Ha dato tanto e tanto avrebbe ancora potuto dare. Se avessi scelto la carriera accademica, avrebbe sicuramente trovato in me un allievo appassionato e, se le nostre strade si fossero incrociate, un sincero compagno di esplorazioni. S.T.T.L.

Morto Giulio Giorello, filosofo della scienza e della libertà

Docente dell’Università Statale di Milano aveva 75 anni. Si impegnò per far conoscere al grande pubblico i risultati della ricerca più avanzata. Ma amava anche i fumetti

di Antonio Carioti

Filosofo della scienza, difensore convinto della libertà umana in tutte le sue forme. Così innanzitutto deve essere ricordato Giulio Giorello, scomparso il 15 giugno a Milano. La salute lo ha tradito all’età di 75 anni, nonostante fosse appena riuscito a superare il Covid-19 dopo un ricovero in ospedale durato quasi due mesi (qui la sua testimonianza dello scorso 4 giugno). Aveva ancora dentro tanto entusiasmo. Il suo ritorno a casa aveva portato subito alla ripresa della collaborazione con il «Corriere» e «la Lettura» (qui la conversazione con Sergio Harari ed Elliot Ackerman, a cura di Annachiara Sacchi). E il 12 giugno Giulio aveva sposato la compagna, Roberta Pelachin.

Molti erano gli aspetti della biografia di Giorello che ne facevano un intellettuale dal profilo spiccato e originale. Accanto allo studioso di vaglia capace anche di essere polemico, sia pure con garbo, accanto all’ex presidente della Società italiana di logica e filosofia della scienza, c’era l’appassionato di fumetti, l’amante della verde Irlanda e delle sue leggende, una personalità aperta al confronto con chiunque, un uomo immensamente curioso rispetto a tutto quello che si muoveva nella società (qui il ricordo di Nuccio Ordine).

Basta scorrere i titoli della collana Scienza e Idee, che dirigeva da molti anni per l’editore Raffaello Cortina, e si ha subito un quadro impressionante di quanto vasti e articolati fossero i suoi interessi. Docente di Filosofia della scienza all’Università Statale di Milano dopo aver insegnato in diversi altri atenei, attento conoscitore della produzione accademica internazionale, Giorello aveva dato un contributo notevole ad aprire il dibattito pubblico italiano rispetto a tematiche lasciate per troppo tempo ai margini, considerate spesso un terreno di caccia riservato agli «addetti ai lavori»: le neuroscienze, la paleontologia, la matematica, la psicologia evolutiva, la fisica delle particelle, ma anche la mitologia, la ricerca filosofica, l’etica individuale e collettiva. Praticava nei fatti, con il suo intenso lavoro di indirizzo culturale, il superamento delle barriere tra il pensiero umanistico e quello scientifico.

Inoltre Giorello era profondamente persuaso che anche argomenti complessi potessero essere affrontati in forma divulgativa per coinvolgere il lettore non specialista, secondo l’insegnamento della migliore tradizione anglosassone. Aveva fatto da battistrada all’interesse per il sapere scientifico che si manifesta oggi nelle più diverse iniziative, dai festival alle collane editoriali.

Per il «Corriere» sin dal 1985 Giorello era stato una figura di riferimento. Per la competenza con cui sapeva intervenire su problemi riguardanti l’astronomia, la filosofia, la matematica, il destino dell’uomo. Ma anche per la disponibilità con cui si prestava a dialogare con personaggi della musica e dell’intrattenimento, soprattutto se giovani. In fondo era sempre rimasto nello spirito un eterno ragazzo, desideroso di fare nuove esperienze intellettuali a tutto campo. Si trattava di uno dei suoi tratti umani salienti, assieme alla generosità assoluta e alla cordialità sincera. Era impossibile non provare simpatia per lui.

Nato a Milano il 14 maggio 1945, Giorello si era laureato prima in Filosofia nel 1968, poi in Matematica nel 1971, allievo del marxista eretico e neopositivista Ludovico Geymonat, un ex partigiano che a sua volta molto si era impegnato per far conoscere in Italia le acquisizioni della moderna epistemologia. Un maestro eminente al cui ricordo Giorello era rimasto sempre affezionato, ma da cui si era distaccato negli anni Ottanta, addebitandogli tra l’altro una scarsa attenzione alle libertà individuali tipica della visione comunista.

Uomo indubbiamente di sinistra, Giorello era invece allergico a tutte le ortodossie. Già al liceo era entrato in urto con il fondatore di Comunione e Liberazione don Luigi Giussani, suo insegnante di religione. Amava i filosofi irregolari ed emarginati come Baruch Spinoza, i paladini della libertà come John Stuart Mill e Bertrand Russell, gli scrittori non convenzionali come William Faulkner e James Joyce, i disseminatori di dubbi come Paul Karl Feyerabend. Provava simpatia per i fuorilegge e i filibustieri, per tutti coloro che avevano percorso sentieri inesplorati, rischiando di persona. Qui risiedeva la radice del suo relativismo, che non era certo un rifiuto di assumere posizioni eticamente fondate, semmai un’acuta consapevolezza della fallibilità umana come stimolo per l’approfondimento continuo della ricerca.

Non casualmente il suo ultimo saggio, pubblicato con Pino Donghi per il Mulino, s’intitola Errore e dello stesso errore tesse l’elogio, quale motore sotterraneo del progresso. Del resto, sempre per il Mulino, Giorello nel 2010 si era anche esercitato sul tema Lussuria. C’era in lui senza dubbio un’anima libertina.

Il libro di maggior successo scritto da Giorello, uscito nel 2005 da Raffaello Cortina, portava il titolo Di nessuna chiesa. Era una rivendicazione laica rispetto alle tendenze neoconfessionali che si andavano facendo strada in quel periodo della vita italiana, spesso condite di venature oscurantiste come certi attacchi di maniera, assolutamente infondati, alle teorie di Charles Darwin. Ma soprattutto quel volume era un manifesto, pacato e fermo al tempo stesso, per la libertà di pensiero e di ricerca, rivolto contro tutte le ideologie dogmatiche e le tentazioni paternaliste di qualsiasi colore.

Del resto il suo non era certo un anticlericalismo fazioso. Giorello aveva dialogato in più occasioni con il cardinale Carlo Maria Martini, per esempio nel libro Ricerca e carità, pubblicato nel 2010 dalle Edizioni San Raffaele, ed era per molti aspetti in sintonia con il cattolico liberale Dario Antiseri (cultore come lui del filosofo austriaco Karl Raimund Popper), con il quale aveva pubblicato nel 2008 da Bompiani un volume a più voci intitolato Libertà, rivolto a credenti e non credenti. La casa editrice Piemme aveva appena pubblicato in una collana di Libri della Bibbia l’Apocalisse con un commento laico di Giorello.

Tra coloro con cui aveva percorso tratti di strada insieme c’erano ovviamente diversi scienziati, tra cui Edoardo Boncinelli (che qui ricorda la loro collaborazione) e Umberto Veronesi. Lontano dallo scientismo più rigido, sostenitore del carattere fondamentalmente plurale della ricerca, Giorello era ben conscio di quanto tutta la nostra società sia debitrice verso la rivoluzione avviata da Niccolò Copernico e Galileo Galilei. E spesso prendeva di mira l’eccessiva compiacenza mostrata da troppi, anche nel mondo politico, verso suggestioni antiscientifiche della più varia natura.

Poi, come si è ricordato, c’era il Giorello pop, sempre disposto a non prendersi troppo sul serio. E al tempo stesso abituato a proiettarsi nel mondo della fantasia, in particolare del fumetto. Autore di un libro giocoso come La scienza tra le nuvole, firmato nel 2007 con Pier Luigi Gaspa per Raffaello Cortina, e di una Filosofia di Topolino, scritta con Ilaria Cozzaglio (Guanda, 2013). Gli piaceva molto l’universo Disney, ma il suo eroe preferito rimaneva Tex Willer, un bianco amico degli indiani, investigatore sagace, nemico di tutti i prepotenti. E sempre lieto di concedersi una bella bistecca, alta tre dita, debitamente annaffiata di birra.

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La morte di Giorello: da Galileo a Paperino, l’ironia del «prof» contro ogni dogmatismo

Il filosofo in cattedra: «Potete pure venirmi a dire che la Terra gira intorno al Sole, però me lo dovete argomentare bene»

di Gian Guido Vecchi
Lezione uno, come insegnare ai tuoi studenti la libertà mentale e il valore del confronto di idee: «All’esame potete pure venirmi a dire che la Terra gira intorno al Sole, però me lo dovete argomentare bene». Giulio Giorello era allievo di Ludovico Geymonat, «si dice sceimonà !, mi raccomando, era valdese», e aveva imparato l’essenziale dal suo maestro, il grande studioso che a Milano aveva tenuto la prima cattedra di Filosofia della Scienza in Italia (più tardi ereditata dall’allievo), un marxista ortodosso che nel libro fondamentale su Galileo considerava le ragioni del cardinale Bellarmino e certo contestava Karl Popper, ai tempi considerato dai comunisti come il fumo negli occhi, però ne riconosceva il valore e così lo faceva studiare agli allievi, molti dei quali divenuti popperiani.

A Giorello piacevano i popperiani eretici come Paul Fayerabend, l’autore di «Contro il metodo» e «Addio alla ragione»: l’ «anarchismo epistemologico» del suo «anything goes», l’idea che qualsiasi idea può andare bene nella ricerca, era per Giorello un antidoto ai dogmatismi intellettuali e soprattutto alla noia mortale delle polemiche già scritte prima di cominciare, le risse a priori da social, l’inerzia di chi sai già cosa sosterrà prima ancora che sfiori i tasti del computer. Il suo libro «Di nessuna chiesa» si riferiva ad ogni tipo di chiesa e di «presunzione di infallibilità», di destra o di sinistra, religiosa o atea.

Le sue lezioni svariavano tra Galileo e Newton, Lakatos e Kuhn, Paperino e Dylan Dog. Tutto quello che avreste potuto desiderare da un professore: coltissimo, disponibile con gli allievi, divertente e ironico. Come quando raccontava delle liti tra Wittgenstein e Popper davanti a un caminetto di Cambridge. Wittgenstein, fuori di sé: “Dimmi una sola proposizione dell’etica, una sola, che sia valida!”. E Popper, imperturbabile: “Non minacciare il tuo ospite con l’attizzatoio”. In una lezione sull’immaterialismo di George Berkeley, aveva tracciato col gesso sulla lavagna lo schizzo d’un incrocio del suo paesello irlandese: casa, pub, chiesa, nebbia. Poi raccontò lo sconvolgimento del filosofo quando vide per la prima volta Napoli e una ragazza ballare la taranta: in ogni confutazione c’è della bellezza.

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