Continua a girare la bufala che descrive i gdr come dannosi per chi vi partecipa. Ecco cosa dice la scienza
Perplessità, preoccupazione, allarme. Queste le parole usate da Massimo Montani e Gilberto Gerra, del Centro studi Farmaco-tossicodipendenze dell’Usl di Parma, per descrivere una pratica pericolosa e sempre più diffusa, che potrebbe portare a “fenomeni di alienazione e dipendenza fra i praticanti”.
Si tratta dei giochi di ruolo, spesso indicati con l’acronimo Gdr, cioè quei giochi basati sulla creazione e narrazione condivisa di storie delle quali i giocatori – a eccezione di uno di loro, che svolge il compito di arbitro e narratore – interpretano i protagonisti. Il più longevo e famoso è sicuramente Dungeons & Dragons, di ambientazione fantasy, e il loro successo ha ispirato svariati videogiochi blockbuster come Mass Effect o World of Warcraft.
La loro diffusione fra gli adolescenti viene giudicata “estremamente preoccupante” da Montani e Gerra, in quanto portatrice di “una mentalità fatta di destini ineluttabili e di insormontabili maledizioni, […] piena di ultra-poteri e di mitologie che pongono ristretti limiti alla libertà della persona”. Un contesto di evasione in mondi paralleli descritto dai due come un “supermercato del sacro, dell’aldilà e del sacro-satanico non lontano dal modo di pensare che conduce ad aderire a gruppi o sette di questo settore”. Le posizioni di Montani e Gerra sono drastiche e arrivano a tirare in ballo anche “le metamfetamine e le incontrollabili nuove generazioni di stimolanti sintetici” che, secondo loro, si sposano “perfettamente con le esigenze dei partecipanti ai giochi di ruolo”.
L’articolo è stato pubblicato di recente dal sito Papaboys 3.0 ma in realtà circola sul web già dal 2000 e ogni tanto riemerge, direttamente o indirettamente, su siti di ispirazione religiosa. È però sufficiente un’occhiata ai più di 200 commenti che hanno seguito la sua ultima apparizione per capire che non si tratta di una questione di fede: molti infatti, prima di demolire le tesi dell’articolo, ci tengono a sottolineare il loro essere credenti e praticanti.
Ma da dove nasce questo tipo di critica e su quali basi si poggia? Per capirlo, dobbiamo fare un passo indietro.
Debbie e Marcie sono due giovani amiche con una grande passione per i giochi di ruolo. Passione che però porta le loro strade a separarsi. La morte del personaggio di Marcie le costa infatti la cacciata dal gruppo mentre Debbie viene invece promossa al rango successivo: l’ingresso di un gruppo di streghe, grazie alle quali inizia ad apprendere la vera magia. Lo shock per il suicidio di Marcie, schiacciata dal senso di fallimento per la morte del suo personaggio, riporta Debbie alla realtà, ma solo grazie a un aitante e devoto amico, e all’esorcismo di un infervorato predicatore, la giovane potrà finalmente liberarsi dalla maligna influenza dei giochi di ruolo.
Se pensate che sia una parodia, vi sbagliate. Si tratta di Dark Dungeon, un fumetto pubblicato nel 1984 da Jack Thomas Chick, un autore ed editore americano le cui strisce ribollono di fondamentalismo cristiano, dalla storia del giovane creazionista che umilia il suo professore svelando gli errori della teoria dell’evoluzione, a quella dell’omosessuale che, dopo aver ascoltato la storia di Sodoma, capisce di essere un peccatore e crolla in lacrime.
Al di là delle facili ironie che può suscitare, Dark Dungeon fu una delle tante espressioni di una crociata contro i neonati giochi di ruolo (Dungeons & Dragons è del 1974), accusati di essere la causa scatenante di alcuni suicidi di giovani. Due i casi più rilevanti: quello di James Dallas Egbert III, uno studente dell’università di Michigan State che si uccise nel 1980, e quello di Irving Pulling, suicidatosi nel 1982. Entrambi erano giocatori di ruolo. La vicenda del primo ispirò un romanzo dal quale venne poi tratto un film interpretato da Tom Hanks, il cui titolo, Maze & Monsters, allude chiaramente a Dungeons & Dragons. La morte del giovane Irving, invece, indusse la madre Patricia a fondare un’associazione chiamata Bothered About Dungeons & Dragons (Badd), i cui membri attribuivano ai Gdr una lunga lista di pratiche criminali (stupro, omicidio), esoteriche (satanismo, negromanzia, stregoneria), autolesioniste (suicidio, masochismo) e, dal loro punto di vista, pericolosamente immorali (omosessualità, blasfemia).
La polemica sui giochi di ruolo conquistò una certa visibilità negli anni Ottanta, al punto da indurre la Tsr, la casa editrice di Dungeons & Dragons, a rimuovere i riferimenti a demoni, diavoli e altre creature potenzialmente controverse. Modifiche che vennero annullate negli anni successivi, ma che rendono l’idea di quanto la protesta avesse condizionato l’opinione pubblica, anche grazie all’ancora scarsa conoscenza del fenomeno dei Gdr. Echi di questo contrasto giunsero anche in Italia: nel 1996, un avvocato veneziano attribuì il suicidio di due ragazzi a questi giochi e solo tre anni dopo le indagini portarono alla conclusione che non c’era alcun nesso causale fra le morti dei due ragazzi e i loro passatempi di fantasia.
Già, il nesso casuale. Ma cos’ha da dire la scienza a questo proposito? Molto, come dimostra la lunga lista di studi sul tema.
Uno dei primi e più rigorosi è del 1987 e non trovò alcuna differenza significativa a livello di personalità nei giocatori di ruolo, con la sola eccezione di un aumento nel loro punteggio del fattore Q1, associato all’apertura al cambiamento, alla flessibilità, al pensiero critico e analitico. Lo stesso autore ha condotto uno studio analogo nel 1998 su Vampire: the Masquerade, uno dei giochi esplicitamente criticati da Montani e Gerra. Risultato? Nessuna prova di comportamenti antisociali fra i giocatori, anche fra i più avvezzi a calarsi nei panni di un sanguinario vampiro. Nello stesso anno usciva anche un altro articolo che non rilevava alcuna differenza fra giocatori e non-giocatori per quanto riguarda tratti come depressione, idealizzazione del suicidio o psicosi.
Confrontando i membri di un club di giochi di ruolo con altrettanti studenti non-giocatori dello stesso campus, due ricercatori americani non hanno trovato nessuna differenza comportamentale significativa, se si esclude una lieve propensione all’estraniamento dall’intrattenimento popolare e, nei giocatori più accaniti, una maggiore tendenza all’alienazione. Introversione e un approccio più scientifico ma meno empatico sono invece le caratteristiche individuate da uno studio condotto sui partecipanti a un gioco di ruolo giocato via mail. Tratti che non stupiscono certo, rientrando tutti a pieno titolo nello stereotipo del nerd.
Sono state condotte anche alcune ricerche per valutare l’effetto dei giochi di ruolo su persone già affette da disturbi mentali: da un lato c’è lo studio su un gruppo di adolescenti sottoposti a trattamenti psichiatrici nei quali l’uso di questi giochi ha accentuato le forme patologiche già presenti; dall’altro ci sono casi come quello di un paziente schizoide e con tendenze suicide o quello di una donna che soffriva di depressione, sui quali Dungeons & Dragons e simili hanno avuto un notevole effetto terapeutico.
Come già detto, la lista è lunga ma ciò che conta è l’assenza di studi che dimostrino l’esistenza di un qualsiasi nesso causale fra i giochi di ruolo e la tendenza al suicidio o a comportamenti antisociali. Il che dimostra in maniera incontrovertibile che l’articolo di Montani e Gerra è a tutti gli effetti una bufala priva di fondamento che, come spesso fanno le bufale, continua a vagare nel web, pronta a riemergere di tanto in tanto e in contesti ben definiti. Per fortuna, almeno in questo caso, sono ormai in pochi a prenderla sul serio. soprattutto fra i diretti interessati, che hanno sviluppato robusti anticorpi contro questo genere di disinformazione e hanno imparato a metterne in evidenza le palesi contraddizioni.
FONTE