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I più intelligenti non tradiscono, chi lo fa è meno evoluto (Testo del 02.03.2010)

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Le coppie – L’ultimo saggio di Satoshi Kanazawa, della London School of Economics
Se gli economisti studiano l’infedeltà
La ricerca: i più intelligenti non tradiscono, chi lo fa è meno evoluto
Davvero più un uomo è infedele, più è fesso? Sul serio i monogami hanno un quoziente intellettivo più alto dei playboy? Se è vero, in Italia siamo messi male. Se la teoria del professor Satoshi Kanazawa venisse confermata, fornirebbe una possibile (seppur parziale) spiegazione degli attuali guai nazionali. Si potrebbero serenamente incolpare gli uomini della nostra classe dirigente (cioè quasi tutta la nostra classe dirigente). Sono in maggioranza donnaioli, qualcuno si appassiona ai trans, sono comunque poco fedeli. A volte se ne vantano; spessissimo vengono giustificati e ammirati.
Il maschio femminaro (nell’inconscio collettivo e ultimamente anche nel conscio) è percepito come più potente e abile dei monogami; in molti casi viene scelto come capo. In troppi casi, viene blandito con offerte di femmine (magari consenzienti, ma non in un ruolo entusiasmante) che diventano merce di scambio tra grandi fedifraghi. Purtroppo, sostiene Kanazawa, oggi come oggi meno un uomo è fedele, meno è intelligente. Il suo ultimo saggio (pubblicato sulla rivista Social Psychology Quarterly) sarà probabilmente impopolare dalle nostre parti, ma tant’è. Il professore di psicologia dell’evoluzione alla London School of Economics sostiene che gli uomini sono sempre stati «leggermente poligami». Ora però in molti «entrano volontariamente in una relazione sessualmente esclusiva». Il che è una «novità evolutiva». Sono i più intelligenti ad adottare queste novità; e a diventare «più evoluti» (gli eroi delle riviste e dei siti di pettegolezzi non sono tanto evoluti, allora; qualcuno/a lo sospettava). Conclusione di Kanazawa: gli uomini che non riescono ad adattarsi, che cedono alle tentazioni e tradiscono sono probabilmente più stupidi. Mentre i più svegli «sono in grado di capire il valore della fedeltà» (non ci sono molti maschi svegli nei reality, e in altri ambienti; anche questo lo temevamo).
Kanazawa non diventerà un’icona culturale dei latin lover, è evidente. Ma susciterà qualche simpatia tra le donne non impeccabili. L’equazione «infedele uguale scemo» al femminile non funziona. Alle donne è sempre stato chiesto di essere fedeli a un unico compagno; anche nelle società poligame (d’ora in poi chi ha molti fidanzati o ha tradito il marito potrà spiegare «ho fatto un salto evolutivo», perché no, può darsi). E la diversità di genere, per il noto studioso, esiste eccome. Tra le sue opere precedenti spicca «Why Men Gamble and Women Buy Shoes», perché gli uomini giocano d’azzardo e le donne comprano scarpe, su come l’evoluzione ha creato diversi comportamenti e reazioni dei due sessi. Acclamato su poker e scarpe, Kanazawa ha avuto meno consensi quando si è occupato di aspetto fisico.
Il suo saggio sul «perché la gente bella ha più figlie femmine» è stato smontato da uno statistico della Columbia University; e le chance in più di avere femmine per le coppie bellone sono state ufficialmente ridotte dal 26 all’8 per cento. Ma intanto: in attesa di venire smentito su intelligenza e fedeltà da qualche scienziato seduttore, Kanazawa, nel suo ultimo saggio, mette di cattivo umore anche i monogami di centrodestra. Analizzando i dati dell’American National Longitudinal Study of Adolescent Health, ha scoperto che i giovani intervistati sicuri di essere «molto liberal» hanno un quoziente intellettivo medio di 106; mentre quelli che si definiscono «molto conservatori» non superano una media di 95, insomma non risulterebbero furbissimi (forse sono quelli che in Italia mandano a presentare le liste, vai a sapere).
Maria Laura Rodotà


La scappatella? È anti-stress. Ecco i nuovi infedeli d’Italia (Testo del 05.10.2013)

Solo tre coppie su dieci sarebbero fedeli, secondo le ultime statistiche. Siamo un popolo di fedifraghi e l’adulterio appare ormai come una pratica igienica, spogliata di ogni senso di colpa. Tradiscono più gli adulti dei giovani, più gli uomini delle donne, più i cittadini delle metropoli che gli abitanti dei piccoli centri. La stagione più favorevole è l’estate, ed è una miccia che spesso si accende in ufficio.
Secondo l’associazione Matrimonialisti Italiani il 60 per cento dei tradimenti coniugali avviene sul luogo i lavoro. L’età più a rischio, soprattutto per gli uomini, è compresa fra i 40 e i 50 anni, e in circa il sette per cento dei processi di separazioni e divorzio sono segnalate infedeltà di tipo omosessuale. Vi è poi la nuovissima tendenza del cosiddetto adulterio virtuale, quello che si consuma via internet.
Un’abitudine accettata. In Italia l’adulterio non è più la ragione principale per cui ci si lascia. Lo spiega il presidente dell’associazione Matrimonialisti, Gian Ettore Gassani: “Nel nostro Paese l’infedeltà non è più vista in modo tragico, tanto che è soltanto al secondo posto, con il 40 per cento, tra le ragioni alla base delle fratture coniugali”. E al primo posto? Le incompatibilità caratteriali.
Galeotto fu il panino, o l’insalata. Gli italiani tradiscono soprattutto in pausa pranzo. Almeno un adulterio su tre, infatti, viene consumato fra mezzogiorno e mezzo e le due e mezzo del pomeriggio. È quanto emerge da una ricerca della rivista Riza Psicosomatica, condotta su circa mille italiani, uomini e donne, fra i 20 e i 60 anni. Se tradire fa ancora paura, solo uno su dieci si sente in colpa ed è pentito di quello che ha fatto, e quasi otto su dieci si dicono ben contenti della loro condizione di adulteri.
Lontani i tempi in cui l’adulterio era un reato: ma solo per la donna, la più odiosa delle discriminazioni. Solo la donna rischiava il carcere, se il marito la querelava. Fino a un anno di reclusione, secondo quanto stabiliva il codice penale. Poi, quarant’anni fa proprio di questi tempi, il 19 dicembre del fatidico 1968, la Corte Costituzionale dichiarò illegittimi il primo e il secondo comma dell’articolo 559 ritenendoli discriminatori, lesivi della Costituzione che prescrive invece “l’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi”. E tutto – o meglio, molto – cambiò.
Il nuovo adulterio ai tempi di Facebook è quello che potremmo definire light. “Sono tradimenti mordi e fuggi, leggeri, poco impegnativi. C’è una presa d’atto che tanto nel matrimonio tutti tradiscono tutti. E così ci si imbarca in piccole storie collaterali vissute per autogratificarsi, che in genere non mettono in discussione e in vera crisi la famiglia”, osserva Maria Rita Parsi, psicoterapeuta e sessuologa, coautrice di un libro in tema dal titolo “Promiscuità”. Nella coppia il cosiddetto tradimento light viene praticato come “una sorta di antidepressivo rispetto alla fatica del vivere insieme. Si va verso la banalizzazione e verso l’inconsistenza. Fragili matrimoni con fragili fughe d’amore, spesso facilitate dalle nuove tecnologie”.
Sono 800 mila gli italiani che passano almeno quattro ore al giorno davanti al computer, in chat. Un universo parallelo, che può regalare tentazioni irresistibili, a uomini e donne, età circa 35 anni, cultura medio-alta, in buona parte coniugati. Se navigare in rete troppo a lungo comincia a essere inserito anche in Italia tra i motivi di separazione, viene dalla Gran Bretagna la notizia della prima infedeltà virtuale per la quale è stato chiesto il divorzio: lui, David Pollard, aveva una relazione su Second Life, il più incorporeo dei tradimenti.
Quanto alla vita reale, la rete pullula di guide pratiche all’adulterio, di decaloghi “per non farsi beccare”, trucchi, sotterfugi, suggerimenti, occhio agli sms e alle email, siti (per esempio tradimento. net) e social networks dove intrecciare nuove avventure con garanzia di riservatezza, con la possibilità di selezionare il profilo del partner e di scegliere persino la durata del legame. Aumentano esponenzialmente le storie di sesso fra persone che si sono conosciute online, e si moltiplicano anche i siti che vendono alibi per adulteri.
Oggi l’infedeltà sembra essere diventata uno stile di vita, quasi una moda, un’opzione di massa e sempre più sessuologi disquisiscono di “adulterio terapeutico che fa bene all’armonia della coppia”. Da scandalo a motivo di vanto, una trasgressione veniale, sdoganata, derubricata. Quasi un diritto, un’opportunità per esprimersi, in certi casi per risarcirsi, basta scorrere le varie poste del cuore.
Sembra impossibile quello che successe alla Dama Bianca, la donna di Fausto Coppi, nel 1955. Denunciata per adulterio dal marito, fu processata e condannata a un mese di carcere e al soggiorno obbligato. Preistoria, la preistoria del codice Rocco. Oggi, mezzo secolo dopo, c’è una sorta di anestesia generalizzata. Il dato reso noto dal direttore dell’Istituto Mendel, il genetista Bruno Dallapiccola, secondo cui in alcune regioni italiane (per esempio il Lazio e la Lombardia) il dieci per cento dei bambini non è figlio del padre ufficiale, è caduto nell’indifferenza.
La depenalizzazione del reato di adulterio ha lasciato un vuoto giuridico che, sottolinea l’avvocato matrimonialista Annamaria Bernardini de Pace, “avrebbe dovuto essere colmato, ma il legislatore lasciò cadere la cosa. L’articolo 29 della Costituzione dice che lo Stato garantisce l’unità della famiglia, ma nei fatti oggi non abbiamo più nessun tipo di sanzione, e nessun tipo di regola, e a causa di questo vuoto spesso a rimetterci sono ancora una volta le donne, la parte più debole. In fondo quando si ci sposa si firma un contratto in esclusiva. Normalmente quando si deroga a un contratto in esclusiva si deve pagare una penale, si deve risarcire il danno, tranne che nel matrimonio. Oggi il tradimento è stato banalizzato tanto che al massimo si parla di scappatella. C’è grande indulgenza, anzi simpatia se non complicità, verso chi tradisce, soprattutto verso gli uomini”. È la doppia moralità, dura a morire.
Crisi e recessione non sembrano influire nel ritmo dei tradimenti. Una pratica sempre più capillare. “Se fosse ancora un reato, tutta l’Italia sarebbe in carcere – commenta l’avvocato Bernardini de Pace – Nessuno più si sente in colpa se tradisce, gesto ancora più grave e lesivo della dignità da quando esiste il divorzio”.
di LAURA LAURENZI


“Ecco perché la dipendenza sessuale va riconosciuta come disturbo mentale” (Testo del 01.10.2013)

Un gruppo di ricerca dell’Ucla di Los Angeles ha individuato condizioni, sintomi ed effetti ricorrenti in tutti i casi di ipersessualità. “Sul piano scientifico ci sono prove sufficienti per inserirla nell’elenco delle malattie psichiche”
La dipendenza sessuale come un vero e proprio disturbo psichico. Fino ad ora gli psichiatri sono stati riluttanti a considerare la sex addiction come un disturbo del comportamento a causa delle scarse evidenze scientifiche. Ma ora un nuovo studio condotto da un team della University of California di Los Angeles (Ucla) ha testato una serie di criteri per definire e quindi diagnosticare questo disturbo.
Rory Reid, ricercatore e docente di psichiatria presso il Semel Institute of Neuroscience and Human Behavior della Ucla, ha guidato un team di psichiatri, psicologi, terapisti di coppia ed assistenti sociali che hanno validato i criteri individuati, considerandoli utili per poter arrivare a una diagnosi di questo tipo di problema che in Italia riguarda il 6% degli uomini e il 3% delle donne.
Dipendenza “senza sostanza” – In effetti, l’ipersessualità rientra nelle nuove dipendenze cosiddette “senza sostanza” come quella dal gioco d’azzardo o dallo shopping compulsivo. “E’ una sorta di bulimia sessuale senza controllo, ma il meccanismo è identico a quello che si verifica con la dipendenza da droghe o alcol perché vengono attivate le stesse aree del cervello”, spiega Claudio Mencacci, direttore del dipartimento di Psichiatria dell’Ospedale Fatebenefratelli di Milano.
Il fenomeno è cresciuto negli ultimi anni anche a seguito della diffusione nella rete di contenuti a sfondo sessuale con il cyber *** che vede sempre più adolescenti coinvolti. “Due i comportamenti estremi – spiega lo psichiatra – : quello di chi abbraccia l’anoressia sessuale astenendosi del tutto da ogni attività legata al sesso e, all’opposto, coloro che non riescono a controllare l’impulso sessuale che è, però, del tutto scevro da emozioni e sentimenti”.
La nuova edizione del DSM – I risultati dello studio, pubblicati in questi giorni sul Journal of Sexual Medicine, peseranno anche sulla decisione di inserire l’ipersessualità nella quinta edizione del Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (DSM-5) considerato la “bibbia” della psichiatria. “Con questo studio – ha detto Reid – si fornisce un’evidenza scientifica al fatto che l’ipersessualità sia un disturbo mentale e come tale vada diagnosticato e trattato. I criteri che abbiamo validato consentiranno ai clinici di studiare, trattare e sviluppare strategie di prevenzione per gli individui che rischiano di soffrire di questo disturbo”.
Attualmente nel DSM sono già incluse dipendenze come quella da nicotina, droghe e alcol. “Come tutte le nuove patologie, la sex addiction sta a cavallo tra le dipendenze e i disturbi ossessivo-compulsivi. Ora questo studio rappresenta una prova importante che si tratta di un disturbo mentale vero e proprio e che prima o poi rientrerà, come le altre nuove dipendenze, nel DSM”, aggiunge Mencacci.
I sintomi – I criteri diagnostici – sviluppati da un gruppo di ricercatori al lavoro sulla nuova edizione del DSM – includono una serie di sintomi collegati alla sex addiction tra cui la ricorrenza ossessiva di fantasie sessuali, manifestazioni di dipendenza sessuale che durano sei mesi o più e che non sono riconducibili ad altre cause come abuso di sostanze, disturbo bipolare. Inoltre, perché sia fatta una diagnosi di ipersessualità devono verificarsi attività o comportamenti legati alla sessualità anche in presenza di stati emotivi poco piacevoli come la depressione o il ricorso al sesso come strategia per combattere lo stress. In più, deve trattarsi di persone che hanno provato a ridurre o fermare la compulsione sessuale senza riuscirci e la cui vita di relazione e professionale è stata negativamente condizionata.
Sex addiction e disturbi emozionali – Per testare i criteri dell’ipersessualità, i ricercatori hanno esaminato 207 pazienti di varie cliniche di salute mentale che stavano cercando aiuto per combattere questo disturbo o altre forme di dipendenza. Al termine è emerso che l’88% dei pazienti era affetto da questa patologia e che il comportamento di dipendenza sessuale era collegato a disturbi emozionali, impulsività e incapacità a gestire lo stress.
Le conseguenze – Un altro importante aspetto emerso dallo studio è che i pazienti affetti da sex addiction hanno subito maggiori conseguenze rispetto a chi soffriva di altri tipi di dipendenza o disturbi psichici. Dei 207 pazienti esaminati, il 17% ha perso il lavoro almeno una volta, il 39% ha dovuto chiudere una relazione, il 28% ha contratto una malattia sessualmente trasmissibile e il 78% ha avuto dei problemi di interferenza nella vita sessuale.
A che età si manifesta – Secondo la ricerca, il 54% dei pazienti ipersessuali si è reso conto di soffrire di questo disturbo prima dei 18 anni, mentre per il 30% l’età della scoperta è più ampia e va dai 19 ai 25 anni. “Questo dato è molto interessante perché se da un lato ci dice che il problema insorge precocemente, dall’altro ci dà la possibilità di mettere in campo azioni preventive” sostiene Reid.
I comportamenti tipici – Le manifestazioni di ipersessualità più comuni emerse dallo studio includono la masturbazione e l’uso smodato di pornografia, seguito dall’avere rapporti sessuali con un adulto consenziente e dal sesso virtuale. “Per questi pazienti il sesso diventa una vera e propria ossessione che controlla ogni aspetto della loro vita e che li fa sentire impotenti e incapaci di cambiare”, spiega Mencacci.
Pazienti illustri – David Duchovny, Tiger Woods, Michael Douglas, Mickey Rourke, Sharon Stone e Billy Bob Tornton sono alcuni dei personaggi famosi che hanno ammesso la propria dipendenza dal sesso. Alcuni di loro si sono curati in cliniche specializzate in cui hanno trascorso lunghi periodi per disintossicarsi dal sesso. Negli Usa esistono anche associazioni come Sex Addicts Anonymous che replica il modello di assistenza e sostegno degli alcolisti anonimi. In Italia, non ci sono cliniche di questo tipo e per il momento la figura di riferimento resta lo psichiatra. “A seconda della gravità del problema e delle possibili cause – spiega Claudio Mencacci – si ricorre alla terapia cognitivo-comportamentale e talvolta alla terapia farmacologica con stabilizzatori dell’umore o anti-depressivi”.
di IRMA D’ARIA
FONTE


Sesso, identikit del partner che tradisce (Testo del 09.06.2011)

Ci sono tanti tipi di tradimento in amore. Un libro insegna a riconoscere gli amanti infedeli e tutti i segnali di infedeltà
Riuscire a smascherare un partner infedele può essere molto complicato. Sì, perché l’infedeltà può assumere molte sembianze diverse, in una coppia. Ecco perché potrebbe essere utile un libro dal titolo eloquente: “Schifoso traditore. Come riconoscere le tracce dell´infedeltà”, di Alberto Caputo, Alessandro Calderoni, Silvia Jun e Paolo Baron.
I 3 tipi del traditore perfetto
Tra i tanti consigli che gli autori hanno previsto, vale la pena di segnalare la ripartizione in tre categorie degli infedeli. In pratica, un identikit del traditore perfetto, tipo per tipo. Vediamole allora, queste tipologie.
I SERIALI – Sono i traditori compulsivi, gli infedeli specializzati. Quelli che geneticamente non si accontentano del rapporto di coppia ufficiale, ma per istinto e passionalità devono essere sempre in tre: lui, lei, l´altra o l´altro. Si distinguono in “collezionisti” e “qualunquisti”. I primi puntano alla qualità, scelgono quella determinata persona, vogliono un bel trofeo da esibire. E oggi sono sempre più donne. I qualunquisti, invece, vogliono solo portarsi a casa il risultato. Non importa quale, non conta la persona, conta la “tacca” in più. Si accontentano anche dei saldi, seguono la filosofia del basta che respiri. Tra i qualunquisti prevalgono gli uomini e si moltiplicano i “drogati” del sesso.
I PARALLELI – Del tenere il piede in due (o più) scarpe hanno fatto una professione. Contemporaneamente alla relazione principale (matrimonio o convivenza), ne gestiscono altre e ci riescono benissimo. Equilibristi perfetti, passano da un letto all´altro senza commettere il minimo errore. Non confondono i nomi, non sbagliano le date di compleanni e anniversari. Il loro movente è “affettivo-relazionale”, nel senso che ci credono veramente. Si distinguono in monogamici (uomini o donne che hanno l´amante storica/o, a volte addirittura ufficiale cioè a conoscenza della moglie o del marito consenzienti) e poligamici, perlopiù maschi. A loro volta i poligamici possono seguire il modello harem (tutti insieme con ruoli interscambiabili), oppure il modulo arcipelago (ogni isola, quindi ogni amante, ha la sua funzione).
GLI OCCASIONALI – Agiscono per vendetta, per punire una moglie-arpia o un marito-padrone. Tradiscono per rappresaglia e si dividono nelle due sottocategorie dei “pisquani” (termine usato nell´area lombardo-emiliana per definire una persona semplice) e dei “gattoni” (che in realtà sono quasi sempre donne). I pisquani sono quelli che non aspettano altro se non tradire, ma lo fanno solo se l´opportunità viene loro offerta sul piatto d´argento. In amore non prendono iniziative, non si assumono alcuna responsabilità. Sono l´antitesi dell’“uomo che non deve chiedere mai”, eppure piacciono tantissimo alle donne “crocerossine”. Quanto alle gattone, sornione come il micio di casa fanno finta di dormire sul divano. Ma tengono gli occhi socchiusi, pronte ad afferrare la prima preda interessante che passa.
LIBERO.IT


La donna che tradisce ha il mento sporgente (testo del 15.02.2013)

E’ un segno che lei ha più testosterone. E l’uomo la teme
Dedicato ai maschi in cerca di una donna fedele: guardatevi da quelle che hanno il mento sporgente. La fedeltà di una compagna, insomma, passa anche per il suo aspetto fisico: l’ovale del viso è un indicatore molto importante, sotto questo punto di vista. Almeno è la tesi – per la verità piuttosto singolare – di uno studio condotto da un gruppo di ricercatori di tre diverse università americane e pubblicato sulla rivista scientifica “Personality And Individual Differences”.
Meglio il mento arrotondato
Potranno essere anche molto affascinanti e sexy, ma gli scienziati statunitensi sono convinti che le donne che possiedono un mento pronunciato siano anche le più infedeli. Quindi, meglio quelle con un mento più arrotondato e femminile, che in effetti sarebbero scelte più spesso dagli uomini come partner per la vita.
Per arrivare a queste conclusioni i ricercatori hanno studiato le storie e le fantasie sessuali di un campione di donne. Un gruppo di uomini, invece, è stato chiamato a valutare la possibilità di scegliere una di quelle donne come partner per il futuro, non conoscendo però le loro fantasie. Dai risultati è emersa una conclusione sorprendente: gli uomini hanno preferito le donne con il mento arrotondato, le stesse che hanno più probabilità a rimanere fedeli.
Il mento pronunciato è troppo maschile
Secondo i ricercatori statunitensi questa preferenza del maschio potrebbe avere radici profonde. In pratica, gli uomini eviterebbero di stabilire rapporti più duraturi con partner femminili che abbiano il mento pronunciato – una delle più tipiche caratteristiche maschili – per la paura istintiva e atavica di essere traditi. Un mento prominente, infatti, è molto spesso collegato a elevati livelli di testosterone, l´ormone strettamente maschile (tuttavia presente anche nell´organismo femminile). Le donne che hanno un eccesso di questo ormone, e che quindi, nella stragrande maggioranza dei casi, possono vantare anche un volto dal mento prominente, fanno paura agli uomini che sognano invece una donna secondo i parametri più classici: “moglie fedele e madre devota”…
LIBERO.IT


Prostitute, identikit dei clienti (Testo del 05.10.2013)

Giovani, quasi sempre single, a volte laureati «Meglio le ragazze dell’Est, danno più affetto»
Hanno un’età compresa tra 35 e 40 anni, lavorano, sono single e con un livello di istruzione medio-alto. Preferiscono le ragazze dell’Est che incontrano in hotel, saune o appartamenti, con una frequenza media di una volta ogni due mesi. Ma, soprattutto, scelgono le donne dell’Europa orientale o le cinesi, non solo perché costano meno delle italiane, ma perché con loro soddisfano il «bisogno di affetto e di comprensione».
Eccolo per la prima volta il profilo del cliente delle prostitute straniere «trafficate » (cioè vittime della tratta), così come emerge dallo studio How much? condotto per la Commissione europea dalla Fondazione Ismu (Iniziative e studi sulla multietnicità) con i ricercatori di Transcrime (Università di Trento e Cattolica di Milano) che verrà presentato giovedì a Milano.
I dati sono stati elaborati con lunghe analisi dei forum Internet e da un questionario pubblicato online. Ma un’altra parte della ricerca si è mossa direttamente sul campo e se il profilo del cliente risultato qui è diverso (età tra 23 e 50 anni, sposato, con un partner regolare e uno o più figli, livello di istruzione basso o molto basso, incontri ogni 15 giorni) le motivazioni sono le stesse e il fattore «bisogno di affetto/comprensione» resta ai primi posti. Dice un cliente: «Le ragazze dell’Est sono tutte bellissime, la maggior parte bionde, alte, fatte bene, disponibili. Non fanno le cose come una catena di montaggio un colpo e via, anzi ti portano a casa loro, ti fanno rilassare, ti danno un po’ di accoglienza. Mentre le prostitute italiane tendono solo a fare i soldi e concludere alla svelta». Un’altra voce, su Internet: «Gli italiani vogliono sesso, il buon, caro, sano, vecchio sesso. E magari anche un briciolo di affetto, vero o immaginario, che non guasta mai». Stesso concetto ribadito da un intervistato: «Con il sesso molti cercano anche affetto e un rapporto con la donna in generale, spesso l’atto vero e proprio passa in secondo piano».
Numeri e affari
Secondo il Dipartimento per le pari opportunità della presidenza del Consiglio, in Italia sono 9 milioni i clienti delle prostitute (che sono stimate in 70 mila, di cui più della metà straniere) con un giro d’affari di 90 milioni di euro al mese.
Lo studio di Transcrime, il primo del genere in Italia, ha cercato di dare un volto al cliente delle prostitute «trafficate» (la maggior parte delle straniere) per capire cosa spinge gli uomini a cercare questo mercato del sesso che si è diffuso nell’Unione Europea a partire dalla caduta del muro di Berlino e ha ormai raggiunto dimensioni preoccupanti.
A questi clienti — così emerge dalla ricerca — non interessa la storia che è alle spalle della prostituta (per loro infatti «la tratta non esiste» o al massimo coinvolge poche persone e le «vittime» della prostituzione sono proprio i clienti «sfruttati a causa del naturale bisogno di sesso tipico del maschio»). Anzi, dicono di preferire le donne dell’Europa orientale o le cinesi proprio perché provengono da Paesi in cui vi è il «dovuto rispetto» per il maschio e quindi manifestano remissività anche nei confronti dei clienti italiani.
Dietro questa motivazione, poi, ce ne sono altre due: il bisogno di dominio e il rifiuto dell’emancipazione femminile. E se le prostitute italiane sono sbrigative e pensano solo ai soldi, le mogli/compagne sono viste così: «Ti costringono ad andare in cerca di sesso a pagamento perché quando ti sposano ti promettono che farai sesso tutte le volte che ne avrai voglia (e sennò chi si sposerebbe?), poi usano il sesso come una risorsa, un’arma, uno strumento per ottenere quello che vogliono».
Case chiuse
Tutti gli uomini contattati si sono infine dichiarati, all’unanimità, per la riapertura delle case chiuse. La regolarizzazione, secondo gli intervistati, costituisce un vantaggio per tutti: per i clienti (garanzia di privacy, igiene e controllo medico), per lo Stato (che può tassare i guadagni) e per le prostitute perché si ridurrebbe lo sfruttamento da parte dei protettori.
L’ultima parte della ricerca riguarda la comparazione dei dati italiani con quelli di tre Paesi europei — Olanda, Svezia e Romania — che hanno una legislazione diversa dalla nostra. Questo aspetto, insieme agli altri, verrà illustrato nel seminario di giovedì a Milano (sala Vismara, via Copernico 1) dagli autori dello studio: per l’Ismu, Marco Lombardi, docente della Cattolica, e Paolo Ruspini; per Transcrime (il maggior centro universitario italiano sullo studio della criminalità transnazionale) Andrea Di Nicola e Andrea Cauduro. Le conclusioni di How much?, secondo Lombardi, «serviranno ora a sviluppare politiche innovative per combattere il traffico di esseri umani anche in un quadro normativo diverso da quello attuale». Perché, dice a questo proposito Di Nicola, «una cosa abbiamo capito: la politica dello struzzo in Italia non paga. Meglio intervenire piuttosto che non fare niente».