riesce a conservare la propria individualità in un rapporto, a porre dei confini fra se stesso e l’altro. Si attacca eccessivamente, immagina che il proprio benessere dipenda dall’altro, teme più di ogni altra cosa l’abbandono e la solitudine; e sono proprio queste paure che lo portano ad essere sempre più geloso ed ossessivo verso il partner.
La persona dipendente affettivamente ricerca costantemente approvazione, a tal fine prende decisioni accomodanti e non autenticamente sentite pur di compiacere l’altro e di non entrare in conflitto con egli/ella. La persona perde la sua libertà a causa del profondo senso di inadeguatezza e dell’ atteggiamento negativo che nutre verso se stessa.
Secondo Bowlby (1989) le modalità di attaccamento dell’individuo hanno radici nel legame madre-bambino. La funzione di base sicura inizialmente assolta dalla figura genitoriale, diviene poi, attraverso l’interiorizzazione dei comportamenti e degli affetti, una struttura interna che caratterizzerà le future relazioni. Quando questo rapporto è armonico e si sviluppa in modo sufficientemente buono viene fornita al bambino un’iniziale fiducia in se stesso e nel mondo, che costituisce le basi dell’autostima. Quando non si realizza tale attaccamento possono viceversa svilupparsi modalità relazionali disfunzionali.
È certamente difficile stabilire in che misura le diverse situazioni familiari incidono sulle successive relazioni, ma di certo esse hanno un ruolo nello sviluppo di relazioni caratterizzate da dipendenza affettiva, e quindi incidono sulla tendenza ad instaurare un legame di tipo simbiotico con il partner.
Per Verena Kast “la persona che vive in una condizione simbiotica si sente parte di qualcosa che la accoglie, le offre protezione e la solleva dal tormento di dover prendere decisioni. Non si tratta tuttavia di una protezione serena in quanto esige continue conferme, che costano ansia e un adeguamento totale, poiché la persona che vive un rapporto simbiotico ne teme la fine” (Kast, pag. 89, 2007).
Il desiderio di protezione e accoglienza, in particolar modo nei momenti esistenziali più difficili, è funzionale all’esistenza dell’individuo. A tal proposito la Mahler considera il complesso dell’arco esistenziale come un alternarsi tra fasi di avvicinamento ad una base sicura e fasi di separazione-individuazione. L’individuo, secondo l’autrice, alterna l’esigenza di protezione, sicurezza, calore, ristoro, al bisogno di esplorare l’ambiente e se stesso.
Questo naturale modo di rapportarsi con l’esterno, nel legame simbiotico viene meno perché non può essere tollerata la separazione, ed è proprio questa intolleranza al distacco che costituisce il cuore della dipendenza affettiva. Questa intolleranza al distacco, questo perenne stato di non separazione, pone in gioco non tanto la relazione con l’altro, quanto il proprio senso d’identità personale più profondo che si trova ad essere confermato o disconfermato dalla presenza o meno del partner.
In “La Rabbia delle Donne” Monica Morganti scrive:
“Quando finisce un amore o veniamo tradite non soffriamo solo per la perdita dell’oggetto d’amore, ma soprattutto per il fatto che allontanandosi da noi l’altro ci comunica il nostro non valore….quando l’altro se va rimaniamo senza il nostro valore che avevamo depositato in lui”
(Morganti, pagg.32-33, 2006).
Questo avviene perché nella dipendenza affettiva non ci si limita a fidarsi dell’altro, ma ci si affida in maniera incondizionata all’altro.
Nella dipendenza affettiva, il partner dipendente si annulla completamente per l’altro la cui presenza è fondamentale non solo per il proprio benessere, ma anche per percepirsi vivi e utili.
Per questa ragione la persona dipendente tende a vivere in funzione dell’altro, gli dedica tutta se stessa arrivando a disconoscere i propri bisogni. Si tratta in una relazione poco equilibrata rispetto al “dare” e al “ricevere”.
In linea generale, per quanto ogni caso ed ogni persona siano diverse dall’altro, si può dire che il paziente con dipendenza affettiva deve essere aiutato a non far dipendere la propria identità dall’altro rimettendo, nel senso positivo del termine, se stesso al centro della propria vita psichica.
Questo può essere ottenuto aiutandolo ad acquisire consapevolezza di sé, delle dinamiche psicologiche caratterizzanti la propria storia; e allo stesso tempo sostenendolo nell’individuazione dei mezzi e delle possibilità che possono permettergli di cambiare il proprio modo di relazionarsi. Infatti i risultati delle ricerche dimostrano che lo “stile di amare” non è determinato per sempre, in quanto non è innato ma acquisito (Kast, 2004).
A livello terapeutico tale cambiamento avviene prestando attenzione agli aspetti inconsci insiti nella relazioni interpersonali passate e attuali, e attraverso l’analisi dei sogni. Nei sogni di persone simbiotiche, secondo la Kast, si ritrovano spesso, con una frequenza assolutamente fuori dal comune, figure sconosciute che assumono il ruolo di guida per il sognatore.
Tali guide oniriche facilitano il paziente nello sviluppare quegli aspetti della personalità che generalmente all’interno del rapporto simbiotico non trovano spazio per esprimersi.
Kast (2007), per esempio, racconta il caso di un suo paziente con dipendenza affettiva che sognava ripetutamente di scalare montagne insieme ad una guida alpina. Grazie al lavoro con questi sogni questo paziente ha imparato a scalare le montagne personali della sua vita, traendo dalla guida onirica la giusta determinazione, la giusta dose di pazienza, e quell’umiltà necessaria a chi si appresta a scalare montagne.
Il lavoro con i sogni, ha quindi aiutato il paziente nel riuscire a contattare una sua qualità psichica, personificata da una sorta di compagno interiore, capace di farlo uscire da una dimensione di dipendenza affettiva con un altro reale.
Si può quindi sostenere che il percorso terapeutico per la persona con dipendenza affettiva è utile nel trovare dei modi più rispettosi e dignitosi di relazionarsi con se stessi e con la figura affettiva con cui si è instaurata la dipendenza affettiva. Detto in altro modo, la psicoterapia per chi soffre di dipendenza affettiva è utile nella misura in cui aiuta la persona nell’apprendere l’arte di poggiare se su stessi e sulle proprie gambe.
Bibliografia:
Bowlby, J. (1989): Una base sicura. Applicazioni cliniche della teoria dell’attaccamento, Raffaello
Cortina Editore, Milano.
Kast V. (2004): La formula dell’amore. Longanesi, Milano.
Kast V. (2007): Le fiabe di paura. Red Edizioni, Milano.
Mahler M. (1978): La nascita psicologica del bambino. Bollati Boringhieri, Torino.
Monica Morganti (2006): La rabbia delle donne, Franco Angeli, Milano.
Nicoli L. (2009): Amare senza perdersi – psicoanalisi e dipendenze affettive, Foschi Editore, Forlì.
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