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CHE BARBA! Breve excursus storico.
”Ora simbolo di saggezza e virtù, ora sinonimo di ferocia e virilità. Il modo in cui si porta la barba racconta molto di chi la sfoggia. La barba nei secoli ha rappresentato anche l’appartenenza a una fede religiosa o a una classe sociale.
Morbida o ispida, curata o selvaggia, appena accennata o chilometrica che sia, la barba ha assunto nelle diverse epoche e nei diversi luoghi significati connotativi imprescindibili per comprendere le diversissime realtà socio-culturali estese spazialmente e temporalmente. Moltissimi popoli hanno dato a questo mascolino attributo valori importanti, rendendolo vera e propria vestigia culturale. La barba, ad esempio, può essere segno distintivo per riconoscere personalità socialmente ragguardevoli in un determinato contesto abitato; oppure, sempre relativamente ad una specifica zona, può, se fatta crescere acconciata in un determinato modo, suggerire una colpa o un vizio di cui si è macchiato colui che la porta.
Ernesto “Che” Guevara e Gesù, Nerone e Babbo Natale, rabbini ebrei e imam musulmani, hipster e finti trasandati. Hanno tutti una cosa in comune: la barba. Folta e morbida, ispida e appena accennata, ordinata o acconciata in forme strane, la barba non è solo una questione di look. Dall’antichità a oggi, col mutare dei secoli, delle religioni e della politica, la sua presenza ha assunto diversi significati: ora simbolo di saggezza e virtù religiosa, ora sinonimo di ferocia e virilità, in ogni caso quasi sempre segno di rottura col passato, la pelosa cornice dei volti maschili può raccontare molto di chi la sfoggia.
Nella Grecia Antica la barba folta rappresentava simbolo di saggezza, di forza e di virilità. I grandi saggi della Grecia venivano rappresentati tutti con una lunga barba. Si ritiene che i Greci erano soliti portare la barba ma non i baffi. Anche nei poemi omerici i baffi non sono nominati. Nell’antica scultura e pittura era diffusa questa moda arcaica infatti i baffi erano assenti o notevolmente ridotti.
La mitologia classica contiene uomini barbuti tra cui gli dei dell’Olimpo come Zeus, Giove, Poseidone e gli dei degli Inferi come Caronte.
Grandi personaggi storici come gli ateniesi, Temistocle e Pericle, ma anche il re spartano Leonida portavano la barba.
Nella cultura di Sparta si disprezzava la rasatura e vi era l’usanza di costringere i codardi a portare la barba in un solo lato del volto. In questo modo era facile distinguerli.
L’iconografia del filosofo con la barba venne ripresa dall’arte paleocristiana infatti raffigurava Gesù con la barba.
Meglio con o senza?
«Portare o meno la barba è stata, per secoli, la manifestazione esteriore di una specifica appartenenza e di una precisa scelta di vita», scrive l’antropologo Guidalberto Bormolini, monaco, scrittore e tanatologo, nel saggio La barba di Aronne (Libreria Editrice Fiorentina). «Ancora oggi il modo in cui un uomo o una donna si acconciano dà un’indicazione di come vogliono essere considerati». Per gli antichi Greci, per esempio, la barba era segno di virilità e tagliarsela significava essere “una femminuccia”. “Ci sono due tipi di persone a questo mondo che vanno in giro sbarbate: i fanciulli e le donne, e io non sono nessuno dei due”, dicevano, all’epoca, i veri machi.Non per niente le barbe più famose erano quelle degli Spartani. Questi intrepidi combattenti, racconta l’antico scrittore greco Plutarco, costringevano i codardi ad andare in giro con mezza faccia rasata, perché fossero ben riconoscibili.
Un antico e interessante autore latino chiede: «Che cos’è la barba? Pelo? E che cos’è il pelo? Barba?» forse si può definire più precisamente la barba affermando che, nella sua interezza, comprende tutti i peli del volto visibili sotto gli occhi, che naturalmente crescono lungo i lati della faccia, attraverso le guance come un arco capovolto, contornano le labbra, coprono il mento di sopra e di sotto, e scendono davanti al collo e alla gola: i baffi e i favoriti sono semplicemente parti di questo tutto. Il capello è differente dal pelo della barba. Il primo, osservato al microscopio, assomiglia a un cilindro appiattito, che si assottiglia all’estremità. Ha una cuticola ruvida all’esterno e una corteccia interna più sottile; poi contiene, come una pianta, il midollo centrale, che consiste di olio e sostanze coloranti.
Uno sbarbato al potere.
Ma le cose cambiarono a partire dal IV secolo a.C., quando salì alla ribalta il conquistatore Alessandro Magno (356-323 a.C.)
Pur essendo innegabilmente valoroso, infatti, il giovane eroe si radeva ogni giorno. «Sembra attendibile credere che, con la sua scelta, Alessandro volesse apparire estremamente giovane: una sorta di essere immortale associabile a una divinità», spiega Bormolini. Ma è anche probabile che, non potendo sfoggiare per natura una barba degna di questo nome, preferisse optare per il rasoio. E ovviamente obbligava anche i suoi soldati a radersi, per evitare, diceva, che i nemici potessero afferrarli per la barba e renderli così vulnerabili. Sulla base del loro aspetto, inoltre, rivendicava la superiorità dei nobili e lisci Macedoni in confronto ai rozzi nemici barbuti. Allo stesso modo la intendevano, prima del II millennio a.C. i Sumeri, che si rasavano il viso per distinguersi dai semiti. Ma Alessandro Magno fece di più: con il suo fascino da antico cool hunter, dettò moda dentro e fuori il suo vasto regno, influenzando oltre ai Macedoni anche i Greci e, attraverso questi ultimi, i Romani.
A Roma per motivi militari, i soldati tagliavano la barba. La prima rasatura del giovane rappresentava un atto di grande importanza. La barba veniva fatta crescere sulla guancia del giovane finché questa non assumesse l’aspetto di una vera barba. La barba della prima rasatura veniva raccolta e offerta alla divinità nella cerimonia della “daepositio barbae”. A quel tempo la rasatura non era delle migliori infatti non a caso erano frequenti tagli e infezioni. La barba non veniva eliminata del tutto ma poteva essere portata più corta (barbula) fino ai quarant’anni. Il taglio della barba rappresentava il passaggio dall’età giovine a quella adulta infatti si usavano espressioni come “vecchio ormai ma tu l’hai conosciuto giovane”
Si ritiene che farsi crescere la barba incolta era segno di lutto e anche un modo per fare pietà ai giudici infatti i barbuti si presentavano a questi mal conci.
Alla moda.
Tutt’altro che vezzosi, i primi abitanti dell’Urbe andavano in giro con lunghe barbe incolte, finché, all’inizio del III secolo a.C. non arrivarono dalla Sicilia greca i primi barbitonsores (i nostri barbieri). Lo scrittore romano Plinio il Vecchio narra che Scipione Africano (235-183 a.C.) fu uno dei primi a farsi radere. E siccome era un eroe, molti decisero di imitarlo, dandoci dentro col rasoio. Più tardi, anche tutti gli imperatori romani da Augusto (63 a.C.-14 d.C.) a Traiano (53-117 d.C.), e di conseguenza i loro sudditi, optarono per il look sbarbato.
L’unico a fare eccezione fu Nerone (37-68 d.C.), che portava la barba sul collo, in quanto non era di suo gradimento che il “tonsor” (la lama per la barba) passasse in quella parte delicata del corpo. E siccome il frutto non cade mai troppo lontano dall’albero, pro-barba era stato anche il su precettore, il filosofo Seneca. All’epoca, infatti, la barba era un segno distintivo dei grandi pensatori. “Philosophum non facit barba”, cioè “la barba non fa il filosofo”, li ammonivano i loro contemporanei, dal momento che, quando tutti gli uomini del mondo classico avevano cominciato a radersi, i filosofi avevano difeso la cara, vecchia peluria che ingombrava i loro menti.
Nel medioevo la barba era considerata un simbolo di onore. Toccare la barba ad un altro uomo significava una grande offesa. Offesa che si sarebbe risolta con un duello all’ultimo sangue. Inoltre la barba era considerata un segno di dignità e onore. Per questo aveva anche un importante utilizzo “pratico”, quando si trattava di dare maggior valore alla parola data o ai documenti ufficiali. Per esempio, tre peli della barba inseriti nel sigillo di una missiva servivano a darne garanzia di autenticità.
Lo giuro.
Nel 1300 in Italia la barba era utilizzata principalmente da uomini di legge e dagli anziani. La moda della barba si rimanifesta nel Cinquecento tra alcuni papi come Giulio II, Paolo III, Sisto V e altri.
Come si è visto la barba era anche espressione di lutto e dolore. Per esempio il papa Clemente VII per il dolore del Sacco di Roma si lasciò crescere la barba. Anche alcuni artisti portavano la barba a pizzo, a mosca, a scodella. Tra gli artisti che prediligevano la barba ricordiamo Raffaello e Michelangelo.
Molti però preferivano affidarsi alla barba intera per i loro giuramenti. Come narrava l’abate Burcardo, autore di una Apologia de barbis, nel Duecento gli uomini «giurano sulla loro barba in segno di rispetto, cosicché qualunque cosa essi affermino giurando sulla loro barba non possa essere ritenuta incredibile, bensì sacra […] Alcuni uomini credono che la saggezza arda e risplenda in tal modo nella loro barba che nei loro accordi sarà sufficiente scuotere la barba con decisione e, torcendola tra le mani, invocare l’anatema: “possa la fiamma malvagia divorare questa barba se non è così o se non sarà così”». a voler credere alle leggende, le barbe degli spergiuri non facevano mai una bella fine.
Fiera delle Vanità.
“Forse rimproveri la Natura per averti fatto uomo e non donna?”, esclamava il barbutissimo filosofo greco Diogene di Sinope nel IV secolo a.C., di fronte a un uomo fresco di barbiere. “Agli uccelli le penne non sono di peso”, gli faceva eco quattro secoli dopo il romano Gaio Musonio Rufo, che, come tutti i suoi colleghi, era convinto che la natura facesse tutto con uno scopo e che fosse saggio seguirla. Per amore della filosofia (ma secondo le malelingue più della propria vanità, volendo coprire le imperfezioni sul suo volto), anche l’imperatore romano Adriano (76-138) si lasciò crescere la barba. E per un secolo i suoi successori fino a Caracalla (332-363), ultimo imperatore pagano, venne sbeffeggiato dagli abitanti cristiani di Antiochia per il suo barbone ormai demodé. Lui decise di replicare scrivendo il Misopogon (“l’odiatore della barba”), libretto satirico in cui sottolineava come la barba fosse coerente al suo progetto di restaurazione degli antichi ideali e dei vecchi culti pagani (che era poi la cosa che gli abitanti di Antiochia gli contestavano davvero).
In nome di Dio.
È come olio profumato che scende sul capo, che scende sulla barba, sulla barba di Aronne, che scende sull’orlo della sua veste (Salmo 133,2). È la cerimonia della consacrazione sacerdotale, dell’unzione, quella a cui si fa riferimento.
E dire che proprio a partire da quel IV secolo (e poi con più frequenza dal VI) la barba cominciò ad apparire nelle raffigurazioni di un viso che i cristiani amavano particolarmente: quello di Gesù. Fino ad allora gli artisti lo avevano dipinto senza peli, come voleva la moda: come mai allora quella fitta peluria era cresciuta sul suo volto?
«Il mondo cristiano delle origini ereditò inevitabilmente tutto il bagaglio del simbolismo antico e classico, incluso quello legato alla barba e ai capelli», scrive Bormolini. Fino al VI secolo Cristo è quasi sempre rappresentato come un adolescente imberbe, successivamente con la barba. I monaci orientali portavano e portano ancora la barba.
Quindi per i cristiani la barba non era solo un segno di virilità e autorità come lo era stato per Greci e Romani, ma anche un richiamo a un’altra grande religione monoteistica: l’ebraismo.
Per gli ebrei, portare la barba era un precetto religioso antichissimo.
Nel Levitico (il terzo libro dell’Antico Testamento), tra le leggi che Dio diede a Mosè per il popolo di Israele ce n’era una che vietava loro di radersi.“Non vi tagliate in tondo i capelli ai lati della testa, e non vi radete i lati della barba”. (Levitico:19,27). Per questo motivo, quando, secondo la Bibbia, il re degli Ammoniti fece tagliare a metà la barba degli ambasciatori inviati dal re d’Israele, il disonore per gli Israeliti fu tale che fra i due popoli scoppiò una guerra.
Per i Semiti la barba aveva una grande importanza: non soltanto era un segno di virilità ma era considerata l’ornamento del viso maschile: veniva quindi curata e spesso profumata. Trascurata ed incolta era un segno di follia (I Re, 2113-14).
E neppure l’Islam fa eccezione. Anche nella Sunna (la seconda fonte della legge islamica dopo il Corano) esisteva lo stesso divieto espresso nel Levitico. Ma cosa aveva di così importante la barba per tutti questi monoteisti? «Secondo il misticismo ebraico, la sapienza, sotto forma di influsso celeste, si propaga dalla mente divina verso il basso “attraverso quei peli”. E infatti una delle minacce di Dio a Israele era la perdita della barba, come segno dell’ignominia in cui sarebbe caduto il popolo se si fosse ribellato ai comandi divini», sostiene Bormolini.
Ecco quindi perché i Padri della Chiesa e i primi monaci, tutti rigorosamente barbuti, associarono la barba alla santità e alla vita ascetica. E poi diciamocelo: quale vero eremita, obiettavano vescovi e futuri santi, passerebbe il suo tempo davanti a uno specchio a radersi invece che a pregare?
Occhio alla gabella.
Religione a parte, in passato tagliare o tirare la barba di un uomo costituiva comunque un grave affronto. Molti antichi codici germanici la tutelavano e nel V-VI secolo, nell’Inghilterra anglosassone, chi tagliava le pelosità altrui doveva pagare una multa.
Ancora nel 1152, l’imperatore del Sacro romano impero Federico Barbarossa, che dalla sua barba biondo-rame aveva preso il soprannome, sentì il bisogno di emanare un decreto per proibire di afferrare un uomo per il pizzetto o di strappargliene i peli.
Quasi sei secoli dopo, nel 1698, di ritorno da un lungo viaggio in Europa, lo zar Pietro il Grande non si fece invece scrupoli a tosare pubblicamente i suoi dignitari. Così facendo, voleva occidentalizzare la Russia, adeguandola alla moda europea: i suoi sudditi dovevano fare lo stesso oppure pagare una tassa non troppo economica.
Nel 1535, il barbuto re Enrico VIII aveva avuto la stessa trovata, ma per rimpinguare le casse del Regno d’Inghilterra. Col risultato che, per gli inglesi, la barba si era trasformata in un costoso status symbol.
E in epoca moderna? La valenza politica di un viso barbuto si è fatta più evidente che in passato. Col mutare delle ideologie, lo spettinato barbone di Karl Marx lasciò il posto al pizzetto di Lenin, i baffoni di Stalin ai baffetti di Hitler. Alle facce via via sempre più pulite dei rappresentanti del potere si opposero le barbe antiborghesi, rivoluzionarie e anticonformiste di partigiani, castristi e sessantottini.
Anche ai nostri giorni la barba rimane un modo più o meno inconscio per distinguersi, politicamente e socialmente, o per avere un’aria più saggia. Ma non disperate, voi che invano coltivate i vostri cari peletti: come recita un epigramma attribuito al rabbino Joseph Delmedigo (1591-1655), “se gli uomini venissero giudicati dalla barba, allora le capre sarebbero le creature più sagge della Terra”.
- La barba di Aronne. I capelli lunghi e la barba nella vita religiosa
- Guidalberto Bormolini
- Editore: Libreria Editrice Fiorentina
- Collana: Ricerca del Graal
- Anno edizione: 2010
- Pagine: 160 p.