Una nuova ricerca condotta dal Desert Research Institute (DRI) del Nevada getta luce su uno degli aspetti meno noti della civiltà romana: l’impatto dell’inquinamento da piombo sul declino cognitivo della popolazione. Lo studio, pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences, ha analizzato i ghiacci artici per ricostruire i livelli di inquinamento tra il 500 a.C. e il 600 d.C.
L’équipe guidata dal professor Joe McConnell ha utilizzato tecniche innovative per esaminare carote di ghiaccio estratte dalle profondità artiche, veri e propri archivi naturali che conservano tracce dell’atmosfera antica. Attraverso le trivellazioni i ricercatori hanno potuto analizzare le bolle di gas intrappolate nel ghiaccio e gli isotopi di piombo, creando una mappa dettagliata dell’inquinamento atmosferico nell’Europa antica.
La fonte principale di questo inquinamento era l’attività mineraria, in particolare l’estrazione dell’argento. Il processo di fusione del minerale di piombo (galena) per ricavare argento rilasciava nell’atmosfera quantità enormi di piombo: per ogni oncia di argento prodotta, si generavano migliaia di once di questo metallo tossico.
I risultati sono sorprendenti: durante i quasi 200 anni di massimo splendore dell’Impero romano, furono rilasciati nell’atmosfera oltre 500.000 tonnellate di piombo. L’inquinamento raggiunse il picco alla fine del II secolo a.C., durante l’apogeo della Repubblica romana, per poi diminuire bruscamente nel I secolo a.C., in corrispondenza della crisi repubblicana. Un nuovo aumento si registrò intorno al 15 a.C., con l’ascesa dell’Impero.
Le conseguenze sulla popolazione furono significative. Incrociando i dati con le moderne ricerche sugli effetti dell’esposizione al piombo, i ricercatori hanno stimato una riduzione del QI di almeno 2-3 punti tra gli abitanti dell’Europa romana. “Anche se può sembrare una diminuzione modesta”, spiega il professor Nathan Chellman, coautore dello studio, “quando si considera l’intera popolazione europea, l’impatto diventa estremamente rilevante”.
La ricerca ha anche evidenziato correlazioni interessanti con eventi storici documentati. Come sottolinea Andrew Wilson dell’Università di Oxford, altro coautore dello studio, sono emersi collegamenti precisi tra i livelli di inquinamento e fenomeni come il declino demografico associato a pestilenze e pandemie, tra cui la devastante peste Antonina (165-180 d.C.).
L’impatto del piombo sulla salute umana è ben documentato dalla ricerca moderna. Negli adulti, l’esposizione elevata può causare infertilità, anemia, perdita di memoria, malattie cardiovascolari, cancro e compromissione del sistema immunitario. Nei bambini, anche bassi livelli di esposizione sono associati a difficoltà di concentrazione, ridotto rendimento scolastico e diminuzione del QI.
È interessante notare che successivamente i livelli diminuirono e solo nell’Alto Medioevo, all’inizio del II millennio d.C., l’inquinamento da piombo nell’Artico superò i livelli registrati durante l’Impero romano. Per trovare concentrazioni ancora più elevate bisogna arrivare agli anni ’70 del XX secolo, quando l’inquinamento era fino a 40 volte superiore, principalmente a causa delle emissioni dei veicoli alimentati con benzina al piombo.
Lo studio offre di fatto una prospettiva inquietante sulla lunga storia dell’impatto ambientale dell’uomo. Come conclude McConnell, “gli esseri umani hanno compromesso la propria salute attraverso l’attività industriale per migliaia di anni”, una lezione che risuona particolarmente attuale nell’era della crisi climatica.