Essere timidi non è cool e neanche poetico. C’è chi vuole farlo passare per tale ma non lo è, e non lo è mai stato. Significa essere imbranati. Significa desiderare il mantello dell’invisibilità di Harry Potter durante una festa o un aperitivo, piuttosto che fare una fatica infinita per iniziare un discorso con uno sconosciuto.
Essere timidi significa anche pensare venti volte a una frase che si vorrebbe dire. Rigirarsela fra le labbra, provarla e riprovarla e poi magari pronunciarla con un tono di voce così basso che l’interlocutore non la sente. A scuola, la timidezza era il terrore di alzare la mano e fare una domanda al professore. Con l’età, è diventata l’ansia dello small talk, del caffè con i colleghi, delle serate al pub.
La timidezza purtroppo viene sempre notata. Prima o poi c’è sempre quella persona che, spesso in buona fede, pronuncia le due angosciose parole: “Sei timida?”. Quella persona diventa subito un nemico, che ha distrutto tutti gli sforzi per restare in secondo piano e non far scoprire il proprio “difetto”. In questo caso, la società richiede che si tiri fuori tutto lo humour possibile per trovare una risposta che spiazzi l’avversario. Ma il timido non riesce a produrla. Dunque, arrossisce e balbetta.
Questa caratteristica della personalità si può nascondere solo con anni e anni di riflessioni e strategie elaborate con metodo. Perché ha manifestazioni fisiche inevitabili. Il rossore. Le mani sudate. La voce che sul più bello va dove vuole e comincia a tremare. Per fortuna, nessuno può sentire il cuore che batte veloce e fa un rumore fortissimo.

La timidezza nell’epoca dei social

In una società che idolatra la sicurezza di sé, e persino l’arroganza, la timidezza è considerata un vizio da correggere. Così le persone timide si sentono sbagliate, con il risultato che questo lato del loro carattere si accentua.
“La timidezza è bella e può impedirti di fare tutte le cose che vorresti fare”, cantano gli Smiths in ‘Ask’. Nel 2002, Amélie Poulain ci aveva dato l’orgoglio di essere timidi. Il messaggio del film era che la timidezza complicava la vita ma alla fine era una virtù. Amélie era sempre pronta ad aiutare gli altri, molto sensibile e acuta nel capire la psicologia umana

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Per qualche anno i timidi sono stati rivalutati. E lo sono ogni volta che il film circola di nuovo. Ma come si può essere fieri di avere questo “problema” quando Donald Trump viene eletto presidente degli Stati Uniti d’America? Quando la politica, il mondo del lavoro, i social media, l’evoluzione delle relazioni d’amore sembrano dire che vince chi è sicuro di sé, chi non si fa scrupoli mai, chi si mette sempre in mostra?
“Essere timidi è un tratto della personalità sano, normale”, ci spiega Andrea Epifani, psicologo e psicoterapeuta a Bologna. “All’estremo del continuum c’è la fobia sociale che è un disturbo. Ma qui ci riferiamo al timido, che è una persona che ha qualche difficoltà in più ad approcciare gli altri ma che riesce comunque a entrarci in contatto”.
La psicologia lo conferma. Alcune caratteristiche della personalità del timido possono portarlo al “successo” più di un estroverso. D’altronde, Agatha Christie è diventata una delle più grandi scrittrici di gialli, famosa in tutto il mondo, nonostante quella che definiva una “misera, orribile, inevitabile timidezza”. Lo dice anche la scrittrice e docente americana Susan Cain nel suo libro pubblicato nel 2012, un classico per chi vuole leggere del tema, Quiet. Il potere degli introversi in un mondo che non sa smettere di parlare.
Ogni persona ha altri tratti del carattere oltre la timidezza, fatto che rende difficile fare generalizzazioni. Abbiamo però provato a raccogliere qui alcuni dei pregi che un carattere timido può avere.

Nessuna (o quasi) reazione impulsiva

A volte i timidi possono venire giudicati chiusi, antipatici, anche un po’ bruschi. Non è vero. Sono solo più riflessivi. Ogni decisione è ponderata. Prima di agire pensano a tutto quello che potrebbe succedere, arrivano a prevedere persino gli imprevisti. Gli studi dicono poi che la riflessività stimoli la creatività e il pensiero critico.
Di solito non sono portati a reazioni folli ed eccessive di fronte agli altri, un po’ per vergogna e imbarazzo, un po’ perché reprimono i sentimenti negativi in un lago di amarezza. Comunque, il risultato è che i timidi hanno comportamenti più accettabili socialmente, ci conferma Epifani.
A volte possono avere anche un effetto calmante sugli altri. In verità dentro di loro hanno un tumulto di pensieri, insicurezze, crisi di identità, ma dall’esterno sembrano calmi e impassibili. Questa capacità di “non reagire” può avere un effetto positivo su chi li circonda.
Può farli anche sembrare più affidabili.
“Devi sgomitare, altrimenti una persona più sicura di sé ti ruberà il lavoro, i giocattoli, gli affetti”. Questa minaccia incombe sempre sul timido, ogni volta che deve affrontare un nuovo passo della vita. C’è sempre qualcuno pronto a spronarlo a farsi avanti. Il timido ci prova, a volte si trasforma persino in un falso arrogante per stare al passo con le richieste del mercato.
Ma non è necessario fare questa fatica. A volte questo lato del carattere fa apparire più affidabili e credibili, per esempio sul lavoro o quando si parla al pubblico. “Succede perché il timido esprime la sua opinione solo in alcuni casi e non sempre, e quando lo fa è più probabile che sia ascoltato”, spiega lo psicologo.

Ascoltano, osservano, capiscono

“Non riesco a parlare. Dovrei dire qualcosa, ma perché non mi viene in mente niente?”. Questo è il blackout in cui finisce una persona timida quando deve entrare in una conversazione. Ma perché non trasformare il problema in virtù? Quando si arriva a questa fase, si può dire di aver fatto i conti con il proprio carattere.
Le persone amano essere ascoltate e comprese. È un bisogno universale. Allora entra in gioco il timido, che sa ascoltare in modo empatico, immedesimarsi e comprendere al meglio chi gli sta di fronte. Capacità utili nelle relazioni romantiche, e anche per dare vita ad amicizie profonde.
La timidezza è spesso associata a una vita interiore più ricca. Nel silenzio, si impara a fantasticare, a inventare storie, immaginare sentimenti. La paura del giudizio degli altri che arriva al timido dalla poca stima che ha di sé porta a essere più sensibili. Non solo alle critiche, ma all’intera varietà del mondo. I timidi sanno ancora emozionarsi, essere dolci, sorridere senza doppi fini.
“Un’altra loro dote è l’abilità di osservare”, aggiunge Andrea Epifani, “e l’attenzione ai dettagli”.

L’abitudine a combattere

Un timido è un lottatore. Ogni giorno da quando ha consapevolezza di se stesso, suda e soffre per vincere la sua timidezza. Può sembrare un agnello indifeso, incapace di affrontare la vita, ritirato e debole, invece sa cosa significa combattere, sopportare e superare momenti complicati e crolli interiori. Nella guerra contro il suo carattere e contro una società che non lo accetta per come è, ha sviluppato la capacità di sfidare le difficoltà.
E anche la determinazione. Alcuni studi hanno rilevato che il cervello delle persone timide reagisce con più intensità agli stimoli sia negativi che positivi. Questo significa che mentre il timido vede le occasioni sociali più minacciose di quanto non le vedano gli altri, trova le situazioni positive più gratificanti. Trae beneficio dalle ricompense e dai feedback di apprezzamento ed è quindi più motivato a lavorare per obiettivi.

La modestia non è a parte

I complimenti sono ben accetti da chi si ritiene sempre inadeguato. Eppure quando ne arriva uno, ci arriva dentro la confusione totale. Il timido arrossisce. È sempre l’ultimo ad annunciare i suoi successi, minimizza le sue doti quando può. Non è una modestia falsa, è che davvero pensa di non essere un granché. “La modestia è sempre ben vista, è un vantaggio sociale, anche nella ricerca di un lavoro, in un colloquio”, commenta lo psicologo Epifani.
Che aggiunge: “Una persona timida può trovarsi benissimo in lavori assistenziali, essere perfetta per aiutare gli altri”. In più, senza arie di superiorità, viene vista come più “accessibile” e questo spinge gli altri a parlare con lei. Li mette a loro agio.

Non bisogna vincere la timidezza ma accettarla

“Vedrai, un giorno uscirai dal guscio”. “Devi buttarti”. Un timido ha sentito molte volte questi incoraggiamenti. La verità è che con l’età l’insicurezza migliora ma non sparisce del tutto. Difficile diventare all’improvviso dei brillanti campioni di socialità. Pensare di doverla vincere è sbagliato. Il percorso da fare è quello di accettarla, conviverci, farla diventare parte della propria identità. “Sei timido?”. “Sì”, è la risposta più sincera.
“Come regola vale quella generale per cui non ci può essere cambiamento senza accettazione”, conclude Andrea Epifani, “Un soggetto che tende a vedere la timidezza solo come un problema difficilmente potrà trovare un adattamento con se stesso”. Meglio allora scoprirne tutti i pregi ed essere fiduciosi che, sì, prima o poi qualcuno ci apprezzerà proprio in quanto timidi.
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