Spaccato di una conchiglia di un Nautilus con le cavità disposte approssimativamente secondo una spirale logaritmica
A che serve la bellezza? La bellezza serve soltanto ad adornare ed abbellire, e quindi a dare piacere? La selezione sessuale è il suo scopo ultimo, come supponeva Charles Darwin ne L’origine dell’uomo, o ha altri impieghi oltre questo?
Questa questione si è imposta prepotentemente con i risultati nel campo della neuroestetica, che recentemente si è occupata di un interrogativo connesso alla bellezza, specifico e trattabile scientificamente, ovvero: «Quali sono i meccanismi neurali che consentono agli umani di esperire la bellezza?».
Malgrado si tratti di fare incursione in meccanismi neurobiologici che sottendono stati privati e soggettivi, ciò non è in realtà molto diverso dal chiedersi ad esempio: «Quali sono i meccanismi neurali che consentono agli umani di esperire i colori?». Per quanto strano possa sembrare, anche il Colore è un’esperienza soggettiva. Il filosofo tedesco Arthur Schopenhauer se ne accorse molto tempo fa, quando, nel suo libro dal titolo La vista e i colori, scrisse: «Una più precisa conoscenza e una più ferma convinzione circa la natura completamente soggettiva del colore contribuisce a una comprensione più profonda della dottrina kantiana delle forme altrettanto soggettive e intellettuali di tutta la conoscenza, e si presta quindi da utile corso introduttivo alla filosofia» .
Lo studio dei meccanismi neurali coinvolti durante l’esperienza estetica è quindi la prosecuzione di un lungo filone di ricerca che indaga sui meccanismi neurali sottostanti ai differenti stati mentali soggettivi, da quelli sensoriali come la vista dei colori a quelli più astratti come la bellezza matematica. Sebbene la neuroestetica tratti il problema della bellezza in modo significativamente diverso dalle filosofie dell’estetica o della storia dell’arte, i risultati ottenuti sperimentalmente negli studi di neuroestetica sono tuttavia rilevanti per le filosofie dell’estetica. Vediamo sommariamente quali sono questi risultati.
L’esperienza della bellezza derivante da diverse fonti, come quella visiva o quella musicale, correla con attività in parti diverse del cervello. La bellezza visiva e musicale , per esempio, conducono rispettivamente, tra le altre cose, ad attività nella corteccia visiva e uditiva. C’è però un’area, localizzata nella parte emotiva del cervello, che è stata associata con l’esperienza del piacere e della ricompensa; è il campo A1 della corteccia orbito-frontale mediale (mOFC), nella quale c’è sempre attività neuronale quando si ha esperienza di bellezza, indipendentemente da quale ne sia la fonte. Di fatto, non solo l’esperienza della bellezza che deriva da fonti sensoriali, ma anche quella che deriva da fonti cognitive di alto livello, come l’esperienza della bellezza matematica, correla con attività nella mOFC.
Inoltre, l’intensità dell’attività nell’area mOFC è quantitativamente proporzionale all’intensità dell’esperienza soggettiva dichiarata: più intensa è l’esperienza soggettiva della bellezza, sia essa visiva o matematica, più intenso è il livello di attività che avremo in questa area. In termini neurologici si rileva pertanto una qualità astratta dell’esperienza della bellezza, non collegata alla fonte della bellezza stessa.
Vale la pena considerare le implicazioni di questo risultato straordinario.
La bellezza matematica si caratterizza diversamente dalla bellezza sensoriale; rappresenta l’esempio più estremo di bellezza, in quanto dipendente da cultura e apprendimento. Soltanto i più esperti di matematica possono sentire e valutare la bellezza delle sue formule. Al contrario, qualunque individuo, a prescindere da etnia o cultura di provenienza, può ritenere una scena visiva o un brano musicale belli o non belli, e può giudicarli a seconda dell’intensità che il sentimento di bellezza gli suscita quando guarda o ascolta questi stimoli.
Perciò, è vera una sorpresa scoprire che l’esperienza di bellezza derivante da queste due fonti così distanti manifesti attività nella stessa parte del cervello emotivo che si attiva quando si ha esperienza di bellezza derivante da una fonte cognitiva di alto livello quale la matematica. Cosa può significare una tale sovrapposizione?
Da un punto di vista neurobiologico, è forse utile distinguere la bellezza in due categorie: quella biologica e quella degli artefatti. La bellezza biologica è qualcosa di uniforme tra etnie e culture. È risaputo che, generalmente e nonostante vi siano preferenze per la propria etnia, un individuo ritenuto estremamente bello in una società e cultura è presumibilmente ritenuto bello anche in un’altra cultura o in un altro gruppo etnico; ciò che è considerato bello seguirà certe regole biologiche. È raro, per esempio, che qualcuno riferisca che un viso o un corpo incredibilmente asimmetrici siano belli; è molto più probabile che, per essere giudicati belli, un viso o un corpo debbano conformarsi a certi concetti ereditati di proporzione e simmetria. Francis Bacon, il pittore inglese, comprese implicitamente questo criterio e lo applicò nella sua opera. Una volta dichiarò che il suo scopo, dipingendo, era quello di «scioccare visivamente». Raggiunse l’impresa distorcendo facce e corpi e quindi sovvertendone la rappresentazione cerebrale. Al contrario, nei suoi quadri c’è poca distorsione degli oggetti e ci sono prove che, in termini di attività cerebrale, facce e corpi sono molto più suscettibili agli effetti di distorsione di quanto non lo siano gli oggetti (o artefatti).
La bellezza matematica, in quanto derivante da una fonte altamente intellettuale, sembrerebbe, a prima vista, abbastanza lontana dall’esperienza che possiamo descrivere come biologica. Eppure, ad un’indagine più precisa, possono sorgere dei dubbi. Per quanto la bellezza matematica si basi su esperienza e apprendimento, i matematici che appartengono a differenti raggruppamenti culturali e razziali possono provare l’esperienza della bellezza matematica, una volta acquisito il linguaggio della matematica stessa. Quindi l’esperienza della bellezza matematica non può essere così confinata culturalmente; o, se lo è, deve essere riservata ad una cultura condivisa da tutti i matematici a prescindere e indipendentemente da origini etniche e contesto culturale. Tale cultura è la cultura della matematica.
Allora, cosa significa l’esperienza della bellezza matematica? Come fa notare Angela Breitenbach, Immanuel Kant basava questa esperienza sulla supposizione che «i giudizi estetici [fossero] …espressioni del nostro sentimento che qualcosa assume senso per noi» , e quindi riteneva che presumibilmente ci dà piacere. Questo, però, solleva una questione: assume senso per chi/cosa? Una risposta plausibile è che abbia senso per il sistema logico-deduttivo del cervello e che lo stesso sistema logico-deduttivo operi nei cervelli dei matematici che appartengono a tutt’altre diverse culture. Quindi, la bellezza matematica forse ci dice qualcosa sulla struttura funzionale e sui sistemi logici dei nostri cervelli. Appartiene, in parole povere, alla categoria della bellezza biologica.
Questo suggerimento non è così azzardato come si potrebbe pensare. Sebbene sia difficile da comprendere per molti, la teoria della relatività di Albert Einstein, pubblicata nel 1915-1916, fu all’inizio ampiamente accettata grazie all’estrema bellezza delle sue formulazioni matematiche. Paul Dirac, fisico inglese, scrisse nel 1933: «Ciò che rende la teoria della relatività così accettabile ai fisici, nonostante vada contro il principio della semplicità, è la sua grande bellezza matematica. Questa è una qualità che non può definirsi, non più di quanto possa definirsi la bellezza nell’arte, ma è una qualità che le persone che studiano la matematica solitamente non hanno alcuna difficoltà ad apprezzare. La teoria della relatività introdusse la bellezza matematica nella descrizione della Natura a livelli senza precedenti. Oggi ci rendiamo conto che dobbiamo modificare il principio di semplicità a favore di un principio di bellezza matematica. Il ricercatore, sforzandosi di formulare le leggi fondamentali della Natura in forma matematica, dovrebbe ambire principalmente alla bellezza matematica. Dovrebbe ancora tenere in conto la semplicità ma in modi per cui sia subordinata alla bellezza. Succede spesso che i requisiti di semplicità e bellezza siano gli stessi, ma quando confliggono il secondo dovrebbe ricevere precedenza». In altre parole, la bellezza della formulazione matematica è una guida alla sua veridicità e validità.
Una delle principali funzioni del cervello è acquisire conoscenza sul mondo. Per farlo, il cervello deve stabilizzare i segnali che provengono dal mondo processandoli. La vista dei colori fornisce un buon esempio. I colori degli oggetti e delle superfici nel nostro mondo non cambiano, nonostante la composizione ondulatoria/energetica della luce che vi incide e vi si riflette subisca ampie fluttuazioni. Una foglia verde rimarrà verde se vista all’alba o al tramonto, se vista a mezzogiorno in un giorno di sole o nuvoloso (per quanto la sua sfumatura di verde tenderà a cambiare naturalmente). Eppure, se dovessimo misurare la composizione delle lunghezze d’onda della luce riflessa da una foglia sotto queste diverse condizioni, troveremmo enormi discrepanze. Per mezzo di un meccanismo intricato, il cervello riesce a ignorare questi continui cambiamenti e ad assegnare una categoria di colore costante ad una superficie, permettendoci così di conoscere attraverso i colori.
Allo stesso modo, le formulazioni matematiche, che hanno condotto a così tanti avanzamenti per la nostra comprensione della struttura dell’universo, sono un mezzo per stabilizzare il mondo in un modo simile a come il cervello stabilizza i colori di una foglia. Se la bellezza di una formulazione matematica è la guida alla sua veridicità, come hanno ritenuto Dirac e altri, allora la bellezza serve a molto più che alla sola selezione sessuale à la Darwin. Ci conduce a una più profonda comprensione sia dei nostri cervelli sia del nostro universo, come Platone ha sostenuto circa 2500 anni fa.
(Traduzione di Elisabetta Sirgiovanni)
FONTE