Addio armadi e soprammobili, sono sufficienti una valigia, il computer e un iPhone. Il fenomeno è trasversale ma riguarda soprattutto i ragazzi cresciuti con Internet dal nostro corrispondente Immagine

MENO è più. Sottrarre per aggiungere. Alleggerirsi per liberarsi. Sono gli slogan del nuovo minimalismo. Che non è un movimento artistico o letterario: è una filosofia di vita. I suoi seguaci si autodefiniscono “Generazione Zero”: zero come il numero di cose, oggetti, bagagli, di cui aspirano a circondare la propria esistenza. Una meta teorica, perché nessuno può vivere nudo in un deserto, ma incoraggia a disfarsi di quanto più è possibile: meno vestiti, meno scarpe, meno suppellettili, meno libri, cd, dvd, meno di tutto. L’obiettivo è infilare quello che si possiede in una valigia, eliminando il superfluo per concentrarsi sull’essenziale. Non in nome di una scelta ascetica, tantomeno ideologica o religiosa, bensì per scoprire che in quella sottrazione si cela la chiave della felicità.
Il “culto del meno”, come lo chiamano alcuni, è sbocciato sulle due sponde dell’Atlantico, tra New York e Londra, per poi diffondersi come un contagio nel resto dell’Occidente. Ma è solo ora che sta acquistando dimensioni universali. “Penso che sia l’effetto della recessione globale, la crisi economica induce a riconsiderare il modo in cui viviamo e in cui spendiamo tempo e denaro”, dice Jessica Dang, 19enne inglese di origine vietnamita, che scrive un blog, minimalstudent. com, sul fenomeno, e confessa di avere nell’armadio “tre magliette, tre pantaloni, tre vestitini, tre paia di scarpe, e tutto il resto di cui ho bisogno, musica film fotografie lettere ricordi appunti, è nel mio iPhone, nel mio iPod, nel mio computer portatile”. O forse la svolta minimalista è semplicemente il risultato di un pendolo oscillato troppo nella direzione opposta e che adesso torna indietro. “Essere” batte “avere”, secondo il vecchio insegnamento di Fromm.
Come che sia, è tutto un fiorire di libri sull’argomento: “The joy of less: a minimalist living guide” (La gioia del meno: una guida alla vita minimalista), “The 100 thing challenge: how I got rid of almost everything, remade my life and regained my soul” (La sfida dei 100 oggetti: come mi sono disfatto di quasi tutto, ho ricostruito la mia vita e ritrovato la mia anima), “The art of being minimalist: how to stop consuming and start living” (L’arte di essere minimalisti: come smettere di consumare e cominciare a vivere). Per non parlare di siti, blog, confraternite web dedicate all’argomento, illustri testimonianze. Mark Zuckerberg, 26enne multimiliardario fondatore di “Facebook”, cita il minimalismo come uno dei suoi interessi. Michael Bloomberg, sindaco miliardario di New York, confessa di avere solo due paia di mocassini. Il pittore Lucien Freud, nipote di Sigmund, tiene soltanto mezza dozzina di camicie, tutte dello stesso colore, nel suo guardaroba. E il personaggio interpetato da George Clooney in “Sopra le nuvole” vive in modo analogo. Perché? Perché meno è più.
Dai buddisti ai beatniks, in altre epoche si è giunti alle stesse conclusioni. La novità è che il trend attuale raggruppa insieme persone di idee politiche, condizioni economiche, provenienza sociale, completamente diverse. In comune hanno tre elementi. Uno è l’età, anagrafica o comportamentale: è più facile vivere con poco bagaglio se non si hanno figli, oppure se i figli se ne sono già andati da casa. Insomma è una scelta da giovani, o “giovanile”, brutta parola ma in questo caso esatta: la “generazione zero” non è un paese (mentale) per vecchi. Un altro elemento è la tecnologia. Personal computer, telefonini intelligenti, iPad, consentono di eliminare libri, cd, dvd, o meglio di averli sempre con sé in formato digitale. “Il mio ufficio è il mio computer, collegato a Internet da un bar, dal mio club di Soho, da una panchina in un parco”, afferma Hermione Way, titolare di una società Web. “Rinunciare alla mia collezione di film e cd non è stato facile, all’inizio. Ma l’ho ricreata sull’iPod e sull’iPad. Prima li tenevo su uno scaffale, adesso li tengo in un’icona del computer, il piacere è identico”.
Un terzo elemento è la mobilità. Avere poche cose consente di spostarsi più rapidamente e facilmente. Cambiare casa, lavoro, città, nazione, è meno stressante se si viaggia con bagaglio leggero. “Riesco a fare entrare tutte le mie cose in due scatoloni”, assicura Alec Farmer, designer 22enne di Derby, Inghilterra. “Traslocare non è più un incubo, anzi serve a scoprire altre cose che non ho veramente bisogno di tenere con me”. E l’attaccamento sentimentale alle cose? “Non occorre rinunciarvi. Basta selezionare con un esame più spietato. Invece di 100 cose, ne tieni 5 e quelle 5 rappresentano davvero i tuoi affetti, i tuoi ricordi, la tua identità”.
Per fare scelte simili, ovviamente, è necessario essere cresciuti nella società dei consumi: difficile desiderare di sottrarre se, come i genitori di Jessica Dang, la studentessa blogger 19enne, si è sbarcati in Occidente dal Vietnam, con i “boat people”, senza nulla. Alle condizioni giuste, tuttavia, “less is more” può diventare una attrazione irresistibile: una rinascita, una liberazione, una rivoluzione. “Vogliamo tutto”, gridavano i loro padri nel 1968 e nel 1977. “Non vogliamo niente”, rispondono quelli della “Generazione zero”. Niente, perlomeno, di quello che si compra a dismisura, si accumula, si chiude in un armadio o si ripone su uno scaffale, spesso per dimenticarlo lì.
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