Un team di chimici dell’università di Glasgow è riuscito finalmente a estrarre dalla regolite il 96% di ossigeno e sottoprodotti metallici. Entrambi fondamentali per la futura colonizzazione della Luna
Senza atmosfera, secca e rocciosa. Che la Luna sia del tutto inospitale per gli esseri umani è evidente. Eppure, il nostro satellite è ricco di ossigeno: sappiamo, infatti, che la regolite, quello strato granuloso che ricopre il suolo lunare, ne è piena. E ora, un team di ricercatori dell’Università di Glasgow, in Scozia, è riuscito finalmente a capire come estrarlo. Lo studio, che è stato appena pubblicato sulla rivista Planetary and Space Science, dimostra inoltre che il nuovo processo non produce rifiuti: se da una parte si ottiene l’ossigeno, dall’altra viene estratta una serie di leghe metalliche. Questi sotto prodotti, spiegano i ricercatori, sarebbero davvero utili per favorire futuri viaggi e la permanenza dell’essere umano sulla Luna.
Grazie alle analisi dei campioni di regolite riportati a Terra dalle precedenti missioni lunari, sappiamo che l’ossigeno è davvero molto abbondante sulla superficie della Luna. Basti pensare che questo
elemento occupa circa il 40-45% del peso totale della regolite. “Questo ossigeno è una risorsa estremamente preziosa, ma è legato chimicamente alla regolite sotto forma di ossidi e non è quindi disponibile per l’uso immediato”, spiega l’autore dello studio Beth Lomax, chimico dell’Università di Glasgow.
Finora ci sono stati parecchi tentativi per riuscire a estrarre l’ossigeno, ma senza grandi successi. Per esempio, gli scienziati si sono serviti di processi chimici quali la riduzione degli ossidi di ferro usando l’idrogeno per produrre acqua, e poi l’elettrolisi per separare l’idrogeno dall’ossigeno nell’acqua; oppure, di un processo molto simile, utilizzando il metano anziché l’idrogeno. Tuttavia, queste tecniche si sono dimostrate molto poco efficienti, eccessivamente complicate e che richiedono temperature così elevate, tanto da sciogliere la regolite.
Per capire in che modo si potesse estrarre ossigeno, i ricercatori del nuovo studio si sono serviti di campioni terrestri molto simili nella loro composizione a quelli lunari. Nei loro esperimenti, però, Lomax e il suo team hanno deciso di saltare la fase di riduzione chimica e sono passati direttamente all’elettrolisi della regolite in polvere. “Il nuovo processo si basa su un metodo chiamato elettrolisi di sali fusi (che utilizza il sale cloruro di calcio come elettrolita, ndr) grazie al quale siamo stati in grado di estrarre praticamente tutto l’ossigeno presente”, ha spiegato Lomax. “I metodi finora utilizzati per l’estrazione dell’ossigeno hanno rese significativamente più basse e richiedono la fusione della regolite con temperature oltre 1.600 gradi Celsius”. A differenza, invece, dei 950 gradi che sono serviti in questo nuovo esperimento per estrarre il 96% dell’ossigeno presente nel campione di regolite.
Inoltre, spiegano i ricercatori, i sottoprodotti del nuovo processo sono stati tre gruppi di leghe metalliche, ossia ferro-alluminio, ferro-silicio e calcio-silicio-alluminio, tutti potenzialmente utilizzabili. “Questa è la prima dimostrazione riuscita dell’estrazione di ossigeno dalla regolite lunare che produce leghe metalliche come sottoprodotti”, hanno scritto i ricercatori nel loro studio. “Questo processo offrirebbe ai futuri coloni lunari l’accesso all’ossigeno per il carburante e il sostentamento della vita, nonché a una vasta gamma di leghe metalliche per la produzione in situ”, ha commentato in una dichiarazione James Carpenter dell’Esa.
FONTE
Grazie alle analisi dei campioni di regolite riportati a Terra dalle precedenti missioni lunari, sappiamo che l’ossigeno è davvero molto abbondante sulla superficie della Luna. Basti pensare che questo
elemento occupa circa il 40-45% del peso totale della regolite. “Questo ossigeno è una risorsa estremamente preziosa, ma è legato chimicamente alla regolite sotto forma di ossidi e non è quindi disponibile per l’uso immediato”, spiega l’autore dello studio Beth Lomax, chimico dell’Università di Glasgow.
Finora ci sono stati parecchi tentativi per riuscire a estrarre l’ossigeno, ma senza grandi successi. Per esempio, gli scienziati si sono serviti di processi chimici quali la riduzione degli ossidi di ferro usando l’idrogeno per produrre acqua, e poi l’elettrolisi per separare l’idrogeno dall’ossigeno nell’acqua; oppure, di un processo molto simile, utilizzando il metano anziché l’idrogeno. Tuttavia, queste tecniche si sono dimostrate molto poco efficienti, eccessivamente complicate e che richiedono temperature così elevate, tanto da sciogliere la regolite.
Per capire in che modo si potesse estrarre ossigeno, i ricercatori del nuovo studio si sono serviti di campioni terrestri molto simili nella loro composizione a quelli lunari. Nei loro esperimenti, però, Lomax e il suo team hanno deciso di saltare la fase di riduzione chimica e sono passati direttamente all’elettrolisi della regolite in polvere. “Il nuovo processo si basa su un metodo chiamato elettrolisi di sali fusi (che utilizza il sale cloruro di calcio come elettrolita, ndr) grazie al quale siamo stati in grado di estrarre praticamente tutto l’ossigeno presente”, ha spiegato Lomax. “I metodi finora utilizzati per l’estrazione dell’ossigeno hanno rese significativamente più basse e richiedono la fusione della regolite con temperature oltre 1.600 gradi Celsius”. A differenza, invece, dei 950 gradi che sono serviti in questo nuovo esperimento per estrarre il 96% dell’ossigeno presente nel campione di regolite.
Inoltre, spiegano i ricercatori, i sottoprodotti del nuovo processo sono stati tre gruppi di leghe metalliche, ossia ferro-alluminio, ferro-silicio e calcio-silicio-alluminio, tutti potenzialmente utilizzabili. “Questa è la prima dimostrazione riuscita dell’estrazione di ossigeno dalla regolite lunare che produce leghe metalliche come sottoprodotti”, hanno scritto i ricercatori nel loro studio. “Questo processo offrirebbe ai futuri coloni lunari l’accesso all’ossigeno per il carburante e il sostentamento della vita, nonché a una vasta gamma di leghe metalliche per la produzione in situ”, ha commentato in una dichiarazione James Carpenter dell’Esa.
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