Visto in libreria, sono stato attratto dall’edizione che ricorda un po’ l’ultima ristampa di 1984 di Orwell con questo verde fluo reso ancora più vistoso dal fondo nero. Lo apro, lo sfoglio e trovo un testo come lo avrei realizzato io. Magnifico. Consigliatissimo.

Descrizione

C’È UN CHE DI ROMANTICO nell’idea di perdersi: entrare in un labirinto di siepi all’interno di un giardino dona un senso di abbandono. Non è come smarrirsi in una landa selvaggia, è un accordo che si conclude con un esito felice (nonostante le molte svolte sbagliate durante il percorso). Un labirinto con un unico percorso invece è una cosa diversa: anche con tutte le svolte e le anse che ci fanno girare in cerchio, non ci sono decisioni da prendere. Il sentiero porta al centro e poi di nuovo fuori, verso l’entrata, senza nascondere nulla.Una risposta semplice alla domanda “che differenza c’è tra un labirinto unicursale e uno multicursale?” potrebbe essere: “Nel secondo si entra per perdersi e nel primo per ritrovarsi”. È un modo pratico per distinguerli, se partiamo dal presupposto che tutti i labirinti abbiano una valenza spirituale o religiosa. Tuttavia, nulla che riguarda questo argomento è così semplice e lineare, anzi risulta, giustamente, enigmatico e contorto. Tanto per cominciare, i labirinti di erba delle Isole britanniche sono unicursali, mentre quello del Minotauro da cui, secondo la mitologia greca, era impossibile uscire (senza l’aiuto di un filo speciale), era chiaramente multicursale.

In realtà, la tipologia non è poi così importante: entrambi implicano un viaggio astratto. Ed è il viaggio che conta, come ci stiamo ripetendo almeno dall’Ottocento, quando Robert Louis Stevenson rivelò: «Viaggio non per andare da qualche parte, ma solo per andare». In questa nostra epoca, che pone grande attenzione allo svago, il numero di questi viaggi misteriosi sta aumentando in tutto il mondo. Nelle lingue romanze esiste un solo termine per definire tali strutture (labyrinthe, labirinto, laberinto), in inglese invece ne esiste un altro di origine anglosassone, maze, riconducibile alla stessa radice del verbo amaze, sorprendere, utilizzato per indicare i labirinti unicursali.

L’intrico visivo dei labirinti ha da sempre affascinato scrittori e artisti, ma anche registi (forse l’esempio più famoso è The Shining, qui a sinistra e alle pp. 114-115). Il labirinto classico a sette spire si trova in antiche incisioni in tutto il mondo, dalle Ebridi Esterne (in Scozia) al sud-ovest degli Stati Uniti e appare anche in sistemazioni artificiali del terreno (si veda Glastonbury, pp. 46-47). Non è sorprendente che landscape artist come Andy Goldsworthy e Richard Long si siano ispirati alle testimonianze lasciate dalle genti del Neolitico (la spirale di fango di Silbury Hill di Long, 1970-1971, rappresenta la lunghezza del percorso dai piedi alla cima del tumulo). Un secolo prima, l’architetto Sir George Gilbert Scott progettò un labirinto per il pavimento della cattedrale di Ely, la cui lunghezza corrispondeva all’altezza del campanile (a destra e alle pp. 36-37).

I labirinti illustrati in questo volume, reali o immaginari, si possono sperimentare, seguendoli facilmente con un dito invece di visitarli di persona. In teoria, è possibile fare entrambe le cose: non proprio come un pellegrino medievale, piuttosto come un edonista spensierato. Se vi perdete in un labirinto, potete ridere in faccia alla paura, ignorando il clamore del mondo esterno. FONTE

Dettagli


Un libro illustrato dedicato ai più celebri labirinti del mondo

https://www.frizzifrizzi.it/2018/10/25/libro-illustrato-celebri-labirinti-del-mondo/