In un paesino della California del Sud, l’anziano Albert Honig butta i resti della colazione e si prepara ad andare al lavoro. Non importa che sia domenica e che faccia caldo: lo aspettano mezzo ettaro di bosco da pulire, sedici arnie da controllare e una miriade di barattoli di miele da inscatolare per il mercato. Mentre si sciacqua le mani al lavello di cucina, però, oltre la finestra avverte un rumore. Non può essere un vicino che aspira le foglie sul vialetto o il ronzio dei cavi elettrici, né tantomeno il motore di qualche macchina. Albert esce di casa e percorre la siepe che divide la sua proprietà da quella delle «Signore delle api», e suona il campanello, ma nessuno risponde. Da dentro, si sente gracchiare una radio. Claire o Hilda saranno uscite per qualche commissione, pensa Albert, lasciando l’apparecchio acceso per scoraggiare i ladruncoli. Fa per andarsene, ma quando nota la vecchia Rambler parcheggiata sul retro, cambia idea e, trovando la porta aperta, entra: le sorelle Straussman sono a terra, legate, imbavagliate; morte.
Sigillata la casa e raccolte le impronte, il detective Grayson non ci mette molto a capire di trovarsi di fronte a una rapina finita male. Ci sono segni di effrazione, mancano all’appello alcuni gioielli e i barattoli del miele usati come salvadanaio sono in frantumi sul pavimento. Tuttavia, come trovare il colpevole? Deciso a scoprirlo, il detective prega l’apicoltore di raccontargli tutto quello che sa sulle due donne: Albert, nonostante siano trascorsi più di dieci anni dall’ultima volta che ha parlato con loro, è l’unico che può aiutarlo.
Inizia così un viaggio a ritroso nella memoria di un uomo burbero e riservato, che ha deciso di invecchiare soltanto in compagnia delle sue api: dal primo incontro alle fughe nei boschi con Claire per sfuggire all’infelice signora Straussman, la madre della ragazza; dalla passione per l’apicoltura trasmessa a Claire alla nascita di un amore troppo intenso per essere confessato, fino alla partenza di Claire e a quel ritorno, tempo dopo, con un misterioso bambino. E mentre il detective ricostruisce il caso e il presente, pezzo dopo pezzo, in Albert affiora il sospetto che il suo destino personale sia strettamente intrecciato con la tragica fine di quella famiglia.
Romanzo che parla di innocenza e vita vissuta, di nostalgia e di rimpianto con una lingua poetica e struggente, Parlando con le api consegna ai lettori «un classico americano» (The New York Times) sulle conseguenze delle parole non dette, e sul potere incancellabile della verità.
ISBN: 978-88-545-0644-2
Collana: I Narratori delle Tavole
Pagine: 288
Tradotto da: Ada Arduini
Prezzo: €16,50
FONTE
Di seguito riportiamo il sunto di alcune esperienze e considerazioni, stralciate dalle 280 pagine del romanzo “Parlando con le api” di Peggy Hesketh, un classico americano.
Il libro tratta di episodi vissuti da un anziano apicoltore, Albert Honing,della California del Sud che ha trascorso un’intera vita a contatto diretto con il mondo delle api.
L’APE OPERAIA OVIFICATRICE ( capitolo 32)
L’uovo: E’ stato scritto che all’occhio umano l’uovo di apis mellifera assomiglia a un incrocio tra un pezzettino di salsiccia e un seme di papavero Tutte le api femmine nascono da un uovo fecondato di cui non è possibile distinguere il futuro scopo o livello gerarchico. Tutti i maschi o fuchi nascono da uova non fecondate.
Nella natura generale delle api esiste un’aberrazione particolarmente nefasta detta operaia ovificatrice. Anche se non accade spesso, ogni tanto capita che una femmina sterile voglia diventare regina, e nel recitare la sua farsa raggiri l’intera colonia convincendola a partecipare a questa tragica forma di autoillusione.
Si tratta di un processo che non è stato compreso fino in fondo, ma gli studiosi delle api ritengono che, oltre ai milioni di uova che depone in cellette preparate nel corso di tutta la sua lunga vita, una regina normale produca un particolare feromone detto feromone mandibolare della regina che durante il picco della sua fertilità impedisce alle regine rivali di svilupparsi e al tempo stesso inibisce la produzione di uova nelle ovaie sottosviluppate delle sue figlie per natura caste.
Nel ciclo normale dell’arnia, la graduale riduzione di questo feromone fa parte del naturale processo di invecchiamento che provoca la nascita di una nuova regina in grado di prendere il posto di quella vecchia. Ma se questo ciclo viene alterato e una regina regnante ancora giovane smette a un tratto di essere operativa prima che sia possibile produrne un’altra, ogni tanto un’operaia parvenue si fa avanti per riempire il vuoto.
Come ho detto, la presenza dell’operaia ovificatrice non è nella norma.
In genere. Se una regina muore inaspettatamente e nell’arnia ci sono ancora uova fresche, le sue seguaci iiziano subito a nutrire alcune larve selezionate, appena uscite dalle cellette, con la pappa reale che trasformerà una di queste elette in una nuova regina pronta a prendere il posto di quella vecchia.
Se non esistono uova fresche pronte a sostituire la vecchia regina che ha smesso di operare, tuttavia, tocca all’apicoltore introdurre una regina nuova dall’esterno della colonia. Si tratta di un passaggio cruciale, perchè se le api non sono in grado di produrre una nuova regina e l’apicoltore non compie il suo dovere, l’arnia diventa vulnerabile all’introduzione di una regina fraudolenta: la situazione più triste di tutte, a mio modo di vedere.
Perché se non esiste una vera regina, nonpuò esserci una nuova covata a sostituire le operaie, che prima o poi moriranno.
In questo momento di crisi, il desiderio di sopravvivere è a volte così grande che un’ape- e in certi casi più di una- può iniziare ad assumere l‘inconsueto comportamento di chi sta per deporre le uova. Probabilmente l’intenzione di queste api sono nobili, ma spesso i risultati sono disastrosi.
A differenza di una regina autentica, che rispetta l’ordinato schema circolare di deposizione delle uova, e le raggruppo in modo da facilitare l’accudimento, l’operaia ovificatrice è fisicamente e caratterialmente inadatta alla riproduzione e deposita le sue uova a caso, a volte sul bordo di una celletta, a volte a mucchietti di due o tre, senza seguire alcuna sequenza o strategia particolare, vagando alla cieca per l’arnia e mimando
in maniera approssimativa prematuramente scomparsa.
E purtroppo per l’operaia ovificatrice , e per l’arnia, costei non ha goduto del beneficio del tradizionale rito nuziale di passaggio e depone soltanto uova non fecondate, che potranno quindi produrre soltanto fuchi, e per di più di dimensioni ridotte.
Senza fecondazione, non potranno nascere api operaie in grado di sostituire le sorelle che invecchiano rapidamente. Il circolo è spezzato, l’ordine dell’arnia cancellato: nonostante tutte le migliori intenzioni del mondo, la colonia muore.
Ma lo fa in maniera lenta e insidiosa. All’occhio umano, l’operaia ovificatrice non è diversa dalle sue sorelle, e quindi anche dopo che la sua esistenza è stata dal palese aumento di cellette contenenti fuchi, è quasi impossibile per l’apicoltore scacciarla dall’alveare.
Una volta che un’operaia ovificatrice ha stabilito la propria autorità regale, anche l’introduzione di una vera regina fertile raramente funziona perché il fedele seguito della ciarlatana, con zelo suicida, circonderà e soffocherà la regina autentica per proteggere la falsa sovrana.
Senza una regina vera e propria, l’arnia condannata cade in quella che si può descrivere come una profonda disperazione. Vengono deposti sempre meno nuovi fuchi e non ci sino più operaie da spedire a raccogliere il nettare e il polline che costituiscono la linfa vitale dell’arnia, e le api che invecchiano attendono di morire, sole e dimenticate, piazzandosi all’ingresso dell’arnia e fissando con aria letargica il mondo del quale non hanno più alcuna intenzione di far parte.
Sotto tutti i punti di vista, muoiono ancora prima che le loro ali smettano di battere.