L’ uso politico della nudità femminile cruda e ostentata oltre ogni contesto erotico è un deterrente formidabile per destabilizzare l’ ordine costituito

La miglior salvaguardia della dignità della donna è mostrarsi nuda. La nudità del corpo femminile ancora rappresenta un potente deterrente, la femmina nuda riesce comunque a esercitare potere, crea scandalo, atterrisce. Proprio per questo ancora suscita discussione ogni esposizione pubblica e provocatoria di nudità. A seconda delle mutazioni della percezione generale riguardo la nudità femminile cambia il punto di vista, l’approccio polemico, la reprimenda di chi si scandalizza, come la reazione di chi invece si colloca sulla scia liberatoria che si apre, nella cupezza e indifferenza generale, quando avviene un episodio d’ ostentazione politica e provocatoria di corpi femminili.
Il magazine on line Salon elenca i sei motivi per cui il l’esposizione del corpo femminile nudo, e non presentato come provocazione sessuale, abbia un enorme potere destabilizzante. Attraverso vari esempi che spaziano dal mondo dello spettacolo, a quello dell’arte, alle cronache, viene esemplificato come l’irruzione della nudità femminile, nella sua semplice esposizione fuori da ogni contesto erotico, sia un’ implacabile dimostrazione di potere. La donna che si denuda per protesta, o per affermare un suo pensiero, dimostra di essere attiva e non passiva, forte e non vulnerabile, d’avere una coesione di genere, di potersi conquistare una dimensione pubblica e di essere soprattutto arrabbiata. Nulla a che fare con l’allusività, la seduzione o l’ ammiccamento che sono atteggiamenti che compiacciono la misoginia che si nasconde dietro a ogni desiderio di controllo sessuale della donna, baluardo del residuo più detestabile della dimensione maschile.
E’ un esempio recente il caso di Lena Dunham, l’autrice, regista e protagonista di “Girls”, una serie tv prodotta dall’emittente televisiva via cavo HBO e da poco trasmessa da MTV anche in Italia. Si parla del quotidiano di quattro ragazze e la loro vita dopo il college in un appartamento di New York . Nella serie la Duhnam spesso è nuda, il maggior motivo di polemica è proprio l’ostentazione del suo fisico assolutamente “normale”, del tutto lontano da quelle patinature artificiali della femminilità che solitamente ricostruiscono la rappresentazione pubblica della realtà fisica delle donne di spettacolo. E’ tanto vero che quando Vogue America ha dedicato nel numero di febbraio alla Duhnam una copertina e un servizio realizzato dalla fotografa Annie Leibovitz, chiaramente ripassata per un pesante trattamento di Photoshop. Il sito specializzato nel rivelare bufale mediatiche Jezbel ha offerto 10.000 dollari a chi fornisse gli scatti originali del servizio. Le foto sono arrivate, e ora il prima e dopo sono visibili nel sito che si è guadagnato un milione di visite.
Le rivendicazioni d’ ordine politico che usano come vessillo la nudità femminile hanno la loro più evidente e nota rappresentazione nel topless delle Femen, che è riuscito a creare un brand internazionalmente noto ostentando semplicemente il seno. Nulla è più esemplare dello smascheramento di un desiderio profondo e nascosto di liberazione femminile quanto il filmato del gennaio scorso (rimosso ora da YouTube) in cui una signora con la pelliccetta grigia, indignata e armata di una rabbia sproporzionata, prende a ombrellate le due ragazze ucraine che protestavano a seno nudo durante l’ Angelus a Piazza S.Pietro. Tutti eravamo convinti che il seno femminile fosse una parte anatomica oggettivamente sdrammatizzata dalle derive del costume degli ultimi decenni. Invece ci sbagliavamo, su Facebook possono apparire decapitazioni, ma non è tollerata nemmeno la foto di una madre che allatta. Ancor più il capezzolo femminile, quando è simbolo politico, scandalizza e crea trambusto, molto più di quanto possa farlo in una spiaggia o in una pubblicità.
Già nel 2011 quaranta donne israeliane avevano posato nude in una foto di gruppo per solidarietà con la giovane blogger egiziana, Aliaa Magda Elmahdi, che aveva pubblicato in rete una sua fotografia in nuda in segno di sfida “contro una società violenta, razzista e sessista”. Più recentemente la giovane tunisina Amina Sboui ha fatto del suo seno nudo un simbolo potentissimo, che ha smascherato il terrore per la femminilità che si nasconde limaccioso in ogni integralismo religioso. Per annullare il potere di quel gesto Amina è stata arrestata e sottoposta al test di verginità.
La società dei maschi tenta con maniere simili di riaffermare il proprio controllo sullo scatenamento della donna, di cui ha una paura dannata. Con la forza si riappropria del ruolo che più lo tranquillizza: il guardiano della soglia, il portiere dell’accesso all’ignoto o, peggio ancora, del desiderio di chiudere, cucire, annullare ogni apertura che lo porterebbe a considerare dimensioni incontrollabili della femminilità.
Nulla rappresenta l idea del potere della nudità femminile quanto un’antica tradizione, che riporta Catherine Blackledge, nel suo celebre “Storia di V.” (V sta per vagina). L’ autrice racconta di un’antica tradizione che riguarda le donne dei marinai, quando queste vedono una tempesta in arrivo, che potrebbe mettere in pericolo i loro uomini in mare, si pongono sulla riva e si alzano le gonne mostrando il loro sesso ai flutti inquieti. Tanta è la fiducia che pongono nella potenza indicibile della loro natura denudata che sono sicure che la tempesta non potrà che arretrare e arrendersi.
FONTE
Nell’immagine: Lady Godiva di John Collier (1898)