E’ la Candelora, quando nella tradizione alpina l’Orso mitico interrompe il suo letargo e osserva il cielo. Vuole capire se l’inverno è finito e se potrà uscire finalmente dal suo rifugio. Dipenderà dal cielo. Se lo vedrà «chiaro» allora il nostro plantigrado occitano dedurrà che l’inverno non è ancora finito e si rintanerà ancora per quaranta giorni. Se invece sarà il buio a prevalere, uscirà ad annunciare insieme al carnevale anche la primavera. È una sorta di «logica dei contrari» (se fa «chiaro» e cioè bello, farà ancora brutto… e viceversa) quella che sembra guidare la scelta dell’Orso: una sentenza paradossale, che ritroviamo spesso nei detti popolari.
L’enigma può però essere spiegato se quel «chiaro» e quello «scuro» li riferiamo alla Luna e alle sue fasi che, come sappiamo, determinano una data anticipata o meno della Pasqua, festività questa sì da sempre considerata fine dell’inverno. In questa notte della Candelora 2023 la Luna, in un cielo fattosi sereno con l’anticiclone spagnolo, era «gobba», oltre il primo quarto ma non ancora piena (lo sarà soltanto domenica).
L’orso, da “dio silvestre” a specie con cui convivere
«L’orso è un essere vivente che si colloca a metà strada tra l’umano e il selvaggio: da un lato entra spesso nella nostra civiltà e negli ambienti addomesticati dall’uomo, ma contemporaneamente è un abitante delle regioni più impervie. È un soggetto fondamentale per ciò che simboleggia, ci mette in discussione come cittadini e come comunità nel rapporto con quello che non conosciamo. Parlare dell’orso è un escamotage per affrontare temi complessi, che mettono in crisi le nostre certezze e le nostre abitudini più consolidate».
Queste le parole di Federico Betta, regista di La frequentazione dell’orso (Italia, 2022, 60’), documentario vincitore del Premio RAI all’ultimo Trento Film Festival. Il film, promosso dall’Ecomuseo della Judicaria con il sostegno di Fondazione Caritro e Club alpino italiano, fa compiere allo spettatore un viaggio nella storia del rapporto uomo-orso in Trentino e rappresenta, usando le parole della giuria, “un documento di eccezionale attualità”.
Il culto dell’orso
La frequentazione dell’orso mostra come, in Trentino e non solo, il rapporto uomo-orso risalga alla Preistoria e non abbia nulla di favolistico. Fino al Medioevo, prima della conoscenza delle scimmie da parte degli europei, era considerato come l’animale più simile all’uomo. Questo perché è in grado di rimanere in posizione eretta e di arrampicarsi, posa sul terreno l’intera pianta delle zampe posteriori ed è goloso.
«Nei secoli passati non veniva solo cacciato, ma era anche impersonificato, caricato di significati simbolici e culturali; basti pensare al fatto che i guerrieri si vestivano con le sue pelli. Era oggetto di un vero e proprio culto».
La delegittimazione
Dopo il Medioevo il paradigma cambiò, come racconta il documentario.
«La Chiesa voleva eliminare tutti i riti e le usanze di origine pagana, e dunque delegittimò l’orso, facendolo diventare solo un problema. Il plantigrado divenne un animale da eliminare per liberare il territorio e renderlo abitabile dall’uomo. La Chiesa dunque attivò una serie di azioni per destituire quello che era una sorta di dio silvestre».
Tutto questo non fu però sufficiente a far uscire l’orso dalla nostra cultura. Semplicemente, da essere quasi divino ha finito per diventare un’entità commerciale, come dimostra, ad esempio, la diffusione degli orsacchiotti di peluche dei nostri tempi.
«Il motivo viene spiegato nel film dalla psicoterapeuta Nora Bonora: l’orso è un animale che oltrepassa continuamente il confine tra il nostro mondo civile, tra ciò che vogliamo pulito, luminoso e ordinato, e il mondo oscuro, buio, selvaggio e sconosciuto. L’orso attraversa questa frontiera continuamente, avanti e indietro, per questo non possiamo eliminare del tutto questa presenza simbolica dalla nostra cultura».